Domenica 15 gennaio 1939 - Roma, campo Testaccio - Roma-Lazio 0-2

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15 gennaio 1939 - 565 - Campionato Italiano di calcio Divisione Nazionale Serie A 1938/39 - XIV giornata

ROMA: Masetti, Monzeglio, Donati, Serantoni, Bernardini, Fusco, Borsetti, Bonomi, Michelini, Coscia, Alghisi.

LAZIO: Blason, Faotto, Monza (II), Baldo, Ramella, Ferri, Busani, Piola, Zacconi, Camolese, Capri. All. Giuseppe Viola.

Arbitro: sig. Scorzoni di Bologna.

Marcatori: 3' pt Zacconi, 39' pt Busani.

Note: cielo coperto, campo leggermente pesante.

Spettatori: 20.000.


Prima vittoria esterna nel derby
da Il Littoriale
Dove giocare il derby?
da Il Littoriale
Operai al lavoro per ampliare la capienza del campo Testaccio
da Il Littoriale
Come da tradizione, i tifosi giallorossi pregustano la vittoria. Poi, come sempre, c'è la partita...
da Il Littoriale
I capitani Piola e Bernardini
da Il Calcio Illustrato
Il vantaggio laziale in avvio di gara
da Il Calcio Illustrato
Il disegno del primo goal di Zacconi al 3'
da Il Littoriale
Parata in bello stile di Blason
da Il Calcio Illustrato
Busani raddoppia!
da Il Calcio Illustrato
Il disegno del raddoppio di Busani al 39'
da Il Littoriale
La gioia dei biancocelesti al fischio di chiusura, per la prima volta espugnato il campo di Testaccio
da Il Calcio Illustrato
I numeri della partita
da Il Littoriale

La prima volta. Al quarto tentativo, la Lazio espugna Testaccio. La tana del rivale cittadino e dei suoi sostenitori. E' una svolta storica, dal punto di vista simbolico anche superiore al primo successo del '32. Arriva al termine di un decennio nel quale questa partita aveva visto una netta prevalenza giallorossa, dovuta in misura decisiva al pesante divario tecnico che la rivoluzione dei campionati e l'affermarsi del professionismo aveva determinato tra le due squadre capitoline. Questa partita fa sì che si volti pagina e che inizi un'altra Storia, fatta di confronti accesi, di vittorie e altre sconfitte, con periodi di prevalenza dell'uno o dell'altro club capitolino, ma non più con quel divario "strutturale" stabilito per decreto. Da quel giorno il Derby sarebbe stato atteso nell'incertezza e nel timore della sconfitta da entrambe le parti, da quel giorno avrebbe avuto, per entrambe le fazioni contendenti, lo stesso carico emozionale che sarebbe stato vissuto nei decenni successivi e ancora oggi si avverte nei giorni che conducono alla stracittadina.

Le cronache raccontano di una partita condotta con ordine e autorevolezza dai biancocelesti, che prendono subito il comando delle operazioni sbloccando il risultato in apertura e proseguendo la gara senza affanni particolari. Raccontano di una partita sotto tono di Fulvio Bernardini, chissà forse avvertiva il sentore che le condizioni che avevano fatto sì che lui giocasse da quella parte, e non in quella che lo aveva cresciuto e fatto diventare uomo, stavano per tramontare, che la storia calcistica della Capitale stava per conoscere un passaggio decisivo e innovativo. Il centrocampo laziale, guidato da un gladiatorio Ramella, diga insuperabile e punto di riferimento assoluto nella partita, tolse ogni capacità di ispirazione al campione giallorosso e ai suoi compagni di squadra.

Un grande apporto lo diede Silvio Piola, in una posizione diversa da quella usuale di centroattacco. La nuova posizione più arretrata, già sperimentata in occasione di alcuni incontri precedenti, permise al campione biancoceleste una maggiore partecipazione al gioco e un apporto più consistente ai compagni del centrocampo e, al tempo stesso, liberò gli spazi per gli altri incursori laziali. Da qui il fulmineo goal di Zacconi e il raddoppio, sul finale del primo tempo, di Busani. La ripresa fu senza storia, il portiere Blason attento e puntuale negli interventi cui fu occasionalmente chiamato.

