Schillaci Antonio Maurizio

Da LazioWiki.

Antonio Maurizio Schillaci

Attaccante, nato a Palermo il 1° febbraio 1962.

Cresciuto nel Palermo, milita nel Rimini. Acquistato nell'ottobre 1986 dal Licata in Serie C. Il 21 dicembre 1986 segna la sua unica rete durante la gara Cagliari-Lazio 0-1. Con la Lazio colleziona 11 presenze ed 1 rete in Campionato. A fine stagione viene ceduto al Messina in Serie B. Durante la permanenza alla Lazio era stato vittima di un grave infortunio da cui non si è mai completamente ripreso e che lo costringerà progressivamente ad abbandonare il calcio. Dopo aver insegnato calcio per un breve periodo nella scuola del più famoso cugino Salvatore Schillaci, vede fallire un'attività imprenditoriale. Passa un lungo periodo accompagnato da serie problematiche fisiche e psicologiche. Oggi, superate parzialmente tali problematiche, vive a Palermo in condizioni disagiate. Nel 2014 è il protagonista di un film incentrato sulla sua vicenda esistenziale intitolato "Fuorigioco" e diretto da due giovani registi siciliani.

(da http://www.siciliainformazioni.com/).


La Lazio, l'infortunio, l'eroina: Maurizio Schillaci ora è un barbone

Il mondo s'è dimenticato di lui. Il prato dell'Olimpico adesso è l'asfalto della Vucciria. Quello che Maurizio Schillaci, 51 anni, percorre ogni giorno per cercare la sopravvivenza. Sguardi, pacche sulle spalle, strette di mano. Maurizio ha perso tutto. Zemanlandia, le sfide a chi fa più gol col cugino Totò, le 38 auto, i contratti a sei zeri. Per tutti c'è solo una pagina di Wikipedia ferma come i suoi capelli. Attaccati a un elastico, tutti all'indietro, come la vita che racconta a poco a poco Maurizio Schillaci. Una promessa del calcio che lentamente s'è sfasciata. Il pupillo di Zeman ora è un senzacasa. Fa la vita da barbone, vaga per le strade della sua Palermo, nel labirinto di rimpianti che s'è costruito anno dopo anno. Sepolto da mille disgrazie, dall'eroina che gli ha aggredito fisico, mente e tasche. Lui, il simbolo di un calcio che tutto dà e tutto toglie.

Sulla sua storia è colata la ruggine. Come quella del solito treno fermo alla stazione, in cui va a dormire ogni sera. Dalle notti magiche di Totò ai pomeriggi tristi di Maurizio. Il suo è un grido silenzioso. Figlio della povertà, è nato al Capo, a 17 anni ha esordito col Palermo. Subito due gol in 4 partite. Trequartista fantasioso, venerato, il tipo di giocatore per cui si può perdere la testa. Come successe a Zeman, che lo volle fortemente nel Licata dei palermitani di metà anni Ottanta e che avrebbe fatto carte false per portarlo a Foggia qualche anno dopo. Quindi il passaggio alla Lazio e l'inizio dei guai. Mentre il cugino Totò diventa famoso in tutto il mondo.

"Tutti dicevano che ero più forte di lui – ricorda Maurizio, fisico asciutto e sguardo triste -. Può essere. Di sicuro io non ho avuto la sua fortuna". Come tanti ragazzini della Palermo che piange, il pallone era stata la fuga dalla strada, ha vissuto la fine della carriera come la fine del mondo. Depressioni, matrimoni andati in frantumi, problemi con l'affidamento dei figli. Lentamente ha perso tutto. Il piccolo Dio del calcio, il pupillo di Zeman, è diventato un barbone. "Ero sul punto di esplodere. Poi sul più bello sono passato dalle stelle alle stalle. Le mie stagioni migliori le ho vissute in B con Zeman. Segnavo gol a ripetizione. Poi è arrivata la Lazio. Era il mio periodo di grazia. Vivevo nel lusso, ho cambiato 38 auto, ho giocato nello stadio dei sogni, l'Olimpico. Contratto di 500 milioni per 4 anni. Poi qualcosa non va per il verso giusto. I primi infortuni, gli stop. Poi scopro perché. Vado in prestito a Messina, là trovo mio cugino Totò. Tutti i giornali parlavano di noi, io e lui facevamo a gara a chi segnava di più. Ma la mia carriera in realtà s'è spezzata a Roma. Un infortunio mai curato che mi impediva di esprimermi al meglio. Facevo poche partite e mi fermavo. Mi chiamavano il "malato immaginario" o il "calciatore misterioso", perché ero sempre in infermeria. In realtà avevo un tendine bucato. A Messina si accorgono del problema, mi curano, ma la carriera era ormai volata via. Poi ho subito altre situazioni. Più brutte degli infortuni. Vado alla Juve Stabia, ormai ho 33 anni. E qui conosco la droga. La cocaina, poi l'eroina. Nel frattempo ho divorziato da mia moglie".

