Sabato 25 marzo 2000 - Roma, stadio Olimpico - Lazio-Roma 2-1

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25 marzo 2000 - 2.892 - Campionato di Serie A 1999/00 - XXVII giornata

LAZIO: Marchegiani (43' Ballotta), Gottardi, Negro, Couto, Pancaro, Conceição, Almeyda, Simeone, Nedved, Veron (66' Sensini), S.Inzaghi (74’ Boksic). A disposizione: Lombardo, Mancini, Ravanelli, Salas. Allenatore: Eriksson.

ROMA: Lupatelli, Zago, Aldair, Mangone, Cafu (37' Rinaldi), Di Francesco, Nakata (46' Marcos Assunçao), Candela (58' Tommasi), Totti, Montella, Delvecchio. A disposizione: Campagnolo, Gurenko, Blasi, Poggi. Allenatore: Capello.

Arbitro: Sig. Messina (Bergamo) - Guardalinee Sigg. Zuccolini e Contente - Quarto uomo Sig. Di Mauro.

Marcatori: 3' Montella, 25’ Nedved, 28’ Veron.

Note: giornata soleggiata, terreno in ottime condizioni. Ammoniti: Nedved e Ballotta per comportamento non regolamentare, Candela, Almeyda, Di Francesco, Simeone, Montella, Assunçao, Tommasi per gioco falloso. Grave incidente al 41' a Marchegiani (trauma cranico e cervicale), infortuni per Cafù e Candela. Angoli 6-6. Recupero, 6' p.t., 5' + 1' s.t. Esordio in serie A per Lupatelli.

Spettatori: 74.076 di cui 36.757 abbonati per un incasso di £. 3.351.460.984.


Il vantaggio giallorosso
La rete del pareggio biancoceleste di Pavel Nedved
Un altro fotogramma della rete di Pavel Nedved
L'esultanza del centrocampista ceco verso la Curva Nord
Juan Sebastian Veron si appresta a battere il calcio di punizione...
... la palla, con una traiettoria ad effetto, scavalca la barriera giallorossa...
... e si insacca sotto il "sette" per il vantaggio laziale
Un altro fotogramma della rete di Juan Sebastian Veron
L'esultanza del centrocampista argentino
Il tifo biancazzurro
La gioia della panchina
I tifosi seguono con apprensione la gara
Guerino Gottardi controlla Totti
Il tabellone sancisce il risultato
Il biglietto della gara

Con il morale sotto i tacchi per la sconfitta di Verona ed il conseguente allungo della Juventus in testa alla classifica, la Lazio affronta la settimana che precede il Derby. Intanto venerdì 24 marzo, nell'anticipo del Campionato, la squadra bianconera esce nettamente battuta dal Milan a San Siro per 2-0. Questo galvanizza i giocatori biancocelesti perché con una vittoria potrebbero riaprire il discorso Scudetto. Con la solita grande cornice di pubblico che da sempre contraddistingue la stracittadina capitolina, in uno stadio con prevalenza di colori biancocelesti, le due squadre scendono in campo. Fra i tifosi, e soprattutto fra i giocatori, è ancora vivo il ricordo del disastroso Derby di andata ma, all'oscuro dei supporters biancocelesti, ci ha pensato l'ex Mihajlovic a caricare i compagni di squadra motivandoli con un semplice cartello affisso negli spogliatoi di Formello con scritto "A volte le aquile scendono al livello delle galline, ma una gallina non potrà mai volare in alto come un'aquila". Chiaro è il riferimento ad alcune dichiarazioni post-partita della gara di andata che non sono per niente andate giù alla squadra. Purtroppo i fantasmi di un'altra partita negativa si riaffacciano sull'Olimpico quando al 3' minuto la Roma passa in vantaggio con Montella, gelando la tifoseria biancoceleste. La Lazio accusa il colpo e ci vogliono una decina di minuti prima che metabolizzi lo svantaggio e cominci a giocare impadronendosi del centrocampo. Cominciano così gli attacchi dei biancazzurri, spinti da un Veron in palla e da un Nedved irrefrenabile. Al 25' minuto arriva il giusto pareggio grazie ad un'incursione del centrocampista ceco, complice una leggera deviazione di Zago.

