Domenica 19 Giugno 1938 - Parigi, Stade de Colombes - Italia-Ungheria 4-2

Da LazioWiki.

Campionati Mondiali - Finale - Parigi, domenica 19 giugno 1938 ore 15:00.

ITALIA-UNGHERIA 4-2

ITALIA: Olivieri, Foni, Rava, Serantoni, Andreolo, U.Locatelli, Biavati, Meazza, Piola [18], G.Ferrari, Colaussi. Commissario unico: V.Pozzo.

UNGHERIA: Szabo, Polgar, Biro, Szalay, Szücs G., Lazar, Sas, Vincze, Sárosi I, Zsengeller, Titkos. Commissario tecnico: K.Dietz

Arbitro: Capdeville (Francia).

Marcatori: 5' Colaussi, 7' Titkos, 16' Piola, 35' Colaussi, 70' Sárosi I, 82' Piola.

Note: spettatori paganti 65.124 per un incasso pari a 820.000 franchi.

La prima pagina de La Gazzetta dello Sport
Il titolo de Il Littoriale
Il Presidente della FIGC Giorgio Vaccaro presenta la squadra al Presidente della Repubblica francese. A lato, l'arbitro Capdeville fra i guardalinee Kirst e Wutrhrich
da Il Calcio Illustrato
La formazione azzurra, guidata da Vittorio Pozzo, alla sua sinistra il presidente della FIGC Giorgio Vaccaro, alla sua destra Silvio Piola
da Il Calcio Illustrato
Biavati e Piola nella gremitissima area di rigore ungherese
da Il Calcio Illustrato
Una delle caratteristiche azioni di Silvio Piola, che prende posizione sul difensore avversarioda Il Calcio Illustrato
Piola segna la seconda rete azzurra (2 a 1)
da Il Calcio Illustrato
Nello spogliatoio, durante l'intervallo, Piola e alcuni compagni di squadra
da Il Calcio Illustrato
Tiro di Piola di poco altoda Il Calcio Illustrato
Sarosi accorcia le distanze, la sfida della stella magiara a Silvio Piola è ancora aperta, iniziata l'anno precedente indossando rispettivamente le divise di Ferencvaros e Lazio
da Il Calcio Illustrato
Piola chiude la partita con il quarto bellissimo punto (4 a 2)
da Il Calcio Illustrato
Lacrime e abbracci tra gli azzurri al fischio finale
da Il Calcio Illustrato
La cerimonia della consegna della Coppa Rimet: gli azzurri osservano Meazza che la riceve
da Il Calcio Illustrato
Il Presidente francese consegna la Coppa a Meazza
da Il Calcio Illustrato

La Stampa titola: “Allo Stadio di Colombes una folla entusiasta saluta gli "azzurri" campioni del mondo di calcio - La Nazionale d'Italia disputa in finale la “partita capolavoro” e batte l’Ungheria per 4 a 2 - Una magnifica dimostrazione di giuoco tecnico, pratico e spettacolare - Tutti i reparti dell'unità hanno collaborato al conseguimento della smagliante vittoria - La stampa internazionale esalta i riconfermati campioni”

Il commento alla gara (“La meritata conferma”) è affidato allo stesso Vittorio Pozzo, commissario unico della Nazionale azzurra.

Parigi, 20 giugno. È finita. La Coppa del Mondo, il più grande dei trofei calciatici che esistano sull'orbe terracqueo, il più ambito degli onori, rimane all'Italia. Quando, alle 19,52, l'arbitro ha emesso il segnale di chiusura della contesa, i giocatori sono rimasti un istante come interdetti. Siccome uno scontro fra un italiano e un magiaro era avvenuto a metà campo proprio in quel momento, parecchi fra gli atleti hanno ritenuto che il suono uscito dal fischietto del signor Capdeville significasse una sanzione a danno di uno dei contendenti. No, era invece la fine, quella fine che era parsa a lungo così lontana, da prendere essa pure — come la vittoria che si segnala — forma di un miraggio.

Si sono guardati, allora, un attimo gli «azzurri», fermi, trasognati, assenti, come se la piena dei sentimenti fosse talmente grande da non permettere di muoversi. Un attimo, come se la gioia avesse fulminato tutti. Poi, l'entusiasmo e il giubilo hanno avuto libero sfogo. Braccia in alto, grida che non trovano modo di uscire dalla gola, ricerca delle persone con cui si sono divise fatiche, privazioni, ansie, emozioni; baci, abbracci. E, attorno, gli italiani a migliaia che gridano, urlano, agitano bandierine, paiono impazziti.

