Bezzi Luigi: differenze tra le versioni
Nessun oggetto della modifica |
Nessun oggetto della modifica |
||
| Riga 1: | Riga 1: | ||
Luigi Bezzi nacque a Roma il [[18 Agosto]] [[1935]] e ivi morì il [[4 Marzo]] [[1984]]. Una figura che contribuì in modo decisivo ai successi della squadra del primo scudetto biancoceleste. Definire Gigi Bezzi un semplice accompagnatore ufficiale della squadra sarebbe riduttivo e poco consono ad una persona di primaria importanza nell'ambito di quella società e di quella compagine. In una Lazio approssimativa, regolata dal buon senso pacioccone del presidente Lenzini e tenuta insieme dalla finezza psicologica di Maestrelli, Gigi fu colui che, con immensa pazienza e competenza, fece da ammortizzatore, consapevole, tra dirigenza e squadra. Sapeva capire i messaggi, non sempre diretti ma sempre finalizzati, che partivano dal "sor Umberto" e riusciva a dar loro una parvenza accettabile per l'allenatore e la squadra. Viceversa riferiva in alto, attenuandole in modo convincente ma garbato, le pretese di giocatori sempre pronti alla rivendicazione e all'assalto frontale. Umanissimo e intelligente signore che, senza mai pretenderlo, aveva il rispetto di tutti i componenti di quella scombicchierata compagine che con qualche grano di pazzia in seno, giocò il più bel calcio d'Italia agli inizi degli anni settanta. Ingenuo, mite, buono e passionale, come tutti quelli che amano profondamente qualcuno e qualcosa, Bezzi sapeva imporsi con il sorriso e con la competenza. Della società conosceva tutto e non aveva bisogno che qualcuno desse lui dei compiti perchè già li aveva svolti di sua iniziativa ed esemplarmente. Sempre sorridente con i rappresentanti dei media a cui forniva però, sotto l'apparenza di confidare notizie riservate, solo ciò che era indispensabile e innocuo per le strategie di squadra e società. Era il dirigente di cui Maestrelli aveva sempre fiducia ed era a lui che l'allenatore confidava i suoi problemi, certo che in qualche maniera Gigi li avrebbe risolti. Era lui che avvicinava un giocatore che, escluso dalla formazione che avrebbe giocato la domenica, gli dava la notizia con un eloquio così convincente che era impossibile che ci rimanesse male e però era anche colui che, percepita la difficoltà di un atleta, sapeva dire le giuste parole a Tommaso, sicuro che quest'ultimo ci avrebbe riflettuto sopra. Sempre pronto a rassicurare che tutto andava bene anche quando ciò non era vero ma rapido a prendere la questione di petto e a risolverla in silenzio. Sulla panchina rimaneva composto e con gli arbitri manteneva un signorile distacco unito però a un'ostinata attenzione sui loro comportamenti che, quando erano smaccatamente errati, venivano da lui censurati con un severo sguardo che i direttori di gara percepivano. In realtà egli, al pari di Maestrelli e il dott. Ziaco, che sedevano con lui in panchina, mimetizzava sotto un apparente self-control una tensione spasmodica che riuscivano fortunatamente a non trasmettere ai giocatori in campo. Per capire questo è sufficiente vedere nei vecchi filmati gli ultimi istanti di quel Lazio-Foggia che dette lo scudetto alla Lazio: Maestrelli impassibile e assente che al fischio finale si piega però sulla panchina prima di alzarsi e andare un pò barcollando verso l'abbraccio dei suoi ragazzi, Bezzi, compostissimo, con lo sguardo fisso verso il campo che emette un urlo liberatorio e gioioso, fin troppo represso, verso il cielo |
Luigi Bezzi nacque a Roma il [[18 Agosto]] [[1935]] e ivi morì il [[4 Marzo]] [[1984]]. Una figura che contribuì in modo decisivo ai successi della squadra del primo scudetto biancoceleste. Definire Gigi Bezzi un semplice accompagnatore ufficiale della squadra sarebbe riduttivo e poco consono ad una persona di primaria importanza nell'ambito di quella società e di quella compagine. In una Lazio approssimativa, regolata dal buon senso pacioccone del presidente Lenzini e tenuta insieme dalla finezza psicologica di Maestrelli, Gigi fu colui che, con immensa pazienza e competenza, fece da ammortizzatore, consapevole, tra dirigenza e squadra. Sapeva capire i messaggi, non sempre diretti ma sempre finalizzati, che