Adesso è la Roma ad accusare il colpo e ad avere paura degli attacchi dei biancocelesti sospinti dal pubblico che ha capito che si può vincere questa partita. Al 28' Veron viene maldestramente atterrato fuori dal limite dell'area con conseguente punizione che "la Brujita" si appresta a battere. La barriera della Roma è folta ma non può impedire alla traiettoria della palla, impostatagli dal numero 23 laziale, di aggirarla e finire la sua corsa sotto la traversa. Il pubblico laziale, che aveva assistito in silenzio alla battuta del calcio di punizione, può sfogare la sua gioia in un boato assordante. I giallorossi accusano il colpo e perdono Cafù per infortunio. Al 41' il gelo cala sull'Olimpico quando Marchegiani, in uscita aerea, cade male con la testa verso il terreno di gioco. Il collo gli si gira in modo innaturale e perde i sensi. Accorrono i sanitari e viene subito trasportato via in ambulanza. Per lui trauma cervicale e lungo stop ma fortunatamente il peggio è scongiurato. La ripresa inizia con la Roma in avanti alla ricerca del pareggio, ma al 57' perde anche Candela rimanendo senza un'altra pedina importante per il suo gioco sulle fasce. Il forcing finale dei giallorossi non crea grossi grattacapi a Ballotta ed al 96', quando l'arbitro fischia la fine della gara, i giocatori biancocelesti corrono verso i propri tifosi per festeggiare la vittoria, dedicata al giocatore della Primavera Rosario Aquino morto nella notte precedente in un incidente stradale e soprattutto per il fatto che la distanza dalla Juventus si è portata adesso a 6 punti con i bianconeri prossimi avversari in una gara che sarà decisiva per riaprire il discorso Scudetto.


La Gazzetta dello Sport titola: "La Lazio fa tutto in tre minuti. Derby bello e durissimo, la Roma raggiunta e superata. Dopo il gol lampo di Montella, Nedved e Veron rovesciano il risultato nel giro di 3'. Partita di grande intensità, alla fine vince l'organico più forte".

Continua la "rosea": Derby bello e durissimo. Lo vince la Lazio (2-1) che riapre il campionato ribaltando nel giro di tre minuti, a metà del primo tempo, il gol-lampo di Montella che aveva risvegliato i fantasmi dell'andata, quattro reti della Roma in mezz'ora. Nedved, con la fattiva collaborazione di Zago, e Veron, che si sostituisce allo squalificato Mihajlovic pennellando una storica punizione, sono gli uomini che decidono una partita feroce, per intensità, impegno, cuore e gambe messi in campo da entrambe le squadre. Marchegiani, Cafu e Candela sono finiti chi all'infermeria chi direttamente all'ospedale, il bravo arbitro Messina ha fischiato la bellezza di sessanta calci di punizione (fuorigioco esclusi) e nove giocatori sono stati ammoniti. Bollettino di guerra? No, derby vero. Lazio e Roma lo hanno concluso sulle ginocchia, stremate. Capello dice che un pari sarebbe stato più giusto, e non gli si può dare completamente torto. Però è valida anche la tesi di Eriksson, grande Lazio, tanto più grande dopo la faticaccia vincente di mercoledì a Londra col Chelsea. Mettiamola così: vince la Lazio perché ha ora un po' di fiato in più e perché ha sempre un organico superiore a quello della Roma. Match tutto da leggere anche sul piano tattico. Eriksson ha ripercorso la strada londinese, mostrando una grande fermezza nello rispedire in panchina Salas (insieme a Mancini, Ravanelli e Boksic!) e nel puntare su Inzaghino punta solitaria giustamente premiata poi da Zoff con l'azzurro. A supportarlo, Veron e Nedved più di Conceiçao che a destra giocava la sua personalissima partita con Candela.