L'ultima fatica. Quelli sì, che si fanno sentire, mentre sul campo si è in parecchi a piangere. Non è debolezza per nessuno, nemmeno per l'atleta dal fisico sfinito e dal viso affranto dalla fatica, il dare alta propria soddisfazione quella forma intima che è la commozione. Ché, la grande finale, era stata identica alle gare di semifinale, di quarto di finale, di ottavo di finale — sempre per quanto riguarda gli italiani — in quanto a tipo di difficoltà sostenute e superate. Le difficoltà, cioè, in tutti quanti gli incontri di questa competizione a ritmo intenso, si erano delineate sul campo come di un tipo unico: superabili dal punto di vista tecnico, dure, astruse, invece sotto l'aspetto ambientale e psicologico, come si addice a gare di Coppa dove non basta giocare meglio, dove non è tutto confermarsi come i migliori; dove invece uno scivolone, un piccolo errore qualsiasi, un momento di distrazione o di debolezza può compromettere tutto, assolutamente tutto.

Effettivamente questa fatica ultima, questa gara che doveva decidere di tutto, dell'esito di due mesi di lavoro, del buon nome del calcio italiano, di una questione di prestigio, del titolo, la squadra nostra l'aveva già vinta al momento in cui l'arbitro aveva mandato i giocatori negli spogliatoi per il riposo di metà tempo. Anzi, per essere precisi, qualche tempo prima, all'istante cioè in cui essa, grazie ad un imparabile tiro di Colaussi, si era portata in vantaggio per tre reti a una. Un vantaggio di due punti nelle mani degli «azzurri» in condizioni normali, in momenti, cioè, in cui l'emozione derivante dall'importanza della posta in giuoco non viene a gettare il suo peso sulla bilancia e a tagliar le gambe, vuol dire senz'altro partita vinta. Con un vantaggio simile, mai rappresentanti dei nostri colori si sono fatti raggiungere. Nemmeno con un vantaggio minore.

Ma qui la storia era diversa. A metà tempo la squadra era nervosa. Negli spogliatoi essa fremeva. Bisogna conoscerla, per comprenderla. Era arrivata fin dove era arrivata grazie ad uno sforzo e della volontà e del fisico di un carattere tutto speciale. Era stata colta da una crisi che poteva prendere forma di grave malattia proprio al primo passo fatto nel torneo. Si era ripresa per cadere dalla padella nella brace, per piombare, cioè, nella situazione morale più difficile che la grande competizione potesse preparare ad uno qualunque dei suoi contendenti.

Ostacoli superati. Usciti trionfanti da questa complicata situazione, si era vista la via sbarrata dall'avversario tecnicamente più temuto di tutto il torneo, dal vero spauracchio del torneo stesso: il Brasile. In ambiente nettamente, biecamente ostile, questo avversario lo aveva battuto facendo assurgere il proprio gioco a un livello elevatissimo. È con questo po' po' di peso materiale e morale sulle spalle come passato si era presentata alla finale ove, ad attenderla a pie fermo, stava una unità che come peso derivante da fatiche del passato non ne aveva proprio nessuno.

Di slancio, a sei minuti dal calcio di tutela, gli “azzurri” passavano in vantaggio. Troppo presto, troppo presto. Non è mai bello per la squadra nostra il segnare all'inizio delle ostilità. Tanto vero che, precisamente come era avvenuto nella partita sostenuta contro la Francia, questo vantaggio essi lo perdevano subito. Solo per riprenderlo una decina di minuti dopo. Solo per aumentarlo prima del riposo. Solo per confermare in quarantacinque minuti di gioco aperto, franco, deciso, la loro netta superiorità tecnica e tattica.

A metà tempo, ripetiamo, la partita poteva essere logicamente considerata come vinta. Qui la squadra cadeva nell'agguato della emozione. Vedeva a occhio nudo il traguardo, sentiva quasi con l’olfatto la fine della tenzone, aveva l'impressione di tenere il successo a portata di mano e fremeva. Fremeva, fra l'altro, anche al pensiero che un errore qualsiasi, uno sbaglio banalissimo potesse allontanarlo ancora da quella vittoria che tanto si meritava. Qui venne, conseguentemente, il momento di crisi, il momento che fece soffrire gli italiani presenti. L'Ungheria, spinta dalla forza della disperazione, andò all'attacco in uno stile tale da impressionare. E quello che non era riuscito proprio all'inizio della ripresa, lo riuscì verso la metà di essa. Diminuì lo svantaggio: lo portò al minimo scarto possibile: tre a due.