Maurizio si ferma e riparte. Una finta e via. Tutto d'un fiato: "Il mio declino è stato velocissimo e ora mi ritrovo per strada. Come si vive? La prendo quasi a ridere, mi diverto, sdrammatizzo, cerco di farcela. Ma non riesco a trovare lavoro, dormo nei treni fermi alla stazione. Lo chiamano il cimitero dei treni. Ci sono altre persone con me, siamo un gruppo di 20 barboni. Passo le giornate pensando a racimolare qualcosa per mangiare e comprarmi le sigarette". L'ultimo Schillaci è quello che nessuno avrebbe voluto vedere: solitario, triste, senza soldi. Un uomo che vive di ricordi ma si aggrappa al futuro e che ogni tanto, costretto dal bisogno, si affida alla bontà altrui. E' la storia di tanti, troppi calciatori, che furono re e poi sono stati traditi dalla vita. Maurizio in questo, è stato davvero un campione del mondo. Come ha rischiato di essere il cugino Totò a Italia '90. "Ero contento per lui. A me non cambiava nulla sinceramente. Con Totò non ci sentiamo più. Ho lavorato nella sua scuola calcio per un periodo, ma per "travagghiare" là spendevo 300 mila lire e guadagnavo la stessa cifra. Ho deciso di mollare. In realtà pago le conseguenze della droga. Sentivo sempre le stesse storie: "Non porto mio figlio a uno che s'è fatto di eroina". Io però non mi drogo più. E la gente che giudica mi fa male, perché non conosce la mia storia. Stavo malissimo, la droga ti lascia il marchio. Ho perso tutti i contatti con il mondo del calcio. Quando giocavo erano tutti amici. Ora non c'è più nessuno. Ho toccato il fondo quando ho capito che la mia carriera stava per finire. Zeman? Ogni tanto lo intravedo. Lui mi adorava, quando stavo a posto. Mi volle portare a Foggia, avevo già firmato. Sarebbe stata la svolta della mia carriera. Adesso del calcio non me ne frega più niente".

Restano i ricordi. Pagine sbiadite. Esultanze, sconfitte, sogni, certezze, dribbling, illusioni. "La droga è arrivata quando ormai ero un ex calciatore. Il doping? C'è stato sempre. Zeman è stato il primo a parlarne, poi non l'hanno fatto allenare per anni. A me consigliavano di prendere la creatina, mi sono fidato dei medici. Era proibita, ma l'ho saputo dopo. Soldi per aggiustare le partite? Solo una volta me li hanno proposti. Giocavo nel Licata, a Casarano, lo dissi subito a Zeman. Mi disse di rifiutare. Poi finì 0-0, prendemmo 8 pali... Ma a volte le partite si decidono in mezzo al campo, parlando...". Ma a 51 anni Maurizio Schillaci fa ancora in tempo a dribblare la sfiga. Perché a volte basta una finta, un colpo di genio, per piegare l'avversario. ""L'eroina per me non esiste più. Ho toccato il fondo ma ora voglio risalire. Ogni tanto guardo i bambini giocare in mezzo alla strada. Li osservo e mi piacerebbe dare un calcio a quel pallone...".







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