Tre vittorie in un giorno

Da LazioWiki.

La Lazio delle "tre vittorie in un giorno"
Questo il ritaglio de "Il Messaggero" del 9 giugno 1908 che riporta le vittorie della Lazio nel torneo toscano
Dal "Ponte di Pisa" del 7 giugno 1908 notizie concernenti il torneo
Dalla "Provincia di Pisa" dell'11 giugno 1908 la notizia della vittoria biancoceleste nella competizione
Un foto autografata di Sante Ancherani sull'evento

Stagione

Il Torneo Interregionale di Pisa

Il racconto di Sante Ancherani sulle tre vittorie in un giorno tratto da "Il Messaggero" del 6 dicembre 1934


Nota: nel racconto di Mario Pennacchia - qui di seguito - è riportato che il secondo match si svolse contro il Pisa e non contro la Spes Livorno. LazioWiki ha fonti documentali che confermano come l'avversaria fu la squadra labronica. Lo scritto, tratto appunto dal quarto capitolo del libro "Lazio Patria Nostra" di Mario Pennacchia, ripercorre il racconto della leggendaria impresa dei calciatori biancocelesti che in un giorno disputarono, nell'arco di poche ore, tre incontri con formazioni toscane vincendoli tutti. Con ogni buona probabilità gli errori inerenti l'anno di disputa del Torneo (1907, tramandato per decenni e che LazioWiki annovera invece nel 1908 dopo varie ricerche) e sul nome della seconda squadra affrontata (Spes Livorno e non il Pisa), sono dovuti al racconto diretto di uno dei protagonisti (Sante Ancherani) che, a distanza di 26 anni da quella "giornata campale" come la definisce egli stesso, rende noto ai lettori de "Il Messaggero" le vicende connesse al Torneo. Al termine del racconto di Mario Pennacchia riportiamo in un apposito box dedicato anche la trascrizione dell'articolo-intervista a Sante Ancherani.


Tratto da Lazio Patria Nostra di Mario Pennacchia:

... Si delinea intanto la Lazio-meraviglia che arriverà a disputare e vincere tre partite in una sola giornata. Ma la Lazio non è solo calcio, il suo respiro è polisportivo, il suo entusiasmo nato sul Tevere, sul Tevere ritorna in ogni stagione calda. Olindo Bitetti è l'Ancherani dei nuotatori e dei pallanotisti. Ballerini, che su tutti impera, coltiva l'atletica leggera, fa all'amore con la ginnastica, sollecita l'atletica pesante. Questa non è più una semplice Società, ma sta diventando una piccola patria, piena di purissimi palpiti. E il nuotatore sa essere podista, come il podista sa essere calciatore. Ecco un altro esempio che infiamma. Appena torna la primavera, rifiorisce l'atletica e si moltiplicano le gare. Una classica è a sei chilometri da Porta Pia a Sant'Agnese e ritorno. Oltre ai premi individuali ce n'è uno che sarà attribuito alla Società con il maggior numero di arrivati in tempo massimo. Quando gli atleti si schierano alla partenza i laziali sgomenti si accorgono che le magliette biancocelesti sono ventinove, quelle della Virtus trenta. Subito si raccolgono intorno a Ballerini. Ancherani, il solito spregiudicato, accetta di spogliarsi e di partire.

Così anche la Lazio ha trenta concorrenti. Bitetti, che sotto la sua indole leonina nasconde anche una di quelle nature che paiono sempre ribelli perché costantemente alla ricerca del meglio se non proprio del perfetto, domanda a Santino se non abbia voglia di scherzare dal momento che al traguardo non arriverebbe mai, avendo da tempo sacrificato il podismo al calcio. Santino quasi si impermalisce: "Per la Lazio si può anche rischiare: sono pronto a sacrificarmi". Partono settanta atleti. Bitetti disperde ogni avversario, resiste al contrattacco di Corbellini, l'uomo di punta della Virtus, affretta il ritmo, domina, vince. Corbellini è secondo. Ora quel che conta è il numero dei classificati. Bitetti, stremato, non si allontana dal traguardo. Lo staff laziale è al completo. Aspettano, aspettano. Soprattutto sono curiosi di conoscere la sorte di Ancherani. Tutti gli sguardi si perdono sullo sfondo della via Nomentana. Improvvisamente un grido: "Ma quello è Santino!". E un'eco irridente: "Ma quale Santino, se finora ne sono arrivati solo due!". Ci scappano perfino le scommesse. Molti fremono. Qualcuno che non sa resistere corre incontro a quel piccolo atleta che da lontano sembra un fantasma che si contorce.

