12 maggio 2014 - "Di padre in figlio" - Quarantennale scudetto 1973/74 p. 3

Da LazioWiki.

Stagione

Il 12 maggio 2014 ricorre il quarantennale della gara Lazio-Foggia 1-0 nella quale la S.S. Lazio Calcio conquista aritmeticamente il suo primo scudetto. Per la particolare occasione viene organizzata una manifestazione tenutasi allo stadio Olimpico che ha visto un'enorme partecipazione di pubblico. In questa e nelle successive pagine proposte, LazioWiki ripropone per i propri lettori gli eventi connessi a questa giornata di festa per tutti i tifosi biancocelesti.


Un'immagine inerente l'evento
Le storiche maglie delle tre formazioni biancocelesti che si sfideranno nel triangolare
Tratto dalla diretta di Rai Sport 1, George Chinaglia jr ripropone il calcio di rigore battuto quarant'anni prima dal papà Giorgio nella gara Lazio-Foggia 1-0 del 12 maggio 1974 che valse lo scudetto 1973/74 ai biancocelesti
Tratto dalla diretta di Rai Sport 1, il fotogramma del tiro vincente di Dejan Stankovic

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Le fotografie della manifestazione


Le mini-partite disputate in data 12 maggio 2014[modifica | modifica sorgente]

I gara: LAZIO 1974-LAZIO 1987 0-0

LAZIO 1974: Pulici (Gabriele Pulici), Petrelli, Oddi, Wilson, Martini, Re Cecconi jr, Nanni, Frustalupi jr; Manservisi, Chinaglia jr, D’Amico. Sono entrati anche Sulfaro, Inselvini, Tripodi, Di Chiara, Giordano, Agostinelli, Wilson jr, Petrelli jr, Oddi jr, Nanni jr, D’Amico jr, Franzoni. Allenatori: Materazzi, Massimo Maestrelli, Sbardella jr, Giancarlo Morrone, Stefano Lovati, Facco.

LAZIO 1987: Peruzzi, Brunetti, Gregucci, R. Marino, Piscedda, Caso, Marini, Poli, Torrisi, Garlini, Venturin. Sono entrati anche Miele, Ruben Sosa, Corino, Calisti, Pin, Rambaudi, Corradi, Beruatto, Dell’Anno, Piscedda jr, Dabo, Firmani, Baronio. Allenatori: Fascetti, Papadopulo, Governato, Eufemi.

Arbitro: Sig. Longhi (Roma).


II gara: LAZIO 1974-LAZIO 2000 0-1

LAZIO 1974: Sulfaro, Petrelli, Oddi, Wilson, Martini, Re Cecconi jr, Nanni, Frustalupi jr, Manservisi, Chinaglia jr, Giordano jr. Sono entrati anche Gabriele Pulici, Inselvini, Tripodi, Di Chiara, Giordano, Agostinelli, D’Amico, Wilson jr, Petrelli jr, Oddi jr, Nanni jr, D’Amico jr, Franzoni. Allenatori: Materazzi, Massimo Maestrelli, Sbardella jr, Giancarlo Morrone, Stefano Lovati, Facco.

LAZIO 2000: Marchegiani, Pancaro, Nesta, Mihajlovic, Favalli, Sergio Conceicao, Giannichedda, Stankovic, Gottardi, Mancini, Signori. A disposizione/entrati: Ballotta, Fernando Couto, Pinzi, Fiore, Marcolin, Oddo, Negro, Casiraghi, Boksic. Allenatori: D. Rossi, Janich, Pagni, Mari.

Arbitro: Sig. Longhi (Roma).

Marcatori: 10' Stankovic.


III gara: LAZIO 1987-LAZIO 2000 0-0

LAZIO 1987: Peruzzi, Brunetti, Gregucci, R. Marino, Piscedda, Caso, Marini, Poli, Torrisi, Ruben Sosa, Corradi. Sono entrati anche Miele, Corino, Calisti, Pin, Rambaudi, Beruatto, Dell’Anno, Piscedda jr, Dabo, Firmani, Baronio. Allenatori: Fascetti, Papadopulo, Governato, Eufemi.

LAZIO 2000: Marchegiani, Oddo, Fernando Couto, Mihajlovic, Favalli, Sergio Conceicao, Fiore, Marcolin, Gottardi, Casiraghi, Signori. A disposizione/entrati: Ballotta, Pancaro, Pinzi, Giannichedda, Negro. Allenatore: D. Rossi, Janich, Pagni, Mari.

Arbitro: Sig.


Note: le tre mini-gare, della durata di circa 20/35 minuti, hanno previsto cambi come nel calcetto ("al volo"). Prima delle partite George Chinaglia jr ha calciato un penalty (in porta sotto la Curva Sud Angelo Peruzzi) per ricordare il gesto del papà Giorgio in memoria della rete-vittoria segnata nella gara Lazio-Foggia 1-0 del 12 maggio 1974. Ha dato il via al primo incontro l'ex arbitro Giuseppe Panzino di Catanzaro, direttore di gara della citata Lazio-Foggia. Nonostante gli articoli di stampa li riportino, non risultano presenti in campo e/o partecipanti all'evento i seguenti calciatori: Franzoni, Marino, Boksic, Dell'Anno, Beruatto, Pin, Governato e Ballotta.

Spettatori: 65.000 circa.