I ventimila spettatori, in larghissima maggioranza di fede giallorossa, abbandonarono il campo increduli e delusi, forse non ancora consapevoli che quella non era una disonorevole ma pur sempre occasionale sconfitta, quanto l'inizio di un'altra storia.

Articolo redatto da LazioWiki.org - F. P.


► Su Il Calcio Illustrato il racconto della partita e del significato della vittoria: Ogni volta che Roma e Lazio si incontrano, avvengono le cose più strane: e, sul terreno di gioco, vanno gambe all’aria i pronostici con regolarità esasperante. Alla vigilia di questo diciannovesimo confronto tra le due squadre romane, non uno — che ragionasse con criterio — dava alla Lazio probabilità di successo o, almeno, di pareggio. Essa, fino allora, aveva sostenuto prove scialbe e, quel ch’è peggio, si trovava a risolvere gravi problemi di inquadratura come lo spostamento di Piola, la permanenza di Zacconi all’attacco o no, e così via. Le ultime novità aggravavano la sua situazione perché Milano, ammalatosi, non poteva giocare, e il sostituto era un ragazzetto. Ferri, abile come terzino nella squadra riserve, ma disabituato a giocare a mediano. La Roma, invece, aveva dalla sua il vantaggio di una tradizione favorevole anche nei casi più disperati, con alleato un pubblico entusiasta, e con giocatori dal morale elevato. Alla vigilia, i più ottimisti laziali speravano in un pareggio, anche strappato coi denti.

Tutti i pronostici, tutte le logiche deduzioni, tutti i castelli innalzati su base di parole, son caduti senza attenuanti. La Roma le ha prese; la Lazio ha giocato la più bella, la più svelta e la più calma partita della stagione; e ha cessato di vivere anche un’altra tradizione che voleva la Roma vincitrice con gol segnati all’ultimo minuto. E che queste partite siano strane, lo dimostra un’altra constatazione: per la prima volta — in questa stagione — la Lazio ha vinto fuori casa e, per la prima volta, la Roma invece, ha. perduto a casa.

Come si vede, rimane la bizzarria a far da guida a queste partite combinando i più strani e più impensati risultati. Ma bizzarro e strano il risultato — dopo aver visto la partita e stando a come il gioco si è svolto — non è stato: esso premia nella Lazio la squadra migliore in campo: e, migliore, non come inutile vana pressione, ma come rapida attuazione di temi, come freschezza — e. nello slancio e nello scatto — dei giocatori, e come ordine — cioè, come assolvimento di compiti — sia quando correva all’attacco come quando, chiusa in alcuni momenti nella propria area di rigore, era costretta a difendersi.


Il risultato premia la squadra più veloce, che sapeva palleggiar bene ma che nel palleggio trovava la risorsa non già per perder tempo, ma per permettere ai compagni di smarcarsi. Contro siffatto gioco, la Roma — costretta a sostituire Gadaldi con Donati a terzino sinistro, e con Bernardini centrosostegno — parea pigra, parea lenta, parea slegata e, quel ch'è peggio, tardava troppo a distendersi pel gusto di intestardirsi in dannosi palleggi, o per la poca fiducia di alcuni dei suoi a inseguire o molestare gli avversari in possesso del pallone, abusando troppo nell'attesa di aspettarli al varco. La partita s'è presto incanalata in favore della Lazio, per questi motivi: e anche quando la Roma, nella ripresa, ha avuto maggior pressione, mai ha potuto minacciare seriamente la porta avversaria perché i suoi uomini (eccezion fatta per Michelini e per l’ala Borsetti) arrivavano sempre sul pallone con un attimo di ritardo. È l’attimo d’anticipo che risolve le partite e che, alla Roma, è mancato.