I lineamenti pian piano si precisano: è vero, è vero, è proprio Sante Ancherani, l'ultimo iscritto, il meno preparato, che arriva addirittura terzo! Bitetti per poco non lo stritola nell'abbraccio quando Santino, esausto ma felice, stramazza al traguardo. Primo Bitetti della Lazio; terzo Ancherani della Lazio; maggior numero di classificati della Lazio, Lazio, Lazio, Lazio: è un nome che ormai rimbalza, echeggia in tutta Roma, nella regione, al Nord e al Sud. Tanto si espande la popolarità del club biancoceleste che fioccano proposte da altre regioni. Ecco la Lazio che assume un nuovo ruolo, quello di Società cardine dello sport centromeridionale e ovviamente del fiorente gioco del calcio. Chi vuole misurare il proprio valore in ogni sport, chiama, sfida la Lazio, che a Roma non ha più rivali. I tempi del favoloso exploit sono maturi. Arriva la proposta di prendere parte al primo torneo calcistico interregionale che si disputerà a Pisa. L'invito proviene dal Comitato Toscano che, dopo le eliminatorie regionali vinte dal Pisa, dal Lucca e dal Livorno, conosciuta la fama della Lazio, propone ai biancocelesti di intervenire alla fase finale della competizione per poterle conferire l'etichetta di primo campionato centromeridionale. Siccome siete tutti studenti - precisa la lettera, e non potreste pagarvi le spese per i quattro giorni delle finali, venite a Pisa domenica e incontrerete per il titolo la nostra finalista.

Ballerini convoca subito il consiglio. All'unanimità si decide di partecipare. Ma bisogna organizzare la formazione più agguerrita e nello stesso tempo trovare i soldi, trenta lire a testa. Ancherani tiene rapporto. E, fatta la più scrupolosa e aggiornata valutazione delle forze, propone questi uomini: goal-keeper, cioè portiere: Gugliemo Bompiani, figlio del generale Giorgio e fratello di quel Valentino che diventerà famoso editore; terzino destro: Francesco Marrajeni, che diventerà generale; terzino sinistro: Egisto Federici, un milanese che ha giocato nel Milan e che si trova a Roma per il servizio militare; mediano destra: Prospero Omodei, futuro chimico in una industria del Nord; centromediano: Dos Santos; mediano sinistro: Augusto Faccani, fruttivendolo, dal temperamento di ferro, uno dei pilastri biancocelesti fino al 1923 (la fortuna lo aiuterà a raggiungere un'agiata posizione come grossista e poi brutalmente lo tradirà, facendogli perdere la vita tragicamente, nell'estate del 1944, investito da una camionetta militare americana); centravanti: Sante Ancherani; mezz'ala sinistra, Fernando Saraceni, il cucciolo della brigata, micidiale per il suo tiro (resterà con Faccani una bandiera della Lazio e anch'egli, come Faccani, perderà immaturamente la vita nel secondo dopoguerra); ala sinistra: Fernando Pellegrini, altro giovane avviato nel commercio.