La sfilata degli atleti della Polisportiva
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Una coreografia dedicata a Giorgio Chinaglia
Una panoramica dello Stadio Olimpico gremito in ogni ordine di posto
La Curva Nord
Tommaso Maestrelli sul tabellone della Curva Nord
La Curva Nord "tricolore"
Lo storico striscione degli Eagles' Supporters ubicato in Curva Sud
Con la maglia scudettata Luigi Martini, Giuseppe Wilson, Giancarlo Oddi, George Chinaglia jr
I Campioni del 1974
Uno striscione dedicato dalla tifoseria biancoceleste ad Eugenio Fascetti, indimenticato tecnico della Lazio del "meno nove"
I Campioni del 1974 applaudono i tifosi
I Campioni del 1974 sotto le tribune
Giancarlo Oddi e Pino Wilson alzano una targa
La formazione a cui è dedicata la manifestazione
Un momento dell'evento
Le tre formazioni biancocelesti sul prato dell'Olimpico
Un'immagine della manifestazione: le formazioni biancocelesti in campo
Un'immagine dell'evento
Alessandro Nesta insieme all'ex Presidente Sergio Cragnotti
Una coreografia dedicata a Giorgio Chinaglia e uno striscione per il Presidente Sergio Cragnotti
Sergio Cragnotti e Giancarlo Oddi
Sergio Cragnotti, Guido Paglia e Pino Wilson
Alessandro Nesta festeggiatissimo dai tifosi biancocelesti
Alessandro Nesta, ritorno a Roma per il capitano del secondo scudetto biancoceleste del 2000
Cristiano e Giorgio Sandri, fratello e papà di Gabriele Sandri
L'ex allenatore biancoceleste Delio Rossi
Giuseppe Pancaro e Felice Pulici
Giuliano Giannichedda e Stefano Fiore
Bernardo Corradi
Roberto Mancini con la Lazio Campione d'Italia 1999/2000
Sergio Cragnotti con Cesar Rodriguez Aparecido
Giuseppe Wilson
Giancarlo Oddi e Pino Wilson
Vincenzo D'Amico abbraccia Sergio Cragnotti
Pino Wilson e Felice Pulici
Un momento dell'evento
Pierluigi Casiraghi e Angelo Peruzzi
Una fase della gara "Lazio 2000"-"Lazio 1987"
La tifoseria biancoceleste
La tifoseria biancoceleste
La tifoseria biancoceleste
La tifoseria biancoceleste
"Grazie a tutti"

Rassegna Stampa[modifica | modifica sorgente]

13 maggio 2014

Dalla Gazzetta dello Sport:

Che festa Lazio tra emozioni, ricordi e boati.

Festa doveva essere, la serata "Di padre in figlio", e festa è stata, sin dal pomeriggio, quando il raduno in albergo si è trasformato in una rimpatriata: dei protagonisti annunciati mancava solo Boksic, c’erano i vari Negro, Nesta, Marchegiani, Favalli, Fiore, Giannichedda, Peruzzi, Venturin, Oddo, Baronio, e Giampiero Pinzi, che nell’anno del secondo scudetto faceva la Primavera, ed era l’unico tra i presenti ancora in attività. Giuseppe Materazzi chiacchierava con Papadopulo, Fascetti stava in poltrona poco più in là, non lontano da Mimmo Caso, Mihajlovic con l’amico Stankovic, Vincenzo D’Amico ha monopolizzato l’attenzione perché ben pochi hanno rinunciato a sfotterlo per il decadimento della forma fisica. "Ho smesso di fumare — rispondeva ridendo — si prende sempre qualche chilo". Roberto Mancini è arrivato direttamente dagli Internazionali ma si è preso parecchi applausi, battuto solo da Giuseppe Signori ("Ho qualche chiletto in più, ma sono uno di quelli che sta meglio: il gol che mi ha più emozionato è il rigore col Napoli che ci ha riportato in Uefa dopo anni").

Prima della partita la parata della Polisportiva, conclusa dall’applauditissimo lancio dei protagonisti, tra gli ospiti Giorgio Sandri, a rappresentare la squadra di oggi Radu, Keita e Ledesma, mentre Alvaro Gonzalez era passato in albergo per portare gli scarpini a Ruben Sosa, suo idolo. Allo stadio lo storico striscione degli Eagles' Supporters, che mancava da 25 anni, in campo più abbracci che calcio, anche per i cambi volanti, su tre mini gare da 35’: risate quando Mihajlovic prima di calciare una punizione è andato a controllare che non ci fossero ragnatele all’incrocio, e Peruzzi si è piazzato lì, lasciando scoperto il resto della porta (tiro fuori). Dopo ha evitato volutamente di tirare il tecnico della Sampdoria, divertendosi a servire i compagni, l’unica rete del triangolare, che ha dato la vittoria alla Lazio del 2000 l’ha segnata Dejan Stankovic da fuori. Alla fine anche la contestazione a Lotito è scivolata via: cori nel prepartita, e una lunghissima e non casuale ovazione per Sergio Cragnotti, che ha ricordato con soddisfazione che pure lui aveva avuto a che ridire con parte della tifoseria, che oggi lo inneggia. "Il connubio squadra-tifosi deve rimanere — ha detto — perché è sinonimo di successo, spero ci sia anche nel futuro". Difficile, ma era stato promesso che la serata non sarebbe stata l’occasione per prendersela con l’attuale proprietario, e i cori di festa hanno superato di gran lunga quelli contro.


Che festa scudetto. Tutti a rivedere le stelle della Lazio.

Un Olimpico così non si vedeva da tempo. Gremito, con centinaia di bandiere biancocelesti. Potere di una serata amarcord dalle emozioni forti, anzi fortissime per il popolo laziale. Erano in 60 mila per celebrare il 40° anniversario del 1° scudetto del club. Conquistato il 12 maggio del 1974 grazie alla vittoria per 1-0 sul Foggia con gol di Chinaglia dal dischetto. E la serata è iniziata proprio con un rigore calciato dal figlio di Long John, Giorgio junior, a ricordare quella giornata incredibile di 40 anni fa. Ad organizzare la serata proprio i protagonisti di quel successo unico: Pino Wilson, Giancarlo Oddi, Felice Pulici e tutti gli altri. E chi non c’è più era rappresentato dai figli: Chinaglia junior, ma anche Stefano Re Cecconi, Niccolò Frustalupi e Massimo Maestrelli. Sono anche tornati in campo i reduci del 74, indossando maglietta e pantaloncini. Il tempo passa, i chili aumentano, i capelli si diradano, ma le emozioni (soprattutto ripensando a quanto fecero 40 anni fa) sono le stesse di allora.