Ora, come gioco — non solo individuale, ma collettivo — la Lazio ha avuto momenti impeccabili, e quasi tutti nel primo tempo, quando cioè s’era messa ad attaccare con le mezze-ali più preoccupate di «lanciare» le ali e il centravanti, che di tornare a dar manforte alla difesa. Più d’una volta, Piola — che giocava mezz’ala — fingeva avanzare col pallone al piede, ma improvvisamente passava all’ala opposta con traversoni a mezz’altezza, fortemente eseguiti, che facevano cadere la palla vicino a Capri che, correndo, si veniva a trovare in una posizione di privilegio, perché il passaggio improvviso di Piola aveva spiazzato la difesa. Sempre, poi, dal primo all’ultimo minuto di gioco, tutti i laziali, mobilissimi, rincorrevano gli avversari quando costoro erano in possesso del pallone impedendogli di giocare liberamente: mentre la Roma parea, in tale azione, più ferma, e più apatica. Si che si vedeva da una parte una squadra sempre in movimento, sempre pronta, e all’altra, l’avversaria più lenta con in movimento i soli giocatori direttamente impegnati.

La maggior mobilità della Lazio è stata di peso nel risultato definitivo ed ha influito sul giudizio del le due squadre in campo, secondo il quale la Lazio s’è vista come squadra, mentre l’altra «s'è vista come singole unità».

Ed ora parliamo dei giocatori, sia laziali che romanisti, dopo aver parlato del gioco delle due squadre. Tocca prima ai vincitori, i quali dovrebbero esser lodati in blocco, anche se, a riosservarne le azioni, qualcuno ha messo in evidenza alcune pecche (lievi pecche) e di qualche altro non si può dire né bene né male perché poco impegnato: come Blason che ha al suo attivo scarso numero di parate di cui due difficili e bene eseguite. Faotto è stato più pronto d’altre volte, e bene ha fatto a non allontanarsi molto dalla sua area: Monza non ha fallito un rimando, e anche pressato, ha respinto bene usando con facilità l’uno o l’altro dei piedi, e sempre, mai a casaccio pel gusto dei rinvii di forza. Ma su Ramella occorre intrattenersi di più, perché — nel graduale affinamento del suo gioco — ha trovato da dominare, specialmente nel primo tempo. Non s’è troppo perduto nella «marcatura» di Michelini, ma ha cercato impedire che costui s’impossessasse della palla: quindi, Ramella, avendo a disposizione scatto e mobilità, è corso spesso su Bernardini o s’è posto avanti a Michelini disponendo di miglior gioco di testa. Non ha «sbandato», correndo verso i lati del campo, come ha spesso fatto sino ad oggi: e, nei rifornimenti, è già sulla via della perfezione: dava palloni alle mezze ali, ma amava far viaggiare le ali con allunghi in profondità. Lo si è visto, in alcuni momenti «stoppare» la palla di petto, farsela ricadere sul piede, lanciarla celermente.

La sveltezza nei movimenti gli ha permesso d’arrivare, in piena corsa, su palloni parsi spacciati, e gli ha permesso, nel saltare, d’essere il più abile. Quando è corso a dar man forte alla difesa, s'è piazzato oltre i terzini: e sul finire della partita è riuscito a «lanciare» il pallone alle ali con passaggi che traversavano metà del campo. Segno di freschezza, Ai suoi lati, Baldo ha immobilizzato Alghisi, e Ferri — trovatosi a tu per tu col più svelto avversario (Borsetti) se l'è cavata bene; ma gli abbiamo notato tendenza ad usare un sol piede. Dei giocatori attaccanti, implicitamente s’è detto quando abbiamo parlato del gioco dell’intera squadra. Più svelti, più (si può dire?) scattanti dei difensori romanisti, più serviti, essi sono stati sempre pericolosi, per la logica tendenza a manovrare in profondità e a tirare. In splendide condizioni di forma è parso Piola, abile nel primo tempo, ma tendenzialmente portato a «sfondare» (pallone al piede) nella ripresa. Scarsi palleggi con l'altra mezz’ala: ma svelti, rapidi erano i passaggi al centro o alle ali con immediata corsa in avanti per riceverne le centrate. Un tiro di Piola, da oltre 25 metri, è stato a stento fermato da Masetti. Svelto Busani, rapido Capri, lavoratore Camolese, furbo, guizzante Zacconi. Questa, è l’analisi dei giocatori laziali.