Quando Ancherani finisce l'elenco, lo guardano tutti meravigliati: ma non s'è accorto che mancano l'ala destra e la mezz'ala destra ? Ancherani sorride sotto i baffi: certo che se n'è accorto ed ecco la sua temeraria proposta: "A Roma per questi due ruoli i più bravi sono i fratelli Corelli. Invitiamoli a venire con noi". Altra sorpresa generale: "Ma Corrado e Filiberto Corelli sono due virtussini, due feroci rivali!". Ancherani insiste, finisce per persuadere tutti. Una commissione si reca a casa dei Corelli. I laziali parlano con Corrado. La seduzione è irresistibile. Corrado accetta con entusiasmo e garantisce anche per il fratello. E' il primo clamoroso trasferimento del calcio romano: giugno del 1907. Quando quelli della Virtus vengono a saperlo, gridano allo scandalo e al tradimento. Ma ormai la spensierata brigata biancoceleste, compresi Corrado e Filiberto Corelli, sta viaggiando verso Pisa. Già, il viaggio. Un'avventura che sarebbe piaciuta a Daniel De Foe ed avrebbe fatto invidia al suo celeberrimo, immortale Robinson Crusoe. Si ritrovano tutti alla stazione. Augusto Faccani ha portato la caffettiera perché, si dice, si sa quando si parte e non si sa quando si arriva e perciò durante il tragitto una tazza di caffè può resuscitare eventuali moribondi.

Ballerini, che è venuto a salutarli, fa notare divertito al bollente Faccani che sarà difficile potersi servire della caffettiera, perché non gli risulta che sui vagoni di terza classe ci siano fornelli. "Ce semo tutti ?!" Ancherani fa il conto e presenta le forze al capocomitiva Baccani. Ci sono tutti e undici, ma neppure una riserva. Eccoli sul treno. Quando il capostazione fa vibrare il fischietto, i viaggiatori hanno l'impressione che l'accelerato si muova con qualche minuto di anticipo. I laziali dai finestrini hanno fatto scappare la pazienza al capostazione. Il treno si stacca, si muove. "Anvedi cammina !" Una voce, un coro di risate. Così la Lazio parte per la più leggendaria impresa calcistica di tutti i tempi. Il viaggio è lungo, E' noioso. E' fastidioso. E' insopportabile. E' interminabile. E' già notte quando il treno, sbuffando e sferragliando, frena stridendo alla stazione di Pisa. I laziali non sembrano più gli stessi scapigliati, sfrenati viaggiatori: la verità, bisogna proprio dirlo, è che sono emozionati. E si commuovono addirittura quando uno del comitato organizzatore viene loro incontro per accoglierli e informarli che il sindaco ha fatto predisporre i giacigli nel corridoio della Scuola Municipale. "Hai capito ? Er Sindaco sa che semo venuti a giocà a Pisa !" E vanno alla scuola, dove effettivamente trovano una dozzina di giacigli, grandi sacchi a forma di materassi e cuscini tutti pieni di foglie di granturco. Letti da re, sono per i laziali, ora che sanno che è stato del sindaco questo delicato pensiero.

Ore 8 di domenica. Tutti in piedi e tutti pronti per dare un'occhiata da turisti a questa città. Stanno per lasciare la scuola quando si presentano due esponenti del comitato organizzatore: E' scoppiato un caso. Voi dovevate giocare la finale alle quattro e mezza contro la nostra finalista. Ma i lucchesi, che sono stati eliminati e che erano d'accordo, ora hanno cambiato idea e pretendono di giocare con voi un'altra eliminatoria". I laziali restano interdetti, poi guasconescamente accettano: "Se è per togliervi dai guai, va bene. Resta stabilito però che non erano questi i patti". Anziché alle 16,30, dunque, Lazio in campo alle dieci. I biancocelesti hanno aderito, ma naturalmente non si lasciano saltare la mosca al naso. Morale: Lazio-Lucca 3-0. Liquidati i lucchesi, Ancherani e i suoi raggiungono la trattoria prestabilita e si mettono a tavola. Non hanno ancora finito ed ecco di nuovo i due messaggeri del comitato organizzatore: "Pisa ha saputo di Lucca e naturalmente non vuole essere trattata in modo diverso. Sì insomma, anche Pisa vuol giocare un'eliminatoria con voi". Stavolta Augusto Faccani s'infuria: "Ma siete dei mascalzoni, dei vigliacchi senza parola. Abbiamo appena finito di mangiare, alle quattro dobbiamo vedercela col Livorno, a che ora pretendete di farci giocare con questo Pisa ? Ormai è chiaro che ci volete far perdere per forza !".