Nesta, Mancini e Cragnotti di nuovo in campo per ricevere l’abbraccio dell’Olimpico e per disputare un triangolare con gare di 35’ e con cambi in stile calcetto per non mettere a rischio le coronarie. Gli avversari? Le altre due Lazio più amate della storia. Quella che conquistò lo scudetto nel 2000 e quella che nel 1987 evitò la retrocessione in C nonostante il -9 iniziale (vittoria finale per la Lazio 2000). La serata si è così trasformata in un happening biancoceleste. Con tanti campioni del passato lontano e recente. Applausi per tutti, da Mancini a Mihajlovic, da Signori a Giordano, da Peruzzi a Casiraghi, da Fascetti a Delio Rossi, solo per citarne alcuni. Applausi anche per l’ex presidente Sergio Cragnotti (presente in tribuna), mentre per quello attuale, Lotito (ovviamente assente), i soliti fischi. L’ovazione maggiore è andata ad Alessandro Nesta. "Io di nuovo alla Lazio? Mai dire mai...", ha detto l’ex capitano, che ha poi regalato pure una battuta sull’altra sua ex squadra: "Speriamo che il Milan torni a fare investimenti, solo così può riaprire un ciclo".


"Ho lasciato questo stadio pieno di tifosi laziali che festeggiavano e lo ritrovo esattamente nella stessa situazione. Sono emozioni uniche, difficili da raccontare". Delio Rossi è tornato laziale per una sera. La sua ultima volta all’Olimpico con i colori biancocelesti addosso era stata in un’altra serata di maggio, cinque anni fa, per la finale di Coppa Italia vinta ai rigori sulla Sampdoria. "Poi ci sono tornato da avversario della Lazio, stavolta invece ci torno da "laziale", grazie ad un invito che mi ha fatto enormemente piacere. Significa che qualche buon ricordo in questa società l’ho lasciato". Delio Rossi ieri sera ha fatto l’allenatore della squadra dello scudetto del 2000 ("Un vero onore"), ha ritrovato tanti amici, ma soprattutto ha vissuto una serata unica. "Il calcio è fatto di emozioni — continua RossiQuando riesci a suscitarle poi ricevi in cambio affetto. Qui si festeggiano due Lazio scudettate, ma anche una che evitò la retrocessione in serie C. Che è amata quanto e forse più delle altre, proprio perché fu capace di regalare grandi emozioni in tutta la gente biancoceleste". Ogni riferimento alla attuale Lazio di Lotito non sembra casuale. "Ma io ringrazierò sempre Lotito per avermi dato l’opportunità di allenare la Lazio e di entrare a far parte della storia di questo club unico", chiude Delio Rossi, uno dei protagonisti della bella festa di ieri sera.


Da Il Messaggero:

I tifosi ritrovano la Lazio. Sessantacinquemila persone per rievocare lo scudetto del ’74. Da anni lo stadio non era così pieno di laziali felici e festanti. Applausi e cori per tanti ex campioni che non sono voluti mancare. Sancita la pace con Nesta, acclamato Cragnotti. Grande assente Lotito.

Un abbraccio lungo quarant’anni. Stretto, stretto che tiene saldamente legate tre generazioni di laziali. "Di Padre in Figlio", nome più giusto non poteva esserci per celebrare quel 12 maggio del 1974, la vittoria del primo scudetto della Lazio. L’impresa più bella per chi tifa biancoceleste, probabilmente una delle più emozionanti della storia del calcio italiano. E’ la serata che ogni laziale ha sempre desiderato, con l’Olimpico pieno di sciarpe e bandiere. Un’onda a tinte biancazzurre. Ieri sera il sogno è diventata realtà. Una realtà imbarazzante per l’attuale presidente e proprietario del club Claudio Lotito, unico grande assente di una delle feste più incredibili che la storia laziale possa ricordare. Prima dell’ingresso in campo dei protagonisti, ha sfilato l’intera Polisportiva, con l’arrivo a metà campo di tre paracadutisti. Sugli spalti in sessantacinquemila a gridare l’amore per la prima squadra nata nella capitale. Nelle tribune dell’Olimpico non c’è spazio, la gente è seduta perfino sulle scale. Fuori c’è il delirio. Un "caos pacifico" che ha creato problemi di traffico nella parte Nord della capitale, rimasta bloccata per ore. Almeno quindicimila le persone che hanno acquistato all’ultimo momento il biglietto. Una buona parte dei tifosi ha dovuto desistere e ritornare a casa, limitandosi a seguire la festa in diretta televisiva.