E i giocatori romanisti? S’è detto, di già. Alla squadra è molto nuociuta l’assenza di Gadaldi: ma è nuociuta la lentezza nel liberarsi del pallone e l’assenza di rapidità negli improvvisi spostamenti dell’azione. E mentre i romanisti si vedevano sempre un avversario addosso a impedir il passaggio, i laziali — almeno i più — erano sempre «smarcati». Non mobile, quindi, è parsa la difesa, eccellente solo nei rinvii su palloni liberi: lenta la mediana (il solo Fusco s’è salvato) che è stata scarsa di dosati e sfruttabili rifornimenti per l’attacco. Quando è passato Bonomi al posto di Serantoni, e Donati al centro, qualcosa di più vivo s'è visto, ma era sempre molto poco. Nell’attacco romanista, Michelini e Borsetti hanno ben giocato: ma dov'erano le mezz’ali che li rifornissero e. tornassero a ridar loro palloni quando glieli toglievano? Lontane e stranamente impegnate erano: l’una (Cascia) a voler marcare inutilmente Piola, e l’altra (Bonomi) a organizzare temi di gioco che sistematicamente fallivano. Questa, è l’analisi dei giocatori romanisti.

I gol, come si sa, furono segnati da Zacconi (al 3°) e da Busani (al 39°) su svelte brillanti azioni.


Il Littoriale il giorno successivo titola: “Superiore in ogni linea la LAZIO comanda il gioco segna due punti e vive tranquilla sul vantaggio – Zacconi e Busani autori delle due reti – Grande partita di Ramella e di Piola che si rivela mezz’ala di notevoli possibilità – Esemplari l’arbitraggio e il contegno degli atleti e del pubblico”.

È saltata la tradizione. È saltata, come saltano certe tradizioni che, per essere restate in piedi anche in circostanze in cui si sarebbe giurato sul crollo, si finisce per definire “stregate”. Se ne erano convinti tutti: quelli che ne beneficiavano e quelli che ne scapitavano. Soprattutto questi ultimi. Non è un mistero per nessuno che i tifosi della Lazio, dopo il sorgere e il consolidarsi della tradizione, hanno sempre considerato la doppia partita contro la Roma come apporto negativo alla classifica. Nel caso specifico, poi, la squadra azzurra appariva in condizioni di accentuato sfavore in quanto la partita stracittadina la trovava alle prese con delicato problema dell’assestamento tecnico della squadra, consigliato dalla necessità di dare a Piola la possibilità di valersi in pieno dei suoi eccezionali mezzi. Di più ancora: ad aumentare il disagio si era aggiunta la indisponibilità di Milano. Tutto insomma concorreva a indicare nella Roma, 11 volte vittoriosa e una sola volta sconfitta (e questa sola volta su campo avverso), la squadra che sul proprio campo avrebbe conseguito la vittoria.

“Ahi, ahi!”. Ma queste circostanze favorevoli erano ridotte a ben poco quando l’altoparlante annunziò la formazione delle due squadre. Corse fra i tifosi giallo-rossi il dubbio che l’assenza di Gadaldi e la retrocessione di Donati a terzino potessero pregiudicare la partita? Qualcuno a noi vicino lo espresse con un “ahi, ahi” significativo. E il timore isolato divenne certezza generale quando il primo pallone azzurro tocco il fondo della rete di Masetti. Era facile accorgersi, infatti, che a Donati non sarebbe bastata l’intera partita per trovare un ambientamento appena passabile in un ruolo che non gli è abituale, e che la classe di Monzeglio non sarebbe bastata a fronteggiare la velocità di Capri. Incerta alle spalle, la Roma appariva anche se non di più incerta al centro della mediana. Il perno era Bernardini, il cui rientro per la partita tradizionale era stato salutato da alte acclamazioni dei tifosi giallorossi.