I due balbettano che la partita col Pisa si potrebbe giocare alle due. Minuti di silenzio sdegnato seguono questa inaudita replica. Poi la coppia di ambasciatori si arrischia a chiedere: "Allora che decidete?" Ancherani rompe ogni esitazione e gira la domanda ai compagni: "Che famo ?" E Augusto Faccani, ringhiando: "E che volemo fà ? Ormai ce semo !" Quando la Lazio torna sul campo, c'è una folla di spettatori mai vista: forse saranno più di cinquecento persone! Ed è anche un pubblico feroce che grida: "Accoppateli, questi romani ! Forza Pisa !" Faccani non sta nella pelle. Come un leone in gabbia si aggira fra i compagni e sibila che non si vince questa partita, poi bisognerà fare i conti con lui. Poi si raccomanda ad Ancherani e Santino lo tranquillizza. "Stai sicuro, se pappamo pure questi !". Detto fatto: Lazio-Pisa 4-0 (vedasi nota a inizio pagina). Neanche il tempo, poi, di spostarsi dal campo. Tutti e undici così, sdraiati sull'erbetta del prato, per tirare il fiato, farsi un massaggio, sbocconcellare un'arancia alle 16, di nuovo ognuno al suo posto sempre gli stessi: Bompiani, Marrajeni, Federici, Omodei, Dos Santos, Faccani, Corelli primo e Corelli secondo, Ancherani, Saraceni (I), Pellegrini. Prima dell'inizio Ancherani tiene il solito rapporto: "Ragazzi facciamoli sfogà. Cerchiamo di non sprecare troppe energie, perché ce ne sono rimaste poche. Loro sicuramente partiranno a testa bassa. Noi teniamoci in difesa giochiamo spalla a spalla. Dopo il primo tempo ci daremo una regolata".

Insomma, pionieri anche del catenaccio. E comincia lo spettacolo di Bompiani e Dos Santos, di Marrajeni e di Federico. Soprattutto di Faccani, imbattibile. Il Livorno attacca a ondate incalzanti, ma i laziali non mollano un attimo. In area dei romani sembra persino assurdo poter penetrare, sicché i tiri vengono scoccati verso Bompiani tutti dalla distanza superiore ai quindici metri. Finisce il primo tempo senza gol. Nuova rapida e segreta consultazione. Ancherani dice che tutto fila secondo le previsioni: Facciamoli stancà per un'altra mezz'ora e poi gli daremo addosso noi. Sicuramente non se lo aspetteranno. Mi raccomando quando sarà il momento, il solito giochetto nostro: d'accordo Fernà ? D'accordo Corrà ?". La prima mezz'ora della ripresa è nient'altro che il proseguimento del rapporto di forze stabilitosi nel primo tempo. Livorno all'attacco, ma inesorabilmente declinante come impulso agonistico. Lazio stretta in una difesa arcigna, feroce. Ormai si sta profilando un pareggio bianco, quando i laziali fanno un segnale convenuto. Manca meno di una decina di minuti alla fine. La consegna è di indirizzare sempre il pallone a Saraceni. Appena questi l'avrà ricevuto, Corrado Corelli, detto lo "stambecco", dovrà filare come un razzo. Saraceni dovrà fargli arrivare la palla, Corelli dovrà proiettarsi fino a fondo campo per allargare il più possibile le maglie della difesa livornese, tra le quali Ancherani dev'essere pronto a filtrare di scatto.