partivano dal "sor Umberto" e riusciva a dar loro una parvenza accettabile per l'allenatore e la squadra. Viceversa riferiva in alto, attenuandole in modo convincente ma garbato, le pretese di giocatori sempre pronti alla rivendicazione e all'assalto frontale. Umanissimo e intelligente signore che, senza mai pretenderlo, aveva il rispetto di tutti i componenti di quella scombicchierata compagine che con qualche grano di pazzia in seno, giocò il più bel calcio d'Italia agli inizi degli anni settanta. Ingenuo, mite, buono e passionale, come tutti quelli che amano profondamente qualcuno e qualcosa, Bezzi sapeva imporsi con il sorriso e con la competenza. Della società conosceva tutto e non aveva bisogno che qualcuno desse lui dei compiti perchè già li aveva svolti di sua iniziativa ed esemplarmente. Sempre sorridente con i rappresentanti dei media a cui forniva però, sotto l'apparenza di confidare notizie riservate, solo ciò che era indispensabile e innocuo per le strategie di squadra e società. Era il dirigente di cui Maestrelli aveva sempre fiducia ed era a lui che l'allenatore confidava i suoi problemi, certo che in qualche maniera Gigi li avrebbe risolti. Era lui che avvicinava un giocatore che, escluso dalla formazione che avrebbe giocato la domenica, gli dava la notizia con un eloquio così convincente che era impossibile che ci rimanesse male e però era anche colui che, percepita la difficoltà di un atleta, sapeva dire le giuste parole a Tommaso, sicuro che quest'ultimo ci avrebbe riflettuto sopra. Sempre pronto a rassicurare che tutto andava bene anche quando ciò non era vero ma rapido a prendere la questione di petto e a risolverla in silenzio. Sulla panchina rimaneva composto e con gli arbitri manteneva un signorile distacco unito però a un'ostinata attenzione sui loro comportamenti che, quando erano smaccatamente errati, venivano da lui censurati con un severo sguardo che i direttori di gara percepivano. In realtà egli, al pari di Maestrelli e il dott. Ziaco, che sedevano con lui in panchina, mimetizzava sotto un apparente self-control una tensione spasmodica che riuscivano fortunatamente a non trasmettere ai giocatori in campo. Per capire questo è sufficiente vedere nei vecchi filmati gli ultimi istanti di quel Lazio-Foggia che dette lo scudetto alla Lazio: Maestrelli impassibile e assente che al fischio finale si piega però sulla panchina prima di alzarsi e andare un pò barcollando verso l'abbraccio dei suoi ragazzi, Bezzi, compostissimo, con lo sguardo fisso verso il campo che emette un urlo liberatorio e gioioso, fin troppo represso, verso il cielo e in completa apnea, appena ode il segnale della fine. Uno scudetto che Gigi ha contribuito a conquistare con il saggio comportamento degli uomini forti e determinati. Dopo i trionfi di quegli anni esaltanti, Gigi seguitò a ricoprire quel prezioso ruolo in una temperie più deludente e ancor più caotica. Se ne era andato per sempre Maestrelli, mentre poco più tardi lo aveva raggiunto, assurdamente, il grande Re Cecconi. Bezzi sempre a mediare, a costruire e ad aggiustare ciò che si rompeva. Presenza rassicurante e affidabile per tutte le componenti del mondo Lazio. Gli dei invidiosi hanno voluto portarsi via anche quest'uomo ancora giovane e per bene in un triste giorno del tardo inverno del 1984. Poi lo seguirà, dopo un anno, il dott. Ziaco e dopo di che, spariti tutti gli attori di quello scudetto, quella Lazio divenne epicamente mito e memoria. Oggi il nome Bezzi è perpetuato dal figliolo Enrico, ovviamente sostenitore appassionato dei colori biancocelesti, che opera a Roma nel campo del commercio occupandosi di oreficeria come il padre e come un certo Luigi Bigiarelli che, il 9 Gennaio 1900, ebbe l'idea di fondare la Lazio.[[Categoria:Biografie|Bezzi, Luigi]] |
||
[[Categoria:Dirigenti|Bezzi, Luigi]] |
[[Categoria:Dirigenti|Bezzi, Luigi]] |
||
Versione delle 13:45, 11 gen 2008