È stato qui che la forza d'animo degli atleti nostri si è risvegliata. Come pervasa da un brusco fremito, la squadra si è allontanata da quella piccola forma di orgasmo di cui si era lasciata pervadere, ha ritrovato la sua calma, il suo spirito freddo e chiaroveggente. Ha tenuto a bada in tono ferino e deciso l'avversario, è ripartita all'attacco, ed ha ristabilito la distanza. La partita che gli «azzurri» già avevano vinto nel primo tempo, essi l'hanno rivinta in quel momento: in modo chiaro e definitivo.

Chiuso in bellezza. Ristabilita, come si è detto, la distanza a mezzo di un punto segnato da Piola su azione di Biavati, gli «azzurri» hanno terminato con piglio franco, sicuro, comandando, dominando, controllando fermamente il giuoco. Hanno chiuso in bellezza. Che la vittoria anche in questa fatica finale essi se la siano pienamente meritata, nessuno, nessunissimo dubbio. Il miglior giuoco sono stati essi a svolgerlo; le azioni più limpide sono stati essi a condurle; lo stile più pratico e la miglior tecnica è stato appannaggio loro.

La squadra di Sarosi si è mostrata in questo incontro pienamente combattiva e veloce e migliorata di molto nei confronti con le ultime edizioni a noi contrapposte, ma pur sempre inferiore, nel complesso, alle possibilità di una Nazionale italiana dal funzionamento e dal rendimento normali. Il miglioramento dei magiari è quasi esclusivamente limitato al lavoro dell'attacco. Qui sì che le cose vanno meglio in paragone a una volta. Sarosi vi dà poca emergenza come uomo di conclusione, ma è la vera intelligenza della linea. Quei due periodi del secondo tempo in cui il settore di avanguardia degli ungheresi scatenati si è abbattuto sulle nostre linee difensive, appartengono ai momenti migliori di tutto l'incontro.

In tutto quello che è lavoro di difesa, invece, la squadra è rimasta quella che era. Coi terzini che grande velocità non ne posseggono, con i mediani che un preciso senso della posizione non lo hanno, questa difesa appariva vulnerabile ogni qualvolta che gli uomini nostri andavano all'arrembaggio. Specialmente le avanzate a giuoco largo, le offensive affidate alle ali, coglievano i terzini in posizione d'imbarazzo. Tanto che se l'ala destra nostra avesse potuto gettare sulla bilancia quel senso di esperienza che solo gli anni di battaglia conferiscono a un calciatore, ben più marcato sarebbe stato il vantaggio con il quale gli italiani avrebbero chiuso la gara. A parte quel giustificatissimo senso di nervosismo e di orgasmo che infrenò l'azione in certi momenti del secondo tempo, la squadra nostra ha condotto questa gara nello stesso alto e lodevole stile con cui aveva condotto le partite contro la Francia e contro il Brasile.

Riconoscimenti. Quella condizione di convincente superiorità tecnica su ogni altro competitore, che era emersa negli altri incontri, ha avuto, nella finale di Colombes, piena conferma. Nessuno, diciamo nessuno, dei cinquantamila spettatori presenti, è uscito dal campo con la possibilità di un dubbio sulla regolarità dell'esito non solo della finale, ma di tutto quanto il torneo. I primi a dichiararlo sono stati gli ungheresi stessi, i quali hanno tenuto sportivamente a venirsi a congratulare con gli italiani. Difesa ferrea, con un Rava che a tratti dava l'impressione di essere addirittura insormontabile, linea mediana mobile e continuativa, con un Locatelli sempre sulla palla e un Serantoni tenace come un cane mastino; settore d'attacco dallo stile eminentemente pratico, grazie all'impostazione derivante dall'intelligenza di Meazza e di Ferrari e alle capacità di penetrazione di uomini di punta come Piola, Colaussi e Biavati.