Una, due, tre volte il tentativo non riesce. Ma viene ripetuto ad oltranza. Finalmente ci siamo. Faccani lancia Saraceni e ancora lo "stambecco" si butta nella vertiginosa fuga. La palla arriva puntuale. Corrado Corelli è irrangiungibile, arriva al limite dell'area, si spinge fin quasi a fondo campo e poi si ferma. Dà un'occhiata, si aggiusta il pallone e lo rilancia verso il centro. I difensori del Livorno sono sbilanciati, l'uno distante dall'altro. Questo è il momento. Ancherani schizza come un nocciolo di ciliegia premuta tra due dita, aggancia il pallone, lo controlla in un fiat e sempre correndo a perdifiato lo devia nell'angolino a sinistra del portiere. "Gol, gol, gol!" Voci pazze si levano sparute ai margini del campo: sono quelle di Baccani e di un gruppo di soldati romani. Lazio-Livorno 1-0, dopo Lazio-Pisa 4-0, dopo Lazio-Lucca 3-0, tutto tra le dieci e le diciotto di una domenica del giugno 1907. Quando i primi campioni del calcio centro-meridionale tornano a Roma, alla Lazio si fa festa ma alla Virtus succede il finimondo. I fratelli Corelli vengono convocati d'urgenza. Si presenta Corrado, un esempio di romano che per tutta la vita dimostrerà una tempra eccezionale, non solo per robustezza fisica, ma anche per genialità di pensiero e incorruttibile fede.

Gli fanno il processo. Corelli ascolta impassibile e finalmente risponde a metà strada tra la fierezza e l'ira: "Io delle vostre questioni non so niente. Io so soltanto che sono andato a giocare a football. Voi avete trascurato il calcio. Ogni volta che proponevamo una partita, rispondevate sempre che prima bisogna pensare alle corse. La Lazio ci ha offerto signorilmente questa possibilità di giocare, di conquistare un titolo, perché rinunciare?" Dunque, Corelli non solo non si giustifica, ma assume addirittura un atteggiamento provocatorio. Lo stato maggiore della Virtus è scandalizzato e conclude il processo con una solenne punizione ai due fratelli. Corrado Corelli s'infuria ancora di più e reagisce con la massima coerenza: "E' inutile che vi affanniate a punire me e mio fratello. Noi ormai siamo della Lazio. Addio !" Così Corrado e Filiberto tornano nella sede biancoceleste e chiedono ai laziali di poter restare sempre con loro. Festeggiatissimi, i due Corelli rispetteranno religiosamente quel giuramento di fedeltà. E quando dopo più di sessant'anni il curioso farà visita all'ottuagenario, vitalissimo scultore Corrado e impertinentemente gli chiederà: "Ma lei fino a quando è rimasto alla Lazio?" si sentirà rispondere, con la spregiudicatezza intatta dei primi anni del secolo: "Ma io sono sempre della Lazio !". Incisa a lettere di fuoco nella sua storia l'epica impresa delle tre partite vinte tra le 10 e le 18 di un sol giorno, la Lazio si apre ora a nuove responsabilità.

Nel 1952 anche il grande Fernando Saraceni, presente in campo in tutte e tre le partite, rievoca quell'eccezionale impresa. Dopo il ricordo di due altri match della Lazio del 1907, narra le sue sensazioni sulle partite di Pisa. Anche lui, come Ancherani, sbaglia l'anno di svolgimento del torneo.

Fernando Saraceni ricorda alcune partite della sua Lazio svoltesi tra 1907 e 1908. Nell'ultima parte rievoca le tre partite del Torneo di Pisa



Il Messaggero del 6 dicembre 1934 con il racconto di Sante Ancherani
Sante Ancherani

Nell'articolo tratto da "Il Messaggero" del 6 dicembre 1934 qui a fianco, il racconto di Sante Ancherani sul Torneo Interregionale di Pisa:

Mutano i tempi, lo sport ha preso sviluppi impensati in pochissimi anni e tutti i metodi e buona parte delle regole sono ormai passate nell'archivio del dimenticatoio. Prendiamo ad esempio il giuoco del calcio; oggi ci troviamo sulla linea del perfetto virtuosismo; si parla di assi, di campioni, di astri e attorno a costoro non soltanto si alimenta la passione di migliaia e migliaia di persone (quella passione che è stata definita "tifo" per... le sue particolari caratteristiche) ma si costruisce una fama e si danno onori... Oggi un campione di calcio è assistito, curato, circuito, amato, consigliato e tenuto in una considerazione veramente invidiabile. Ieri non era così. Non poteva essere così. I pionieri dello sport in Italia hanno dovuto lottare non soltanto contro lo scetticismo e l'inconsapevolezza della parte dirigente della Nazione, di allora. Ma questa è storia vecchia e tutti sanno che l'ascesa dello sport in Italia è dovuta e collegata al movimento rinnovatore e vivificatore della Rivoluzione del 28 Ottobre. E non è male di tanto in tanto dare anche una occhiata al passato. Conoscere quale sia stata l'attività di coloro che con tanti sacrifici hanno tenuta accesa la fiaccola della passione sportiva, che sono stati i primi a recare sulle loro spalle il prezioso fardello che è servito a gettare le basi delle grandiose e possenti fondamenta dello sport italiano.

"I nostri tempi erano duri, molto duri - ci ha detto Sante Ancherani, uno dei più benemeriti sportivi romani - allora lo sport era falsamente considerato niente, anzi molti dicevano che era il passatempo degli sfaccendati. E coloro che come me sentivano tutta la bellezza della pratica e dell'agonismo sportivo erano costretti a privazioni ed a sacrifici continui. Magari avessi oggi venti anni... Quando ci penso credo proprio di essere stato sfortunato nella vita. Ma d'altro canto sono soddisfatto di aver fatto anch'io il mio dovere in favore dello sport romano". Ancherani è uno sportivo puro. Ancor oggi (ha oltrepassato da... un pezzo i vent'anni) non si sa distaccare dallo sport. Ed ancora si mantiene fedele alla sua bandiera biancoazzurra. Quando ha occasione di raccontare qualche episodio della sua movimentata vita sportiva si sente commosso. E guai a quei giocatori specie se laziali che capitano sotto il suo fuoco oratorio: è capace di tener loro per una mezz'ora intera una conferenza sul "come si deve stare in campo". "Oggi si parla spesso di "fuori forma", di stanchezza - dice lui - perché un giuocatore è costretto a disputare ogni domenica una partita di campionato e ad allenarsi un paio di volte la settimana. Ai miei tempi - e qui marca la voce - ci allenavamo tutti i giorni, la domenica si giocavano una o due partite, disputavamo il più delle volte anche qualche gara podistica e non eravamo mai stanchi".

"Ci vuole passione, miei cari, ci vuole passione!...". Ed Ancherani tutto felice di essersi sfogato, specie se è stato ascoltato con attenzione, si lascia prendere dalla nostalgia dei ricordi. "Allora viaggiavamo in terza classe, mangiavamo male, qualche volta non soddisfacendo neppure il nostro appetito se la colletta non aveva raggiunto la cifra sufficiente. Ma vincevamo lo stesso. Eravamo un pugno di giovanotti veramente in gamba. I miei compagni erano certamente meglio di me - è la modestia che glielo fa dire - e la Lazio poteva fare completo assegnamento sulla nostra volontà più che sul nostro valore. Una volta, parlo del 1907, (in realtà si tratta del 1908 - nda) ci trovammo in un bell'impiccio. Dovevamo disputare il Torneo dell'Italia Centro Meridionale, al quale partecipavano anche le squadre del Pisa, del Livorno, dello Spezia e del Lucca. Secondo i precedenti accordi con gli organizzatori noi della Lazio (perché essendo studenti non potevamo assentarci più giorni da Roma) eravamo stati dispensati dal partecipare alle eliminatorie, ed avremmo dovuto disputare la finale nel pomeriggio di domenica. Arrivammo perciò a Pisa la sera del sabato (naturalmente viaggio in terza classe, a nostre spese, e anzi se ci fosse stata una classe inferiore avremmo certamente viaggiato in quella) e fummo accolti con tutti gli onori..."