Una cosa del genere non si era vista nemmeno quando ci fu la festa per il secondo scudetto, quello del 2000 con Cragnotti e la sue stelle, da Nesta, celebratissimo anche ieri che si è riconciliato con il pubblico, a Mihajlovic, Conceicao, Boksic e tutti gli altri. I laziali ci sono e sono tanti. "Ma che succede?", si chiedeva disperata una signora bloccata per mezzora in macchina davanti al Foro Italico. "Signo’, nun se preoccupi, è il giorno della liberazione della Lazio", gli risponde in coro una famiglia al completo: nonno e nonna, rispettivi figli e nipoti. Tutti insieme, con sciarpe e bandiere, a vedere la Lazio e tifare per Wilson e Oddi, Chinaglia, Maestrelli e Re Cecconi, ma anche per Ruben Sosa e Poli, Nesta, Mancini e Mihajlovic. "Di Padre in Figlio", appunto. È la fede per i colori laziali tramandata di generazione in generazione. I bambini, raggianti, saltellano da una parte all’altra dello stadio, regalando la fotografia più bella, dopo poco più di una settimana da Napoli-Fiorentina. Lotito non c’era, e chissà se avrà guardato in diretta tv quanto è successo ieri all’Olimpico. Avrebbe dovuto farlo. Per lui è una sconfitta pesante, lacerante, ma anche un’occasione da prendere al volo per rimettere le cose a posto e ripartire tutti insieme nel nome della Lazio.


Sosa, Mihajlovic, Mancini: il passato torna a far emozionare l’Olimpico. Nesta e il ritorno "Mai dire mai, ritrovo tanti amici".

Questa banda suona ancora il rock. Ballano scatenati sessantacinquemila padri e figli, con in mano una fede e il cielo per bandiera: "È un onore partecipare a questa meravigliosa festa", cantano in coro Ruben Sosa, Poli, Signori, Stankovic, Mihajlovic, Mancini, Dabo. Stritolato nell’abbraccio il figlio prediletto, Nesta: "Il mio ritorno? Mai dire mai. Intanto è bello ritrovare vecchi amici. Ora che le cose vanno così così, forse tutti i laziali hanno bisogno d’assaggiare un po’ di passato". È un’immersione nella storia all’Olimpico, solo Lotito resta lontano, nella sua isola "infelice": "Io devo ringraziarlo per avermi portato a Roma –ammette Delio Rossima se non c’è rispetto per il passato, non può esserci futuro. Questa serata lo dimostra, la gente ripaga solo le emozioni che riceve". Chiaro, Signori: "È un’apoteosi di lazialità". Quarant’anni dopo, è come fosse ieri quel 12 maggio 1974. Tifosi impazziti e commossi, c’è lo sguardo trasparente di Maestrelli: "I laziali chiedono solo amore, così mio padre li ha conquistati e si è fatto volere bene", assicura il figlio Massimo. Ancora appeso a quel dito al cielo di Chinaglia, alle luci abbaglianti del primo scudetto. Eccolo il manifesto della lazialità, basta ridare memoria al mito e l’ordine biancoceleste del pallone è ristabilito: "Non so se questa serata potrà placare il dissenso con Lotito – spiega Bergodima è un omaggio a una squadra fantastica".

Si respira polvere, gesso e tanta gloria. Questa è una notte perfetta, riavvolgi "Tutto il calcio minuto per minuto" e abbracci l’eternità. Non conta il futuro, non ne vuol parlare Mihajlovic: "Sono felice di rivedere l’Olimpico così pieno dopo 15 anni". E l’ex compagno Stankovic: "Non c’è mai stato alcun contatto per tornare, alla Lazio avrei potuto vincere di più". Non ditelo all’ex presidente Cragnotti: "La mia soddisfazione era rendere la Lazio vincente. Ora però dobbiamo restare vicini a questi colori". I tifosi invocano un simbolo, uno con l’aquila sul petto. Un unico cuore di queste tre Lazio: "L’attuale contestazione? È figlia del troppo amore verso questa squadra", assicura Papadopulo, secondo allenatore dell’era Lotito. E la "plusvalenza" Oddo: "È un peccato che questo pubblico possiamo godercelo solo noi ex. Spero di rivederlo presto anche per la "Lazio vera"". Toc, toc, Gonzalez bussa alla porta di Ruben Sosa: "Sono qui per portare gli scarpini a Ruben. Lui è un mio idolo, lo seguo fin da piccolo perché viene da Montevideo come me. Ha giocato in una grande Lazio". Il "Tata" si coccola Ruben, che ringiovanisce: "È stupendo vestire di nuovo la maglia biancoceleste". Su le braccia di fronte a così tanta lazialità, bellezza, coraggio, sovversione. Commozione. Piangono tutti, piange il cielo. C’è chi lo fa da quarant’anni e non ha ancora smesso. Rimane una luce negli occhi di questa Lazio.


Dal Corriere dello Sport:

Lazio una notte d’amore. Affluenza eccezionale: in 65.000 allo stadio Olimpico applausi a Nesta, cori per Cragnotti, fischi per Lotito.

Quando i vecchi campioni del ‘74 si sono raccolti sotto la Curva Sud, intitolata a Maestrelli, s’è scatenato un diluvio di emozioni. Brividi veri, un fiume di passione, sessantacinquemila cuori, gli antichi Eagles' Supporters raccolti in quello spicchio di stadio, oggi quasi mai aperto dalla Lazio per le partite ufficiali. "Quanta strada Tom" s’è messo a cantare Tony Malco mentre sui maxischermi dell’Olimpico passavano le immagini in bianco e nero del Maestro e della signora Lina. Tutti i suoi ragazzi erano intorno al cantore della Lazio, quello a cui Chinaglia aveva chiesto di scrivere l’inno "Vola Lazio vola", dev’essere scivolata qualche lacrima guardando verso l’alto. Nei distinti è stata svelata una bellissima coreografia, il dito puntato di Long John verso i tifosi della Roma e Alessandro Nesta, sì proprio lui, il vecchio capitano, si è messo a correre verso la Nord per andare a raccogliere l’abbraccio dei suoi tifosi, siglando una pace storica. Se n’era andato al Milan, venduto per motivi di bilancio, ed era stato ripudiato, quasi rinnegato, dal popolo biancoceleste. Ieri sera, per incanto, è sparito ed è stato cancellato ogni ricordo negativo. Tutta la Lazio era riunita intorno a Wilson e Pulici, Oddi, Petrelli, Martini, D’Amico e Nanni, i padri e i figli del gruppo indistruttibile costruito da Lenzini, perché insieme e accanto ai ragazzi del ‘74 sono scesi sul prato dell’Olimpico anche Niccolò Frustalupi, Stefano Re Cecconi, mentre Massimo Maestrelli, Antonio Sbardella junior e Stefano Lovati erano in panchina.

