La trattativa per la cessione della società a Riva
La crisi economica investe i Lenzini
Appena ritornata in Serie A, nell'estate 1972, la famiglia Lenzini si era ritrovata con le solite problematiche dei conti in rosso della Società. Purtroppo la crisi economica, che si sarebbe accentuata l'anno seguente con la crisi petrolifera, aveva fatto sì che l'economia ristagnasse e aveva coinvolto anche l'edilizia. Un grande comprensorio edilizio a Pomezia, costruito dal presidente della Lazio con i propri fratelli, era rimasto invenduto facendo andare in rosso anche i conti della società edile di famiglia.
Questa notizia arrivò alle orecchie dell'Avvocato Gianni Agnelli, che da tempo aveva messo gli occhi sull'attaccante biancazzurro Giorgio Chinaglia. Il magnate della Fiat propose di rilevare il comprensorio di Pomezia e di pagare l'attaccante un miliardo di Lire, in contanti. Una cifra spropositata per l'epoca. Sia il direttore generale Sbardella, sia i fratelli del Presidente, Aldo ed Angelo, esortarono il Presidente a cedere all'offerta.
Contro la trattativa si oppose una campagna stampa forte e contraria alla cessione di Chinaglia, che accusò i vertici societari di volersi ridimensionare ancora una volta. Lenzini alla fine non cedette, timoroso per le reazioni della piazza e forte del netto rifiuto di Chinaglia di andare a Torino. L'attaccante era stato chiaro: "O rimango alla Lazio, o smetto di giocare." Questa vicenda aveva creato una forte frizione fra il Presidente e Sbardella e tra Lenzini ed alcuni consiglieri, tra cui Riccardo Riva, da poco entrato nel consiglio della società biancazzurra. Riva settantenne, originario del Friuli, è un industriale e proprietario di alcune scuderie ippiche, nonchè azionista delle società che gestiscono gli ippodromi romani di Tor di Valle e Capannelle.
Dissidi e strane manovre
La conferma dell'allenatore Maestrelli aveva portato molte tensioni a livello dirigenziale. I più vedevano in Scopigno la guida giusta per una salvezza quanto mai ardua, ma i risultati della squadra cambiarono le carte in tavola. Ad un certo punto si prese atto di avere una squadra che stava lottando alla pari con i club di vertice e che si stava giocando buone chances per portare a casa qualcosa di più che la permanenza nella massima serie. Nell'inverno tra il 1972 e il 1973 cominciarono a circolare strane voci su un imminente accordo fra Sbardella e Gaetano Anzalone, presidente della Roma, per il passaggio del D.S. in giallorosso.
La faccenda creò parecchio rumore fra i tifosi e non piacque a Lenzini. L'accordo a un certo punto saltò, ma creò una frattura insanabile fra il Presidente e il Direttore Sportivo. Lenzini cominciò ad accentrare il potere su di sé e su Maestrelli, relegando ad un angolo Sbardella.
Verso la cessione del pacchetto di maggioranza

Sbardella comunque continuò il suo lavoro con diligenza e serietà, mentre si faceva sempre più seria l'ipotesi di una cordata capitanata dal neo consigliere Riva per rilevare le quote di maggioranza dalla famiglia Lenzini. Il ruolo del Direttore Generale non fu chiaro, ma la trattativa partì, favorita sempre di più dalla crisi che investì la società edile dei Lenzini. Intanto la squadra lottava per vincere il Campionato e questo ne accresceva il valore di mercato.
I fratelli del Presidente vedevano di buon occhio la cessione mentre Umberto era più titubante. La strategia di Riva era semplice: rilevare la Società e capitalizzare la vendita di Chinaglia con l'acquisto di giovani emergenti affidandoli alla guida di un giovane allenatore, già campione di calcio: Niels Liedholm a quel tempo tecnico della Fiorentina.
Improvviso dietrofront e le dimissioni di Sbardella
Tutto sembrava andare verso la logica conclusione della cessione. Intanto la squadra, perso il Campionato all'ultimo minuto dell'ultima giornata, volò verso gli Stati Uniti per disputare alcune amichevoli. Ma in quei giorni di Giugno 1973 qualcosa cambiò. I Lenzini si rialzarono dalla crisi e riuscirono a vendere alcuni importanti immobili ricavando denaro da investire a Brescia, dove spostarono parte dell'attività edilizia. A questo punto il Presidente Umberto Lenzini decise di far saltare la trattativa non trovando più in Riva un valido successore.
Qualcuno avanzò l'ipotesi che fosse stato lo stesso Riva a tirarsi indietro o che forse la cordata non fosse mai esistita. Pochi giorni dopo, Sbardella, ormai separato in casa, rassegnò le dimissioni e se ne andò, accusato da Lenzini di aver svolto un ruolo poco chiaro in questa vicenda. Riva rimarrà nel consiglio ancora per qualche tempo per poi eclissarsi.