Motivi sentimentali. Ecco: se dico che mi trema la mano nell’addossare a Bernardini molta parte di colpa della netta sconfitta della Roma, credetemi. Perché? Motivi sentimentali. Bernardini rappresenta vent’anni di attività calcistica italiana. Moltissimi fra i ventimila che ieri si accalcavano sulle gradinate di “Testaccio” non erano neppure nati quando Fulvio cominciava ad essere “qualcuno”. Vent’anni, di cui almeno quindici vissuti in primo piano. L’ho visto giocare tantissime volte e tante volte l’ho ammirato. Mi piaceva di lui, soprattutto, la reazione quasi spavalda le non rare volte in cui qualche critico imprudente lo giudicava giocatore finito. Fulvio si presentava in campo e disputava un partitone. C’era da sostenere il confronto con un perno più quotato? Quasi sempre Fulvio lo vinceva.

Questa volta, invece, l’anziano grande atleta non ha avuto la reazione che la partita richiedeva. Il cervello comandava ancora ai muscoli, ma i muscoli non obbedivano. Il talento s’esprimeva ancora in finezze di concezione, ma la esecuzione era, non sbagliata, ma incompleta. Il pallone che si staccava dai piedi di Bernardini percorreva, quale misura media, si e no cinque metri. Quasi mai le ali chiamate in causa e raramente il centravanti. Da qui il sacrificio di Coscia, che si è trovato costretto a ricamare in prevalenza passaggetti col perno; di qui il gioco sordo di Bonomi; di qui l’asmatico procedere dell’intera prima linea.

Vigoria atletica. Rovescio della medaglia in campo azzurro. Splendente di giovinezza e vigoria atletica Ramella, la Lazio ha comandato il gioco da un capo all’altro della partita: è il motivo tecnico che si è profilato dall’inizio. Ramella controllava da solo la zona centrale del terreno, sentinella avanzata che, costringendo gli avversari a giocare alla svelta, agevolava non poco il compito di Monza (II) e Faotto, elastici colpitori e pieni di risorse nei momenti di pericolo. Piano piano mi sono talmente abituato a Ramella respingi tutto che ho finito- perdonatemi il paradosso – per non notarlo più! Ma Ramella non era solo a spadroneggiare. C’era anche Piola. Un Piola pari alla sua classe nella veste non ancora consueta della mezzala, nella veste, cioè, in cui la grande maggioranza dei critici non era ancora riuscito a “vederlo”.

Ricorso storico. Mi sia concesso al riguardo un ricorso storico personale. Dopo Bari-Lazio (terza giornata) sostenni la necessità di spostare Piola a mezz’ala destra per sottrarlo alla stretta sorveglianza di troppi avversari, tema obbligato di tutte le partite del Piola centravanti. Dopo Bologna-Lazio (quinta giornata) sostenni con maggior calore la stessa tesi. E la potei sostenere a maggior veduta in quanto, nel secondo tempo di quella partita, la Lazio, con Piola spostato a mezzala, segnò una notevole quanto impensata prevalenza sui rosso-blu che non diede frutti unicamente per sfortuna (un palo di Costa e un paio di occasioni mancate per pochissimo dal piccolissimo Vettraino). Tornato Piola a centravanti, sul finire, il Bologna riprese il sopravvento e terminò all’attacco.

La “prima” di Piola mezz’ala dall’inizio della partita, si ebbe contro il Modena. I contrari allo spostamento del vercellese ebbero buon gioco, poiché, date le cattive condizioni di salute di Ramella, Piola, pur dimostrandosi tra i migliori azzurri, non poté brillare. Giovedì scorso in allenamento Piola era ancora alla mezz’ala. Poiché nella prima ora non aveva fatto niente di speciale, sentii enunciare da un bravissimo giocatore la seguente definizione: "mezzala si nasce". Capitò che nell’ultima mezzora Piola dimostrò in pieno che mezz’ala si può anche diventare dal momento che oltre Meazza, anch’egli, e in brevissimo tempo, vi era riuscito.