Dietro, le contemporanee assenze di Mihajlovic e Nesta (infortunato) venivano risolte attraverso soluzioni che, a parte l'avvio da brividi, si sarebbero rivelate vincenti anche perché la linea composta da Gottardi-Negro-Couto-Pancaro si è avvalsa dell'aiuto di due dighe quali Almeyda e Simeone (e nel finale risparmioso anche di Sensini). Tutto un ruotar di marcature, per rispondere alle mosse offensive di Capello, con Delvecchio spesso arretrato sui piedi di Almeyda e Totti portato più avanti su quelli di Gottardi, mentre di Montella si occupava prevalentemente Couto. Dove la Roma non ha funzionato, è stato nell'idea di Capello di tenere più indietro Di Francesco per contrastare Veron e allo stesso tempo proteggere degnamente Nakata, di suo annichilito da Simeone. Il giapponese ha fallito completamente, e nel gioco delle coppie l'uomo per così dire sparigliato della Lazio (Pancaro) è stato assai più prezioso di quello della Roma (Mangone). Addirittura decisivo. Cionondimeno, la Roma è partita all'arma bianca e dopo tre minuti era in vantaggio. Totti ha crossato sul primo palo dove Montella, appena dentro l'area piccola, è arrivato per primo, precedendo anche Marchegiani, un po' responsabile. La Lazio ha reagito impadronendosi della parte sinistra del centrocampo, là dove Cafu-Zago-Nakata, nonostante il prodigarsi di Di Francesco, pativano sempre di più Pancaro-Simeone-Veron-Nedved e l'ossessivo movimento di Inzaghino. Da lì arrivava il pari, dialogo stretto Pancaro-Inzaghi-Nedved con la deviazione decisiva di Zago che spiazzava l'esordiente (e per lo più ininfluente) Lupatelli, rimpiazzo di Antonioli. Sempre da quelle parti, arrivava tre minuti dopo la spintarella di Nakata su Veron che provocava la punizione decisiva, imparabile per chiunque. La Roma reagiva, perdendo assai presto per infortunio Cafu che al rientro dopo un mese aveva mostrato comunque un certo disagio.

Lo sostituiva Rinaldi, mentre dall'altra parte Ballotta rimpiazzava Marchegiani caduto malissimo su un'uscita aerea e subito salvato a porta vuota da Negro specializzatosi in materia, come a Londra. Nella ripresa Capello giocava la carta Assunçao, che non giocava (menisco) dal 19 dicembre, togliendo Nakata. Mossa assai felice e tale da dimostrare uso scettici l'importanza del brasiliano. Che si attestava davanti alla difesa, aspettando Veron e dando equilibrio a tutta la squadra. Ne veniva fuori una ripresa targata Roma, nuovamente penalizzata dalla perdita stavolta di Candela, caduto male sul ginocchio sinistro e sostituito da Tommasi. Orfana dei suoi due esterni, passata stabilmente al tridente offensivo, con Totti che alternava lampi a pause, la Roma metteva all'angolo la Lazio, che Eriksson chiudeva in clinch, togliendo l'esausto Veron e inserendo Sensini, prima di dar via libera al contropiedista Boksic al posto di Inzaghi. Sussulti, brividi, ma non una parata davvero tosta, né per Ballotta né per Lupatelli. Sabato Juventus-Lazio vale il titolo. Per la Roma, alla quarta sconfitta consecutiva tra campionato e coppe, è crisi e Champions League che vola via.


Il Corriere della Sera così racconta la gara:

Non è certo a malincuore, ma piuttosto con una certa sorpresa, che tributiamo a Sven Goran Eriksson il merito di avere adeguatamente impostato il confronto. E, in particolare, di avere sfruttato la revisione del quasi immutabile 4-4-2 trasformandolo in un 4-5-1 dai frutti, per ora, assai copiosi. Per chiarezza va detto che il passaggio dal sistema di gioco precedente all'attuale non è propriamente rivoluzionario. Tuttavia il 4-5-1 si è confermato particolarmente adatto per affrontare una Roma che gioca con tre punte. Primo vantaggio: con Almeyda e Simeone a operare come mediani di centrocampo, Eriksson di fatto dedica sei uomini fissi alla fase difensiva, potendosene permettere due e mezzo per quella offensiva. Le varianti sono rappresentate a turno da Sergio Conceiçao e Nedved sull'esterno, le certezze da Simone Inzaghi e da Veron. Sul quale l'allenatore avversario o stacca un elemento in marcatura personalizzata (e così lo perde), oppure avrà sempre il problema di ritrovare Veron in una zona in cui l'argentino liberamente andrà a provocare fastidi. Secondo vantaggio: la mancanza di punti di riferimento in avanti, che di solito provoca imbarazzi nelle squadre che marcano a uomo, produce gli stessi effetti in quelle a zona se difettano dei meccanismi collettivi. In pratica, contro la Roma, la Lazio del primo tempo ha messo in crisi la difesa a tre giallorossa costringendo Zago all'uno contro uno con Nedved e lasciando Mangone senza uomo da marcare. L'ingresso di Rinaldi (e poi di Assunçao) ha riaggiustato l'equilibrio tattico, non la direzione della partita. Distorsione al ginocchio per il brasiliano e distrazione alla coscia per il francese: continua il marzo nero di Capello. La Roma perde i pezzi: Cafu va k.o. e Candela all'ospedale.