La gioia più grande. Il punto in cui la squadra nazionale italiana, non soltanto nella gara finale ma in ogni altro incontro del torneo a cui ha preso parte, ha superato ogni altro competitore, è quello della impostazione del giuoco nello stile pratico dell'attività. A partire dalla gara con la Francia — pietra miliare in cui la squadra ha ritrovato sé stessa — l'unità ha giuocato per vincere, soltanto per vincere, esclusivamente per vincere. Ha sfrondato il suo repertorio di ogni numero non indispensabile, non strettamente utile ai fini del risultato e con un giuoco ridotto all'espressione della massima semplicità, ha finito per imporsi. È stata l'arma tecnica con cui ha superato la sua crisi, questa semplicità di giuoco — che delle armi di altro tipo non si può parlare in questa serie di emozioni: una semplicità che non ha mai portato l'attività ad essere scarna, vuota di contenuto, priva di bellezza. La più pura espressione del giuoco moderno, è stata definita qui a Parigi, questa attività della squadra italiana.

La fatica è finita. V'è nel cuore di ognuno di coloro che vi hanno partecipato una soddisfazione intima, una gioia così viva e intensa, che nessuna parola, nessuna espressione potrebbe rendere. Compenso di tutto, questa gioia, che getta dirigenti e giuocatori l'uno nelle braccia dell'altro, che stringe i cuori, fa gonfiare gli occhi e non lascia trovare parole acconce. Non vi è, come soddisfazione, nulla al mondo di più bello e di più grande del proprio dovere compiuto con successo.


► La cronaca della partita nell’articolo de La Stampa.

Parigi, 20 giugno. I giocatori rincorrono la palla a metà campo e l'arbitro li ferma per punire un fallo. Non lascia, però, che la punizione venga battuta poiché, in quell'istante, l'occhio fisso sul cronometro gli segnala che il 90° minuto è scoccato. Capdeville lancia i tre trilli finali: la partita è finita, la Coppa del Mondo è conclusa, l'Italia ha vinto.

La scena finale. In tutti, nella folla come negli atleti, v'è un attimo di incertezza, di silenzio, di strana attesa. Pare quasi impossibile che una contesa che per due settimane ha avvinto il cuore e l'attenzione di milioni di spettatori di tutto il mondo possa finire così, con tre trilli di un fischietto di latta. La folla non riesce, di colpo, a staccarsi dallo stupendo spettacolo atletico a cui ha assistito; gli «azzurri» non sanno .dare sfogo fulmineamente al trionfante entusiasmo che urge loro nel cuore; gli ungheresi forse non possono ancora credere che i sogni di vittoria tanto cullati siano per sempre svaniti.

Ma tutto ciò dura un attimo solo. Un corale di applausi si leva dalle scalee che serrano in un cerchio nero il verde terreno della contesa; un corale a cui tutti gli spettatori offrono l'apporto della loro voce, ma che porta sulla cresta della sua onda sonora il grido trionfante, esaltato, tremante di orgoglioso entusiasmo, delle migliaia e migliaia di italiani riuniti in gruppi numerosi o isolati fra il pubblico. Volano i cuscini, bandiere tricolori vengono agitate freneticamente quasi a segnalarsi da una parte all'altra del campo, dalle tribune alle curve, dal sommo delle scalinate ai bordi della pista rossiccia che per una sola gioia per un solo orgoglio sventolano fieramente.

Sul campo gli «azzurri» si gettano uno nelle braccia dell'altro, si baciano, sorridono e si guardano con gli occhi lucidi di lacrime e fissi, come incantati. Vittorio Pozzo balza dallo scranno accanto alla balaustra da cui ha seguito la gara e corre in campo verso i suoi ragazzi; il primo a gettarglisi fra le braccia a dirgli con parole mozze la sua felicità, la sua riconoscenza, è Biavati, la recluta della squadra, il ragazzo che si è guadagnato i galloni di internazionale proprio in questo aspro torneo; la testa bianca dell’uomo che ha guidato la squadra nel trionfo, e il volto sudato e giovanile dell'atleta che al raggiungimento di questo trionfo tanto ha collaborato, si uniscono e stanno accanto a lungo; poi è la volta degli altri, dei veterani Meazza e Ferrari, per la seconda volta campioni del mondo, di Serantoni, Andreolo, Locatelli, Colaussi, Piola, i gladiatori della squadra, di Foni, Rava e Olivieri, che per la prima volta sconvolgono la loro fredda maschera nelle contrazioni dell'esultanza.

