De Simoni Luciano

Da LazioWiki.

Luciano De Simoni
(Foto tratta dal suo libro postumo)
Luciano De Simoni con la casacca della S.P. Lazio Frascati
(Gent.Conc. Sig. Romolo Proietti)
In divisa durante la Grande Guerra
(foto tratta dal suo libro postumo)
Il libro fatto scrivere dai suoi discendenti in base al suo diario ritrovato nel 2014
La motivazione della medaglia d'Argento

Podista della sezione di Frascati. Nato a Frascati il 22 gennaio 1886 ivi deceduto il 1 maggio 1966.Nel rinnovo delle cariche societarie del maggio 1908 fu eletto economi del sodalizio di Frascati. Inquadrato nel "97° Brigata fanteria Genova" con il grado di Sergente, fu medaglia d'argento al Valor militare. I suoi avi hanno ritrovato il suo diario di guerra e fatto stampare nel 2014 in un libro di cui riportiamo questo riassunto scritto dal sito "Sololibrinet":

Il sergente di fanteria Luciano De Simoni scrisse il suo diario di guerra con ordine, su un quaderno a quadretti piccoli, con un pennino che intingeva nell’inchiostro e una scrittura inclinata a destra, con le maiuscole in bella grafia. Era sui trent’anni, classe di leva 1986, richiamato alla fine del 1915 e partito per una campagna militare in cui non credeva, a liberare Trento e Trieste dal nemico. Era in pensiero, a Frascati lasciava la giovane moglie da un anno e il figlioletto di un mese. Eppure era curioso di quello che poteva succedere. Infatti, riesce a ricordare puntualmente i fatti, li annota, segue lucidamente episodi ed eventi e realizza una cronaca che Stampalternativa ha ottenuto dai familiari – il diario era finito in soffitta – pubblicandola ora col titolo “Porca guerra benedetta pace”, Collana Eretica Speciale 206 pagine, 15 euro: Diario dal fronte della Grande Guerra, in trincea, a Caporetto, la disfatta, l’esodo, la prigionia, la vittoria.

È assegnato al Deposito di Siena. Assaggia l’impreparazione, la confusione e la povertà del nostro esercito, nella fase iniziale del conflitto. Gli indumenti distribuiti ai nuovi arrivati sono usati e logori. Tra un tira e molla di malattie e licenze per convalescenza, finisce in treno verso l’Isonzo. Brusca e striglia il suo mulo, al quale fa da conducente: ha scelto lui l’incarico, sempre meglio della prima linea, viste le scene d’orrore che raccontano i feriti.

Gli offrono un incarico di scritturale. Accetta. Il 12 agosto 1916 il battesimo del fuoco. Il 97° Reggimento va all’assalto di Quota 174, a Santa Caterina, sopra Gorizia, appena liberata e avrebbe potrebbe fare molto di più se i superiori avessero appoggiato per tempo l’impegno estremo dei fanti, sostenendoli con altre truppe. Sono le considerazioni di Luciano, che in compagnia dell’aiutante maggiore se non altro si risparmia gli attacchi alla baionetta, urlando “Savoia!!”, dei compagni d’arme. Intorno a lui si muore dilaniati. Orrore, orrore. Non so come non impazzisco. Accanto, i commilitoni perdono gambe, braccia, occhi, sotto i colpi dell’artiglieria austriaca che batte la trincea italiana.

E pensare che siamo nel XX, il secolo della civiltà, troppo sono più civili i selvaggi! Altri sbalzi, trinceroni conquistati. I nemici sono grandi e grossi ma sembrano contenti di arrendersi. Hanno fame, tanta. Però le conquiste si contano appena a pochi metri di linea, sempre vendicata a caro prezzo dai cannoni avversari. Finisce sulle alture oltre Gorizia il diario da protagonista di piccole avanzate e combattente di un esercito sconclusionato, con troppi privilegi per gli ufficiali rispetto ai soldati, così sembra a De Simoni. I ricordi da vinto scavalcano quasi tutto il 1917, spostandosi sul Monte Nero. Scrive vicende finite da un pezzo, per testimoniare la triste vita del prigioniero, privo di ogni gioia, di sorriso e con la nostalgia dei propri cari lontani.

24 ottobre 1917, inizia l’offensiva austrotedesca. Sulle posizioni di Luciano si resiste, ma quando arriva l’ordine di ripiegare su Caporetto, al dolore per l’abbandono delle linee conquistate con tanto sangue si aggiunge lo sgomento per lo sfacelo della fuga, di cui non si capacitano. Perché lasciare tutto? E perché tanta disorganizzazione? Ci sono automezzi e cannoni abbandonati, il ponte è stato fatto saltare, l’Isonzo non si attraversa e il nemico è già lì.

La prigionia è dura, affamata, piena di una straziante malinconia, per la casa, la moglie, i bambini (ora sono due, il secondo è stato concepito in una licenza). Il trattamento delle guardie durante il trasferimento dal fronte è sempre più sadico. Bastonate e fame, fame rabbiosa. Il diario si chiude poco prima della fine della guerra, con la notizia della morte del piccolo Franco, il secondogenito.

Non c’è sconfitta, non c’è vittoria, resta la prova di un uomo maturo, i suoi sentimenti, un esempio della condotta media dei nostri cento anni fa: sempre umani, vili in pochissimi casi, spesso pasticcioni, troppe volte mandati a morire inutilmente. Si sarebbe potuti arrivare agli stessi risultati con meno perdite e sacrifici.