Lo spettacolo “Piola”. Chiusa la digressione. Piola è mezz’ala anche contro la Roma. Ebbene, Piola mezz’ala è stato uno dei motivi principali dell’indiscutibile successo della Lazio sulla Roma. L’aveste visto, o lettori che non eravate a Testaccio! La Lazio, in Ramella occupato in un lavoro prevalentemente distruttivo e in Piola amministratore del gioco d’attacco e non di rado risolutore del gioco stesso, aveva il suo Giano, dio bifronte. Perfetta intesa fra i due; distribuzione di Piola, sull’intero fronte dell’attacco, assolutamente esemplare. Uno spettacolo, ve l’assicuro. C’è stato poi un momento, nel secondo tempo, in cui il cannoniere s’è sentito ripreso dall’estro di quand’era il fulminatore di reti per antonomasia. Tiro da 25 metri; una stangata che Masetti, disteso per quant’è lungo sulla linea della porta, ha deviato con grande fatica in angolo! Particolarità tecnica dei passaggi di Piola agli uomini di punta: quasi sempre indirizzati e dosati in modo da essere raccolti sia dal centro che dall’ala. Il centro era Zacconi, giocatore sbrigativo e l’ala più spesso era Busani che, guarito nel fisico ha messo in risalto le doti di velocità e di classe che tutti gli riconosciamo.

Difesa manovrata. Inavvertitamente abbiamo slittato dalla vicenda della partita nell’esame della squadra vincitrice. Già che ci siamo, completiamo il quadro. Poiché gli azzurri hanno sempre comandato il gioco, anche quando, specialmente nella fase centrale del primo tempo, si è trattato di difendersi – avviene cosè quando la difesa è “difesa manovrata” – è naturale che la Lazio non abbia avuti veri e propri punti deboli. Basterà dire che non ne ha avuto neppure nella mediana, per quanto vi fosse un esordiente: il giovanissio Ferri. Il ragazzo, dopo un primo tempo discreto, ha fornito una ripresa ammirevole per slancio e generosità d’impegno. A dirgli “bravo” non gli si regala niente. Così va segnalato l’oscuro ma costante lavoro di copertura di Camolese e l’accorta marcatura di Baldo.

La Roma ha risentito, più di quanto si potesse immaginare, dell’inedito accoppiamento dei terzini e per quello che riguarda Bernardini si è detto. L’intera squadra inoltre ha denunziato sin dalle prime battute un orgasmo dal quale non è riuscita in seguito a riaversi completamente. Certo, deve essere stato quell’assassino gol iniziale, che, chiudendo le bocche dei suoi innumerevoli tifosi, le ha tolto l’ausilio di quel caloroso incitamento di cui ieri più che mai avrebbe avuto bisogno. Il gol, cosa fatta prima che fossero esauriti 3 minuti di gioco, ha fermato la squadra che altrimenti avrebbe trovato ‘impeto voluto dalla tradizione? È un’ipotesi. Ma urge l’obiezione: c’era tempo sufficiente per recuperare. Tentò, infatti, di giungere al pareggio la Roma, ma il caso volle che, proprio pochi secondi dopo che l’occasione dell’1-1 si era presentata, e, per eccesso di individualismo in Michelini, era sfumata, la Lazio partisse fulmineamente in contrattacco e, con la complicità di una mancata intesa Masetti-Donati, segnasse il secondo gol.

Errore tattico. Attendemmo che la Roma, individuati – ed erano facilmente individuabili – i punti deboli della sua formazione, assumesse all’inizio della ripresa lo schieramento che, reclamato a voce alta da qualche tifoso, divenne quello degli ultimi minuti. In una parola che Bernardini lasciasse ad altri il comando della mediana e passasse a registrare se non proprio a galvanizzare il frammentario gioco d’attacco. Invece, la Roma insisté nella formazione iniziale e la Lazio visse tranquillamente sul vantaggio, impegnando Masetti più di quanto l’avversaria facesse con Blason. In questo periodo, che si può chiamare di controllo delle mosse della Roma, la Lazio avrebbe potuto aumentare il bottino, tanta era la facilità con cui gli attaccanti azzurri “passavano” fra i corridoi che s’aprivano di continuo nella retroguardia giallorossa.