Lebrun premia Meazza. Gli ungheresi, frattanto, lentamente raggruppano le loro maglie granata, lentamente interrompono le manifestazioni di gioia di questo o quell'azzurro per serrargli la mano, assistono alla scena muti e dolenti. È la dura legge di tutte le contese e specialmente di quelle sportive che fa di questi undici magnifici atleti, fino a poco tempo prima gagliardamente lottanti, il simbolo della sconfitta. Poi, lentamente, se ne vanno. Scompaiono dalla scena che non li ha più per attori; che è ormai tutta e soltanto per chi ha vinto. Gli «azzurri» riescono infine a raggrupparsi e, mentre la banda militare venuta al centro del campo lancia le note della Marcia Reale e di Giovinezza, si irrigidiscono nel saluto romano. Le loro braccia si tendono gagliarde verso il cielo, ì petti si sollevano gonfi di emozione, ansanti di fatica. La folla ripete più alta l'onda degli applausi, mentre da ogni parte voci di italiani cantano a piena gola le parole di Giovinezza. Molti di questi italiani ripartiranno stasera per tornare in Patria con il cuore pieno di esultanza; i più invece, resteranno qui ove il lavoro li tiene, ma da questo istante una ragione di orgoglio di più li accompagnerà nella dura lontananza.

Gli inni d'Italia sono appena finiti che Meazza, capitano della squadra sale alla tribuna d’onore ove dalle mani del Presidente della Repubblica, riceve il segno della vittoria; l'aurea Coppa del Mondo che sino a poco prima è rimasta a far bella mostra di sé su un purpureo piedestallo ai limiti del campo, proprio in linea con la metà del terreno di gioco, quasi per offrirsi a chi doveva dimostrarsi il più forte Quando Meazza discende stringendo sla coppa, corre verso Pozzo e gliela consegna abbracciandolo ancora. I due la serrano tra le mani nervosamente; conquistata quattro anni fa alla presenza del Duce essa torna ora per la seconda volta in Italia. Il suo viaggio fuori del confine è stato breve assai.

Cifre primato. È sceso ora con gli «azzurri» anche il generale Vaccaro, che ha dovuto: per gli obblighi del cerimoniale, starsene fino adesso lontano, soffocando l'ansia di stringerseli tutti sul petto. Poi i fotografi si fanno prepotenti, chiudono in un semicerchio gli atleti e i dirigenti, ordinano sorrisi, dispongono gruppi e scenette. Docilmente i vittoriosi si acconciano ad eseguire i comandi. Sono come assenti, come se tutto facessero inconsciamente. Sinché Foni non si risveglia e fa da battistrada verso gli spogliatoi. Altri caldi, lunghi applausi accompagnano i ragazzi d'Italia mentre lasciano il terreno della lotta vittoriosamente combattuta.

Come si è svolta questa lotta? Ve lo raccontiamo adesso ricercandone le fasi emozionanti negli appunti nervosamente tracciati. Non potevamo dirvi di essa senza prima avervi raccontato l momenti indimenticabili del trionfo. Per fare le cose diligentemente e far rispettare finalmente l'ordine cronologico, vi riferiamo, in poche righe, quanto è avvenuto prima del calcio di inizio, riprendendo il filo degli appunti da quando, assai per tempo, arrivati allo stadio di Colombes dopo una lunga navigazione tra file interminabili di automobili, l'abbiamo trovato già ben pieno ma non gremito di gente. Qua e là ci sono vuoti che tardano a riempirsi. E sì che quasi tutti i biglietti sono venduti. Chi li ha in gran comperati sono, però, i bagarini, che ora stanno urlando e contrattando fuori del recinto. Si accorgono tardi che l'affare non è dei più buoni, poiché molta gente aspetta impassibile che... i prezzi calino. È un duello di resistenza. Alla fine, perdono i bagarini e verso le 16,30 Colombes non offre più posti vuoti allo sguardo. L'incasso pare sia di 820.000 franchi e gli spettatori paganti 65.124. Queste cifre, unite a quelle che vengono comunicate da Bordeaux, dove si gioca la partita Svezia-Brasile per il terzo e quarto posto, portano la cifra dell'incasso totale della Coppa del Mondo alla bella somma di 5.940.000 franchi. Un omaggio cospicuo alla popolarità del gioco del calcio.