L’Olimpico s’è infiammato quando Sergio Cragnotti è entrato in campo e ha salutato la gente. "Un presidente, c’è solo un presidente" hanno intonato in sessantamila e qualche istante dopo sono partiti i cori ostili per Lotito. Una presenza impalpabile, solo nell’aria e in una fugace inquadratura strappata a immagini di repertorio legate alla finale di Coppa Italia del 2009, quando la Lazio s’impose ai rigori sulla Samp. L’imprenditore di Villa San Sebastiano è apparso sui maxischermi mentre abbracciava Rossi (acclamatissimo) e allora è partito un boato, sessantacinquemila fischi, a scavare le distanze abissali tra la gente e l’attuale gestione societaria. Contrasto stridente. Ma la contestazione s’è avvertita appena, è durata un paio di minuti, non di più. Gli applausi sono andati a Keita, Radu e Ledesma, inviati a rappresentare la Lazio e abbracciati dalla Nord, mentre Giorgio Chinaglia jr è stato portato sotto la Sud per battere un rigore dal valore profondamente simbolico. Peruzzi s’è scansato e quella palla centrale s’è infilata in rete proprio come accadde il 12 maggio 1974, quando la Lazio con un rigore di Chinaglia piegava il Foggia alla penultima giornata e si laureava campione d’Italia. Quarant’anni dopo alle 21, arbitro Carlo Longhi, la banda Maestrelli, con molti chili in più e diversi capelli bianchi, è tornata in campo. Felice Pulici è rimasto tra i pali cinque minuti prima di togliersi la maglia e lasciare il posto al figlio Gabriele, nato il giorno dello scudetto. La Lazio dei meno 9 non ha infierito. I vecchi ragazzi di Maestrelli, arroccati intorno a Oddi e Wilson, sostenuti a centrocampo dai figli di Re Cecconi e Frustalupi, sono riusciti a difendere lo 0-0. Poi è entrato anche Bruno Giordano con il figlio Marco e l’Olimpico, in uno sventolio di bandiere biancocelesti, s’è emozionato abbracciando gli eroi dello scudetto di Cragnotti. Pancaro, Nesta, Mihajlovic e Favalli davanti a Marchegiani, gli slalom di Sergio Conceicao e il destro potente di Stankovic (suo il primo gol della serata), e in attacco la coppia mai vista formata da Mancini e Signori, che decise di lasciare la Lazio in una gelida notte di Vienna. Ci voleva la festa dell’Olimpico per metterli insieme. Perché questo è il calcio, questa è stata la Lazio più amata dalla gente.


Wilson: "Serata incredibile. Vedere così tante persone allo stadio la dice lunga..."

Grazie per sempre agli eroi del 1974, i padri dei figli, i padri del primo scudetto. "Pazzi, rissosi e indomabili... laziali", hanno scritto nella Curva Maestrelli, quella banda conquistò il primo tricolore, quella banda ha avuto il potere di riportare il popolo laziale all’Olimpico, quarant’anni dopo. Capitan Wilson e i suoi compari vinceranno per sempre: "Non me l’aspettavo – ha detto il mitico Pino – è stato bellissimo vedere l’Olimpico così pieno, così felice. Siamo stati gratificati dalla presenza di 60mila persone, un grazie ai nostri tifosi, tutto questo è stato possibile anche grazie alle istituzioni. E’ stata una serata bellissima, il fatto che siano venuti tanti bambini la dice lunga, siamo felici di questo. Festeggiare il nostro scudetto 40 anni dopo, in uno stadio del genere, ci ha emozionati, è stato come vivere un sogno ad occhi aperti". Bruno Giordano in campo, Bruno Giordano sotto la Nord, Bruno Giordano con la maglia biancoceleste addosso, sembra di tornare indietro nel tempo, vieni voglia di gridare gol: "Magnifico, è stato tutto magnifico, mi sono emozionato. Ogni giocatore tornato a Roma per questa notte – ha raccontato Giordanoha fatto qualcosa di importante per la maglia della Lazio. Chi non vedevo da molto tempo? Forse Nesta, ma la cosa altrettanto bella è aver rivisto anche i figli di chi non c’è più come Maestrelli, Chinaglia, Sbardella. La Lazio è una fede che si tramanda di padre in figlio come recita il titolo dell’evento, se è stato emozionante per noi immaginiamo quanto lo sia stato per le persone che ci hanno voluto bene e ci hanno accompagnato nella nostra carriera". Bruno Giordano e le sue prodezze incancellabili, Bruno Giordano bomber da record, nella galleria dei ricordi ha un posto riservato: "Dagli anni ‘50 in poi ci sono stati tutti i rappresentanti della Lazio all’Olimpico, è stato un bagno di lazialità incredibile. Il ricordo più importante che mi lega alla società? Forse l’1-0 a Napoli quando perdemmo lo scudetto con il gol di Damiani. Buttai la radiolina per terra, poi ebbi l’opportunità di fare il provino con la Lazio".


Cragnotti, la star della notte. Invocato e applaudito dai tifosi: "Questa riconoscenza è una cosa straordinaria". Il presidente della Lazio stellare: "L’unità tra gente e tifosi necessaria per tornare in alto".