Non fu che al 19’ che Serantoni venne spostato in prima linea. Il “motorino” aggiunse a quello di Borsetti il proprio fuoco: ma alle spalle continuava ed esserci troppo vuoto. Alla mezz’ora, finalmente, la Roma assunse la formazione che con gli uomini a disposizione si dimostrava subito come la migliore: Donati perno, Serantoni terzino sinistro, Bernardini mezzo sinistro e Coscia mezzo destro. La Roma trovò un poco di quella forza di proiezione che le era sino allora mancata, ma ormai era troppo tardi. La rete di Blason passò qualche pericolo, ma fu tutto qui.

Serantoni, il migliore. Riprendiamo l’esame critico dei giocatori. Eravamo rimasti a Bernardini. Ai suoi lati Serantoni e Fusco fecero in pieno il loro dovere, e i primo fu nel complesso il migliore della Roma. All’attacco cose bellissime fece Borsetti, palla sempre legata al piede quasi ne fosse costretta da una calamita! Da solo mise in imbarazzo duo e anche tre avversari, e il tiro più pericoloso contro Blason fu suo. Se fosse stato gol, chissà: sono le malinconie degli afflitti tifosi giallorossi. Michelini, ingabbiato nel triangolo Faotto-Monza-Ramella per effetto dello scarso aiuto dei suoi interni, fece quello che poté, cioè si servì, sino forse ad esagerare, dall’arma della rovesciata. Glie ne riuscì bene solamente una, ma Blason aveva gli occhi aperti e la palla fu nettamente sua. Alghisi, infine, restò sul livello del suo normale rendimento, il che non è molto ma non è neppur poco.

Vogliamo concludere? E’ saltata la tradizione e, saltando, la casistica del tradizionale confronto stracittadino romano si è arricchita di un fatto nuovo: la vittoria della Lazio, che non sarebbe un fatto nuovo, ma lo diventa se si aggiunge che è una vittoria che non ammette discussioni. E che non sia discutibile la dimostrazione è nella simpatica serena accettazione del risultato da parte dei tifosi giallorossi. Altra aggiunta che troverete ampiamente illustrata in altra parte del giornale; vittoria della giovinezza (dinamismo) sull’esperienza (staticità). Lieta notazione finale: comportamento esemplare dei calciatori, comportamento esemplare del pubblico, direzione esemplare dell’arbitro.

Zacconi, poi Busani. Ed ecco – per la cronaca – i due gol della giornata. Ha la palla Piola. Passaggio a Zacconi. Incertezza della difesa giallorossa. Un rimpallo: la sfera da Coscia rimbalza leggermente indietro. Zacconi si avventa, Zacconi tira. Masetti indovina la direzione del tiro e si butta. La palla è egualmente in rete. Se fosse stata parata, probabilmente nessuno avrebbe definito “prodezza” quella di Masetti. Errore di tempo nel tuffo, allora? Si era al 2’30” di giuoco. La Roma ebbe l’occasione del pareggio subito dopo, ma Michelini giunse leggermente in ritardo sulla palla lanciata in avanti da Serantoni. Poi, occasioni da una parte e dall’altra, e al 38’la Lazio raddoppiò il vantaggio, Zacconi di testa a Capri. Sull’ala corre Monzeglio, ma Capri, che è già lanciato, guadagna subito il terreno sufficiente per centrare libero. Esce Masetti e davanti a lui Donati dà l0impressione di “parare l’uomo”. Ma così non è, poiché Zacconi giunge su Masetti il quale si vede costretto a far uso del piede; il pallone batte sul mucchio e va verso la porta incustodita. Busani è svelto a scattare e con tocco tranquillo mette indisturbato in rete.

Saggezza dei proverbi. A partita finita, gli azzurri giustamente esultanti, si confusero in un abbraccio cumulativo. Prima della partita col Modena si parlò di riconciliazione fra la squadra e i suoi crucciati tifosi. Si disse poi: la riconciliazione è stata differita. Occorre aggiungere che la riconciliazione, è ormai una bella realtà? Come si vede, e a dimostrazione della verità dei proverbi, saggezza dei popoli, tutti i mali non sono venuti per nuocere. Hanno presenziato alla partita S. E. IL Segretario del Partito, S. E. Valle, l’on. Riccardi, l’on. Delcroix e Vittorio e Bruno Mussolini.





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