Il cielo è velato e l'atmosfera fresca. Spira, anzi, una leggera brezza. Temperatura ideale per i giocatori che si batteranno su un campo dal fondo perfetto. Si annunciano le formazioni. I magiari hanno rivoluzionato i loro quadri facendo un miscuglio tra la formazione che ha battuto la Svizzera e quella che ha dominato la Svezia.

Sono questi (vedi le formazioni nel tabellino, nota LW) i giocatori e i dirigenti che alle 16,45 precise entrano in campo. L'orologio che domina il quadro delle segnalazioni non viene fermato. Per tutta la partita continuerà a segnare i minuti e a scandire con ogni scatto delle sue lancette gli attimi di ansia degli spettatori e degli atleti. Grave contrasto con le norme del calcio internazionale. Ma per una finale di Coppa del Mondo si Può anche fare questa eccezione.

Le due squadre si schierano dinanzi alla tribuna d’onore seguendo l’ordine alfabetico francese che indica per prima l’Ungheria, arriva il Presidente della Repubblica. Il signor Lebrun scende in campo e, a cominciare dalla squadra azzurra, accoglie la presentazione degli atleti, dell'arbitro e del guardalinee. La cerimonia è rapida e preceduta dal suono degli Inni nazionali, eseguiti dalla banda del 5° Reggimento di Fanteria. Le due squadre si schierano nella formazione di giuoco. Il lento e solenne Inno ungherese e le trionfanti note della Marcia Reale e di Giovinezza ricevono gli applausi della folla.

Un punto per parte. Sono le 17,04. Si attacca. Gli «azzurri» sono subito in area avversaria, ma tocca agli ungheresi il portare la prima azione pericolosa: al primo minuto essi costringono la difesa italiana in calcio d'angolo. La risposta è, però, immediata: Colaussi obbliga Polgar a salvarsi alla stessa maniera. Qualche incertezza in campo azzurro, ma Ferrari e Foni, con spettacolosi giuochi da signori della palla, dimostrano come la squadra italiana stia per prendere quota. Difatti a poco a poco le azioni si serrano nell'area ungherese e, dopo una sporadica puntata di Sarosi che gli frutta un calcio d'angolo, arriva la prima mazzata dell'Italia.

Sesto minuto. Biavati riceve la palla a metà campo e fugge lungo la linea, pressato gomito a gomito da Lazar; con la sua caratteristica sforbiciata, l’«azzurro» conquista qualche lunghezza di vantaggio e poi lancia avanti il pallone verso il centro, spiazzando tutta la difesa magiara; Piola tocca la palla verso sinistra e Colaussi, arrivando in corsa, la scaraventa impetuosamente nella rete di Szabo. Goal lineare, irresistibile. La folla è tutta un applauso per gli «azzurri». Ma non deve passare troppo tempo perché la stessa manifestazione non debba essere rivolta ai nostri avversari.

Un minuto dopo, infatti, in una rapida avanzata nell'area italiana, Andreolo non riesce a controllare gli avversari e Vincze può spostare il pallone sulla sinistra, offrendo il modo a Titkos di battere Olivieri. Uno a uno dopo otto minuti di giuoco. Tutto da rifare.

Gli azzurri tornano all'attacco e un duetto Piola-Colaussi, che trova poi la continuazione in Ferrari, porta Piola a un tiro da rete. La palla sbatte però contro il palo. I nostri, azione per azione, raggiungono il dominio completo del giuoco. Gli ungheresi pare non riescano più a capire che cosa si faccia. Si sta facendo dell'arte calcistica vera e propria, si sta sciorinando dinanzi al pubblico sbalordito la più bella antologia di calcio.

Prodezze degli azzurri. Ed ecco il coronamento di tanta bellezza sportiva. Al 16' la palla corre, toccata leggermente, spinta con abilità dai giocolieri, da Colaussi a Piola, da Piola a Ferrari, da Ferrari a Biavati, da Biavati a Meazza. Il capitano azzurro la offre infine a Piola. Il tiro conclude vittoriosamente questa avvincente fase. Szabo è battuto per la seconda volta. La Italia sta nuovamente vincendo.

L'Ungheria tenta la reazione, ma ben presto si trova nuovamente costretta nelle spire del giuoco italiano. Biavati, Colaussi, Piola, a più riprese si mostrano fantasmi minacciosi dinanzi alla porta magiara e Meazza (22') chiama Szabo a una difficile parata.