Una festa dei laziali, per la Lazio ma senza la società legale che la rappresenta. Un movimento di popolo, dal basso. C’è un’assenza eccellente, quella del presidente Claudio Lotito, e una presenza altrettanto eccellente, quella dell’ex presidente Sergio Cragnotti. Un nome capace di evocare ricordi sportivi dolcissimi per i sostenitori biancocelesti. Una Lazio, quella, che sapeva dettare legge in Italia e in Europa. Un squadra e dei calciatori che rappresentano un mito per un’intera generazione. Cragnotti è una sirena che strega i tifosi quegli stessi che, per protesta contro l’attuale dirigenza, hanno deciso di disertare lo stadio Olimpico in questa stagione disgraziata. E le parole che l’ex numero uno biancoceleste spende prima del triangolare con tutte le vecchie glorie coincidono con quelle che tutti si aspettano e desiderano. "Quello di stasera è un evento che regala grande emozione a tutti i laziali". Uno stadio tutto a favore. Rivedere un Olimpico con sessantacinquemila persone è una specie di miraggio, merce rarissima non solo nella stagione che si avvicina al termine, ma in generale negli ultimi anni. Un pubblico che quasi interamente agogna il ritorno in campo di Cragnotti (i cori al suo ingresso allo stadio "C’è solo un presidente", "Caccia Lotito", con tanto di standing ovation, lasciano poco spazio a dubbi). "Avere questa riconoscenza è straordinario – si schernisce l’ex presidente – speriamo di poterla avere ancora". Una stagione tormentata, vissuta lungo una frattura insanabile tra tifosi e proprietà. "I dissapori in una società di calcio sono fisiologici, ma poi ci si dovrebbe sempre ritrovare nel nome della lazialità".

Questioni di cuore. E sono proprio queste le note su cui vuole perdersi il tifoso laziale. Passione pura. Cragnotti non lesina: "Oggi serve essere tutti uniti attorno alla maglia biancoceleste, perché questa squadra deve riportarsi in alto". L’auspicio è miele, succo dolcissimo, progetto per il futuro. "Il connubio squadra-tifosi è sinonimo di successo. Speriamo che ci possa essere in futuro". In una stagione in cui la Lazio si ritrova con un pugno di mosche in mano, solo far balenare la possibilità di tornare a vincere è concetto capace di suscitare emozioni profonde. Una sfilza sterminata di campioni fa venire l’acquolina, inietta coraggio, anche solo quello necessario per sperare. Il tempo dei ricordi. Arriva infine anche il momento dei ricordi, di una Lazio che aveva le idee molto chiare su quali passi compiere per vincere. Le parole di Cragnotti sembrano quasi voler evocare una via da seguire, comunque in assoluto non serve vivere di ricordi, ma bisognerebbe far tesoro di quel che è stato: "Da quando abbiamo comprato la Lazio abbiamo capito che si poteva far bene, perché la più grande soddisfazione era di rendere la squadra vincente sul piano internazionale, la squadra doveva seguire le direttive economiche della società". Grandi firme. Una Lazio stellare composta da tanti campioni. Roberto Mancini la più brillante. L’ex fantasista ha riconosciuto che il motore di tutto fu Cragnotti. Il presidente incassa i complimenti, ma spiega e in un certo senso rende onore e merito a un campione assoluto in campo e ora anche fuori, in panchina: "Anche lui è stato un elemento fondamentale per il cambiamento della strategia della società. Per cambiare la mentalità provinciale ho portato tutto lo staff che aveva alla Samp, e lui ha dato un grandissimo contributo". La ricetta forse è tutta qui, trovare un cambio di ritmo capace di ridare entusiasmo a un gruppo apparso svuotato e a una tifoseria che ha ancora tanta passione da spendere. E vuole solo poter ricominciare a farlo.


Padri e figli, figli e padri laziali. La storia della Lazio è fatta di gioie e dolori che non si dimenticano. Giorgio Chinaglia jr è sceso in campo con la 9 di Long John: "Sono contento di essere tornato all’Olimpico. Papà era un grande, era unico. Sono andato a visitare lui e Tommaso al cimitero visto che da qualche mese sono vicini. Maestrelli era un po’ il papà di mio padre". Giorgio Sandri ha abbracciato il suo Gabriele ricordandolo: "Mio figlio andava sempre in Curva Nord, questa è casa mia". Gabriele Paparelli, figlio di Vincenzo, ha ringraziato la gente laziale, c’era anche lui ieri sera nel nome del padre: "L’emozione è tanta, ringrazio tutti i tifosi, papà è ancora con loro". Massimo Maestrelli: "Il Maestro c’è ancora".


Nesta, pace storica "Che emozione". Alessandro è stato accolto tra gli applausi scroscianti. E Delio Rossi ritrova i "suoi" 60mila dell’Olimpico. Nesta: "Resterò ancora in America. Non ho ancora deciso cosa fare. Ora faccio il papà". Rossi: "Se tanta gente si ritrova a una partita così, vuol dire che c’è bisogno di lazialità". L’emozione di Alessandro Nesta, per lui gli applausi dell’Olimpico.