"Ci parve addirittura un sogno di essere trattati così bene. Figuratevi che ci avevano perfino preparato dei ricchi pagliericci in una scuola così non dovevamo spendere nulla per l'albergo. E durante la notte regnò la più simpatica e cameratesca allegria. Le scarpate volavano da un letto (scusate, pagliericcio...) all'altro, ch'era una bellezza. Come Dio volle arrivò la mattina. Ci eravamo proposti di fare un bel giro per la città, ma invece... Ecco che si presentano mogi mogi tre signori del Comitato organizzatore i quali ci dicono che il Lucca aveva protestato e infirmava la validità del Torneo se non avessimo partecipato alla finale (il Livorno già aveva vinto il girone eliminatorio) senza prima incontrarci con loro. Le nostre proteste non valsero a nulla. I signori del Comitato ci dissero che non potevano far niente e che già era stato fissato l'orario della gara: ore 10. Mancavano pochi minuti e non ci restò altro da fare che recarci in fretta e furia al campo. Giocammo col Lucca e lo battemmo regolarmente per tre goal a zero. La nostra fatica terminò verso mezzogiorno. Ci recammo a mangiare in una osteria lì vicino al campo. Ma ecco che verso l'una si ripresentano quei tre tali signori del Comitato. Avevano un'aria tutta mesta, come se venissero ad annunziarci qualche ferale notizia. E difatti se non era proprio ferale la notizia, certo era molto triste. Pensate! Anche la Spes di Pisa aveva reclamato".

"Come il Lucca anche i pisani volevano sbarrarci il passo per la finale. Ma questo è un tranello - dicemmo noi - ma i patti...".

"I patti sono una gran bella cosa ma come vedete la maggioranza delle squadre concorrenti si sono ribellate!".

"Ma noi non possiamo giocare un'altra partita a solo un'ora di distanza dall'altra. E' una cosa assurda..."

"Ci dispiace, ma non c'è niente da fare. Il Comitato è molto rattristato di quanto accade, ma non può opporsi al regolamento"

"Proprio niente da fare. Avevamo il sangue che ci bolliva nelle vene. Essere trattati così quando la sera avanti ci avevano perfino fatto trovare i letti... Mah, pazienza; vuol dire che tutti gli sportivi d'Italia - pensammo - sapranno in quale modo ci hanno battuto. E decidemmo di accettare la sfida. Alle 14 eravamo sul campo. La partita fu molto dura, anche perché il pubblico pisano incitava a gran voce i giocatori... pisani, (qui Sante probabilmente confonde la gara in quanto la seconda partita fu disputata contro la Spes di Livorno - nda) ma vincemmo lo stesso e il risultato fu di ben quattro goal a zero! Ci prendemmo un'oretta di riposo prima di giocare col Livorno. Nel frattempo tenemmo un piccolo consiglio tra noi. Io ero il "capitano" e miei compagni erano Bompiani, Saraceni, Faccani, Federici, Corelli I e Corelli II, Marrajeni, Pellegrini, Omodei, dos Santos".

"La decisione fu una e precisa: giocare tutte le nostre forze e con tutta la nostra volontà, far vedere di che cosa erano capaci i calciatori romani. Raccomandai ai miei compagni più che mai calma e passaggi di astuzia e cominciammo. Anche questa partita fu combattutissima. E noi, stanchissimi, cercavamo di svolgere un gioco volante, cioè far viaggiare il più possibile la palla senza correre tanto. Il primo tempo si chiuse 0 a 0. Una bella affermazione per noi. Nella ripresa tenemmo ancora più duro e finalmente a 7 minuti dalla fine Corelli, che giocava all'ala sinistra, fece un bel passaggio ed io potei scattare tra i terzini e segnare un goal... Avevamo vinto! Al termine della partita ci portarono in trionfo. Quel pubblico che prima ci aveva fischiato adesso ci portava alle stelle. Ma nel viaggio di ritorno, in treno, quasi tutti avevamo la febbre per lo sforzo compiuto. Non dimenticherò mai quella giornata campale..."

Così racconta Ancherani. Ma bisogna sentirlo con che tono appassionato, con che calore, con quanta enfasi dice delle "tre partite in una giornata". E ne ha ben ragione: un'affermazione sportiva di questo genere merita di essere ricordata con legittimo orgoglio.



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