Luigi Bezzi nacque a Roma il 18 Agosto 1935 e ivi morì il 4 Marzo 1984. Una figura che contribuì in modo decisivo ai successi della squadra del primo scudetto biancoceleste. Definire Gigi Bezzi un semplice accompagnatore ufficiale della squadra sarebbe riduttivo e poco consono ad una persona di primaria importanza nell'ambito di quella società e di quella compagine. In una Lazio approssimativa, regolata dal buon senso pacioccone del presidente Lenzini e tenuta insieme dalla finezza psicologica di Maestrelli, Gigi fu colui che, con immensa pazienza e competenza, fece da ammortizzatore, consapevole, tra dirigenza e squadra. Sapeva capire i messaggi, non sempre diretti ma sempre finalizzati, che partivano dal "sor Umberto" e riusciva a dar loro una parvenza accettabile per l'allenatore e la squadra. Viceversa riferiva in alto, attenuandole in modo convincente ma garbato, le pretese di giocatori sempre pronti alla rivendicazione e all'assalto frontale. Umanissimo e intelligente signore che, senza mai pretenderlo, aveva il rispetto di tutti i componenti di quella scombicchierata compagine che con qualche grano di pazzia in seno, giocò il più bel calcio d'Italia agli inizi degli anni settanta. Ingenuo, mite, buono e passionale, come tutti quelli che amano profondamente qualcuno e qualcosa, Bezzi sapeva imporsi con il sorriso e con la competenza. Della società conosceva tutto e non aveva bisogno che qualcuno desse lui dei compiti perchè già li aveva svolti di sua iniziativa ed esemplarmente. Sempre sorridente con i rappresentanti dei media a cui forniva però, sotto l'apparenza di confidare notizie riservate, solo ciò che era indispensabile e innocuo per le strategie di squadra e società. Era il dirigente di cui Maestrelli aveva sempre fiducia ed era a lui che l'allenatore confidava i suoi problemi, certo che in qualche maniera Gigi li avrebbe risolti. Era lui che avvicinava un giocatore che, escluso dalla formazione che avrebbe giocato la domenica, gli dava la notizia con un eloquio così convincente che era impossibile che ci rimanesse male e però era anche colui che, percepita la difficoltà di un atleta, sapeva dire le giuste parole a Tommaso, sicuro che quest'ultimo ci avrebbe riflettuto sopra. Sempre pronto a rassicurare che tutto andava bene anche quando ciò non era vero ma rapido a prendere la questione di petto e a risolverla in silenzio. Sulla panchina rimaneva composto e con gli arbitri manteneva un signorile distacco unito però a un'ostinata attenzione sui loro comportamenti che, quando erano smaccatamente errati, venivano da lui censurati con un severo sguardo che i direttori di gara percepivano. In realtà egli, al pari di Maestrelli e il dott. Ziaco, che sedevano con lui in panchina, mimetizzava sotto un apparente self-control una tensione spasmodica che riuscivano fortunatamente a non trasmettere ai giocatori in campo. Per capire questo è sufficiente vedere nei vecchi filmati gli ultimi istanti di quel Lazio-Foggia che dette lo scudetto alla Lazio: Maestrelli impassibile e assente che al fischio finale si piega però sulla panchina prima di alzarsi e andare un pò barcollando verso l'abbraccio dei suoi ragazzi, Bezzi, compostissimo, con lo sguardo fisso verso il campo che emette un urlo liberatorio e gioioso, fin troppo represso, verso il cielo e in completa apnea, appena ode il segnale della fine. Uno scudetto che Gigi ha contribuito a conquistare con il saggio comportamento degli uomini forti e determinati. Dopo i trionfi di quegli anni esaltanti, Gigi seguitò a ricoprire quel prezioso ruolo in una temperie più deludente e ancor più caotica. Se ne era andato per sempre Maestrelli, mentre poco più tardi lo aveva raggiunto, assurdamente, il grande Re Cecconi. Bezzi sempre a mediare, a costruire e ad aggiustare ciò che si rompeva. Presenza rassicurante e affidabile per tutte le componenti del mondo Lazio. Gli dei invidiosi hanno voluto portarsi via anche quest'uomo ancora giovane e per bene in un triste giorno del tardo inverno del 1984. Poi lo seguirà, dopo un anno, il dott. Ziaco e dopo di che, spariti tutti gli attori di quello scudetto, quella Lazio divenne epicamente mito e memoria. Oggi il nome Bezzi è perpetuato dal figliolo Enrico, ovviamente sostenitore appassionato dei colori biancocelesti, che opera a Roma nel campo del commercio occupandosi di oreficeria come il padre e come un certo Luigi Bigiarelli che, il 9 Gennaio 1900, ebbe l'idea di fondare la Lazio.