Il coro sale: "Un capitano, c’è solo un capitano". E’ Alessandro Nesta, osannato dal suo popolo, celebrato da tutto l’Olimpico, abbracciato sotto la Curva Nord, non ci andava da anni e anni. Il nome Nesta richeggia, rimbomba. Certe notti non finiscono, in certe notti rinascono gli amori, si riscrivono le storie, si fa pace, ci si abbraccia. Alessandro Nesta lasciò la Lazio in un’estate infuocata, datata 2002. Tornò all’Olimpico 20 giorni dopo il suo addio doloroso e rumoroso, lacerante, fu fischiato nel match col Milan, fu trattato come un traditore. Ieri, 12 anni dopo, Nesta è tornato tra gli applausi, s’è sentito nuovamente a casa, nella sua famiglia. Certi amori sono come certe notti, non finiscono mai: "Mi ha fatto piacere tornare all’Olimpico. Sono tornato per incontrare vecchi amici e vecchi tifosi della Lazio, è stato davvero bello. I tifosi hanno bisogno di riassaggiare un po’ di passato, quest’anno è andata così così. Mi ha chiamato Pino Wilson, una brava persona, mi ha fatto piacere". Nesta e i laziali, pace fatta. Nesta e i laziali, un amore che ritorna. In questi anni sono stati divisi, si sono ignorati. La ferita è rimarginata. Ai tifosi non piacque il modo in cui lasciò, a Nesta non andarono giù certe critiche. Oggi è tutta un’altra storia. Nesta e la Lazio, chissà che sarà. Sandro ha chiuso da calciatore, ripartirà da allenatore: "Rimarrò in America per un po’ di tempo, vedremo cosa succederà in futuro. Mai dire mai, può succedere di tutto. Contatti con la Lazio? Ho smesso di giocare (risata, ndr), non ho mai parlato con loro. Il mio desiderio è organizzare il futuro. E’ appena nata mia figlia, sto a casa, faccio il papà, vedremo nei prossimi anni. Devo capire cosa voglio fare, non ci sto pensando". Papà Nesta è destinato a tornare prima o poi, è stato così, lo sarà ancora.

Rossi. Storie che s’incrociano, storie di laziali. Delio Rossi non ha conosciuto fischi, lasciò nella notte in cui l’Olimpico tornò a riempirsi, ad ospitare 70mila persone, avverò un sogno vincendo la Coppa Italia 2009. Delio Rossi ha rimesso piede all’Olimpico, vestito di biancoceleste, ieri sera, ritrovando 65mila amici, regalando una parabola saggia. Il calcio è emozione, senza emozione nascono divisioni, il riferimento non era casuale, si parlava della crisi tifosi-Lotito. L’Olimpico s’è riempito perché s’è riconosciuto nei suoi eroi: "Se 60mila persone si sono ritrovate per vedere il nulla in campo vuol dire che sentimenti e passioni non sono sopiti. Non c’è futuro se non c’è rispetto per il passato, il primo passo deve essere fatto dalla società, la gente vuole vivere emozioni. Il problema si risolve essendo se stessi, cercando di regalare emozioni. La Lazio del meno 9 viene ricordata dopo la Lazio del primo scudetto, tra quelle due epoche è passato tanto tempo. Eppure quella Lazio che si salvò eroicamente è entrata nel cuore dei tifosi allo stesso modo, ciò la dice lunga sul rapporto che lega i laziali alle squadre più amate". Rossi ha ricordato i momenti più belli: "All’Olimpico sono tornato da avversario, ma l’ultima volta che l’ho vissuto da tecnico della Lazio riporta alla finale di Coppa Italia. Quel giorno c’erano 70mila persone ed è stato bello rivedere lo stadio pieno in occasione della festa ideata per i 40 anni del primo scudetto. Ho ricevuto l’invito e mi sono sentito onorato, penso di aver seminato bene. Se si ricordano di te significa che hai lasciato un buon ricordo, che hai lasciato qualcosa, di questo sono felice". Rossi e Lotito, il capitolo si conosce. Delio è tornato a parlare dell’ex presidente con rispetto: "E’ chiaro che in certe cose la vediamo in maniera diversa, ma ho sempre ringraziato Lotito per avermi dato la possibilità di allenare una grande società come la Lazio, per avermi fatto allenare in una grande città come Roma, una città stupenda. Roma mi ha adottato, ho preso la residenza, ormai sono un cittadino romano. A Roma ho conosciuto tanta gente, se ti comporti bene diventi uno di loro". Finale sul calcio moderno, sui disastri provocati dal business, ha rovinato i rapporti, ha sporcato i sentimenti: "La legge Bosman ha cambiato il rapporto tra giocatori, allenatori e società. Ma serate come questa danno speranza al calcio".


Poli: "Il gol, la mia fortuna. Quella rete salvezza, la gente ancora mi ringrazia".

Il salvatore. Il suo gol è tra i gol per sempre. Il suo gol non è stato un gol scudetto, è stato il gol della salvezza, una salvezza vera. Fabio Poli e la banda del -9, Fabio Poli e il gol al Campobasso, era il 5 luglio 1987: "Cosa ricordo di quell’emozione? I 27 anni successivi, ho sempre ricevuto messaggi di amore da parte dei tifosi laziali e mi hanno riempito di gioia. Quella rete è stata una mia piccola fortuna, solo i laziali riescono a creare emozioni del genere, sono felice di aver fatto parte di questa società e di aver partecipato alla festa del primo scudetto, è stato bellissimo tornare all’Olimpico". Poli ha fatto un augurio: "La crisi tifosi-Lotito? Mi auguro che qualcosa cambi, in questi casi deve essere la società ad andare incontro ai tifosi, deve essere il presidente". Cristiano Bergodi ha gli occhi lucidi, ha rivissuto tutto in una notte, in una lunga notte laziale: "E’ tutto bello, abbiamo reso omaggio ad una squadra fantastica, ha contraddistinto la mia infanzia. Avevo 10 anni nel ‘74, la Lazio del primo scudetto ha meritato i 65mila spettatori dell’Olimpico. Ho salutato Ruben Sosa, non lo vedevo da 20 anni, non so se riuscirò a riconoscerlo (risata, ndr). Quelli del ‘74 li ho conosciuti durante i miei trascorsi nella Lazio, compreso Chinaglia, con gli altri ci ho giocato contro ed insieme. E’ stata una manifestazione di lazialità, non so se potrà avvicinare i tifosi alla società. Sono tanti i giocatori che sono stati e sono attaccati ai colori biancocelesti però adesso non parlerei di bandiere all’interno della Lazio, bisogna trovare persone che siano anche capaci di fare qualcosa in campo". Bergodi è un cuore biancoceleste, lo sarà per sempre: "La Lazio mi ha dato tutto, ho avverato il sogno di giocarci da tifoso, non capita spesso". Fine anni ‘80 e anni ‘90, è stato bello rivedere Gigi Casiraghi all’Olimpico: "Una bella emozione. Ho rivisto tanti campioni, tanti ex compagni, ho rivissuto il passato, è stata un’occasione per rivivere la lazialità. Io alla Lazio in futuro? E’ successo in passato, ci furono dei contatti anche con Zola, ma la cosa non è andata in porto per diversi problemi. Per me sarebbe stato un sogno".