In un altro articolo è riportato:

Ne aveva dominati troppi, forse, di derby. E per troppo tempo. Aveva "purgato" la Lazio all'andata, con quei quattro gol da urlo nell'arco di mezz'ora, e nel ritorno del campionato scorso (3-1, aprile '99, lo scudetto biancoceleste cominciò a sbriciolarsi quella domenica sera). Per non parlare della rimonta nell'ultimo derby del '98, quando passò dall'1 a 3 al 3 pari, vedendosi per giunta annullare il gol (regolare) della vittoria realizzato da Delvecchio. Così la Roma doveva "pagare", in qualche modo. E ha pagato tutto insieme. Seppure subito in vantaggio come quattro mesi fa, ancora Montella allo scoccare del centoventesimo secondo, i giallorossi hanno avuto poco tempo per illudersi. Il vento stava cambiando, anzi era già cambiato. Il destino si era messo di traverso e sarebbe stato inutile qualunque esorcismo. La deviazione maligna di Zago sul tiraccio di Nedved, la magia su punizione di Veron, cosa che all'argentino non si vedeva fare da tempo immemorabile. Derby rovesciato, oplà. E campionato riaperto. Annusando l'aria, s'intuiva che questo era il derby della Lazio. E quando si sono fatti male Cafu e Candela, i due esterni romanisti tra i più bravi al mondo ed entrambi trasportati in barella negli spogliatoi, il derby capitolino di campionato numero 114 prendeva sempre più inequivocabilmente la strada di Formello. Cafu, al rientro dopo diverse settimane di assenza per un infortunio muscolare, e in difficoltà sulla sua fascia di competenza di fronte a Pancaro, si è arreso dopo 36 minuti di gioco.


Testimonianza[modifica | modifica sorgente]

di Fabrizio M. 2009

Abbonato in curva Maestrelli, ci avevano dirottato in Tribuna Tevere centrale alta. Era la prima volta che assistevo ad un derby da quella postazione, un bel colpo di fortuna. Si respirava aria strana allo stadio. La Juventus la sera prima aveva perso e l'occasione era ghiotta per crederci ancora un po' a questo scudetto, ma il ricordo della gara di andata mi terrorizzava. E i fantasmi mi apparsero in tutto il loro terrore, quando dopo neanche 3 minuti, il boato della curva ospite squassò lo stadio. Lazio 0 - Roma 1. I giallorossi, nei primi dieci minuti giocarono bene e non toccammo palla, avrei voluto spaccare il mondo. Poi all'improvviso cominciammo a macinare gioco e a giocare da grande squadra. Nel giro di pochi minuti passammo tutti da uno stato d'animo di paura ed angoscia ad un altro del tipo: stavolta gli facciamo male. Ripeto, era una sensazione mai provata ad un derby che si confermò, quando Nedved riusci a beffare la difesa giallorossa e spinse la palla in rete per il pareggio. Lo stadio biancazzurro esultò, ma non ampiamente come ci si poteva aspettare. Il boato, fragoroso e bello arrivò tre minuti dopo grazie a Veron e alla sua magistrale punizione che uccellò Lupatelli e che tutti avevano pronosticato un attimo prima che calciasse, come in un film già visto. Lazio in vantaggio, Lazio padrona del campo e del gioco. I minuti passarono lentamente, ma non ebbi mai la sensazione che potessero pareggiare. Arrivò la vittoria e con essa i 3 punti in più in classifica. Non so perché, io ed i miei amici quella sera parlammo apertamente di vittoria dello scudetto.