"I tifosi vogliono lazialità". Da Negro a Marchegiani: "La gente è fantastica".

E’ arrivato in sella alla sua Harley. Casco in mano. Paolo Negro non nasconde la ragioni del cuore. "E’ difficile spiegare le emozioni che si provano all’interno dell’Olimpico pieno. Insomma è semplicemente la festa della Lazio". I numeri ballano: sessanta-sessantacinque-settantamila. L’ex difensore della Lazio non si scompone. "Questo invece non è difficile da spiegare, parliamo della Lazio. I tifosi vogliono la lazialità, bisogna rilanciare questo aspetto. D’altra parte – chiude Negroè impossibile proseguire così". Marchegiani. Il portiere non è voluto mancare alla festa, dove era assente invece Nando Orsi operatosi di cistifellea: "Siamo qui stasera per festeggiare e rendere onore a una squadra storica. Le emozioni rispetto al campo sono diverse, il protagonismo è calato nella quotidianità, oggi è una festa. La squadra del ‘74 ha fatto tanto, è stato scritto molto su di loro. Il rigore parato a Giannini? E’ stata forse la parata più importante, il portiere ha meno possibilità di essere protagonista, parare il rigore nel derby non è per tutti". Guerino Gottardi è un piccolo grande eroe per il tifo biancoceleste: "Tanti i ricordi, il momento più bello è stato vincere lo scudetto, un’emozione bellissima".

Casiraghi & Signori. Il bomber non poteva mancare. Qualche chilo in più, ma ancora con la convinzione di poter essere in campo: "Il fatto che stasera (ieri) ci siano settantamila persone è davvero qualcosa che ti fa rivivere il passato e ti da grandi emozioni. Non scendo all’Olimpico dal 1998 e farlo davanti a tanta gente a cui sei legato, è bellissimo". Casiraghi rimpiange il mancato arrivo a Roma come vice di Zola. Signori aggiunge: "Questo pubblico è straordinario, è l’apoteosi della lazialità". Corradi e Fiore. L’attaccante non dimentica: "I ricordi non si abbandonano, giocare davanti a 65mila persone fa sempre effetto. Eravamo abituati a un pubblico importante, adesso ci sono problemi". Il centrocampista rincara: "Il pubblico laziale ci ha sempre voluto bene".


Ruben: il mio sinistro fa ancora male.

Una sottile – ma neppure troppo – linea uruguaiana lega passato, presente e futuro della Lazio. Nel giorno del ricordo, accanto alle curve della memoria, ci sono gli angoli attuali e le prospettive. E così capita che nell’hotel dove sono radunati gli ex calciatori prima dell’evento vero e proprio dell’Olimpico si presentino insieme Alvaro Gonzalez e Sosa. Quasi vent’anni di differenza, se non proprio di padre in figlio quasi. Quello che certamente c’è di filiale tra i due è il rispetto. "Sono qui per portare gli scarpini a Ruben – esordisce El Tata – Me li sono fatti prestare da un compagno, lui è un mio idolo, lo seguo fin da piccolo perché viene da Montevideo come me. Sapevo che aveva giocato qui facendo bene perché la Lazio è una grande squadra. Il Mondiale in Brasile? Proverò a conquistarlo, io farò il massimo per esserci". Gonzalez ribadisce che il suo futuro sarà ancora a tinte biancocelesti: "Sto bene a Roma, non ho parlato con la società. Sono soddisfatto della mia stagione, ho disputato trenta partite, penso di aver fatto qualcosa di buono, non come altri anni, ho fatto una trentina di partite, all’inizio non giocavo molto poi Petkovic ha deciso di inserirmi. Penso comunque di aver fatto bene". Al suo fianco c’è Rube, Rube, Rube, Sosa. Eh sì perché il fantastico bomber uruguaiano pur avendo lasciato la Lazio nell’ormai lontano 1992 continua a essere ricordato ogni domenica all’Olimpico dai tifosi. Il coro a lui dedicato è un must. Un giocatore di classe cristallina, un sinistro da cui partivano veri e propri missili. Quaranta gol biancocelesti, alcuni indimenticabili. La fessura degli occhi di Sosa è appena accennata, ma la luce è sempre la stessa, quella che metteva paura ai difensori avversari. "Una festa speciale, qui a Roma è iniziata la mia avventura italiana e non posso dimenticarlo. I tifosi biancocelesti sono sempre nel mio cuore". Sosa adesso ha una scuola calcio con 500 ragazzi a Montevideo, la passione è ancora intatta. Certo qualche dolorino, ma nulla che possa fermarlo. "Il ginocchio mi fa un po’ male, ma se arriverà una punizione vedrete che il mio sinistro fa ancora male". Risata certo, ma anche consapevolezza di un piede fuori dal normale...




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