Sarebbe lungo e difficile enumerare e descrivere tutte le offensive azzurre che soltanto per un soffio non portano al goal. A tutti gli attaccanti nostri si offrono occasioni preziose. Fra gli avversari, invece, soltanto Szengeler riesce a tirare, ma al 35’ ecco la conclusione ai questa lunga stupenda superiorità. Foni invia lungo la palla a Meazza, che la smista rapida sulla sinistra; là c'è Colaussi ad aspettarsela e a portarsela avanti, lottando fianco a fianco con Polgar. I due arrivano a cinque passi da Szabo e qui il triestino scocca il tiro. Niente da fare per il portiere ungherese: tre a uno. La vittoria ormai è certa. Gli italiani dalle scale dello stadio manifestano clamorosamente il loro entusiasmo.

Ma la serie non si interrompe. Biavati poco dopo passa in rivista la porta di Szabo con un traversone, Piola freccia fra i terzini e spara una fucilata che sibila poco sopra la traversa. L'Ungheria pare in questo istante sia in campo solo per dar modo all'Italia di esplicare tutta la sua abilità calcistica. Siamo allo spirare del primo tempo. Ferrari offre a Piola la occasione per un'altra prodezza. Il vercellese spedisce verso la porta magiara un pallone che Szabo ancora ora deve ringraziare se per pochi centimetri non ha infilato la via della rete.

Siamo al riposo e mentre le squadre sono negli spogliatoi la banda vuole anche per sé una parte di applausi. Sfila infatti sulla pista suonando una marziale marcia e dopo aver fatto tutto il giro torna a prender posto sui suoi sgabelli. Più nessuno, fra il pubblico e fra i giornalisti, può più dubitare del risultato. Gli «azzurri» sono già campioni del mondo e quando rientrano vengono accolti come tali in anticipo. Gli italiani che si accalcano accanto alla rete applaudono Pozzo, il quale cerca con gesti della mano di calmarne l'entusiasmo. Sino all'ultimo minuto una partita di calcio non è mai vinta.

Risveglio dei magiari. Se ne ha subito la prova poiché i magiari, come se negli spogliatoi fosse stata loro fatta una iniezione di succo di tarantola, si scaraventano all'attacco portando un po' di scompiglio nelle nostre file. Foni e Rava, però, non si lasciano sorprendere. Il primo tempo è stata la grande parata dell'attacco? La ripresa costituirà la grande prova dei terzini e dei mediani, impegnati a difendere. Con ciò non si dice che gli avanti stiano del tutto inattivi. Biavati, infatti, colpisce il montante sinistro della porta di Szabo al 13’ minuto. E' il secondo palo degli «azzurri». Non si può dire che siano troppo fortunati.

Le impetuose offensive ungheresi si susseguono, e Szengeller spara prima a lato e poi troppo alto due palloni che avrebbero potuto essere utilizzati meglio. Avvengono, frattanto, alcuni scontri fra i giuocatori. Biro e Piola sono i più accaniti, ma Titkos vuol superare tutti atterrando Serantoni e poi sparandogli due pugni mentre è a terra aggrovigliato con lui. L'arbitro segna il fallo ma il pubblico, forse perché non ha capito l'azione, si mette a fischiare. Sarà una serie di fischi che durerà parecchio e che accompagnerà la ripresa disordinata ma impetuosa dei magiari e che li porterà a segnare il loro secondo punto. Ciò avviene al 24', quando, dopo una lunga azione nell'area italiana, Szengeller riesce a passare di testa a Sarosi e questi, da pochi passi, può scaraventare nella rete di Olivieri il pallone. Siamo tre a due.

Tutta la sicurezza della vittoria che si aveva nell'intertempo si muta ora in ansia. Qualcuno, anzi, prevede addirittura un pareggio seguito da tempi supplementari. Ma se fra gli spettatori ci sono dei pessimisti, così non è fra gli «azzurri». I nostri atleti, infatti, riordinano le file, rafforzano la volontà e tornano a dominare. Parecchie azioni li mettono a contatto con Szabo. Finché ecco la stangata che suggellerà definitivamente il risultato della contesa.

Trentasettesimo minuto: Piola porta avanti la palla e la passa a Biavati. Questi si dirige fulmineo versò la porta ungherese: pare voglia tirare, poi d'improvviso passa al centro. Piola è pronto a mettere in rete. Quattro a due.

Il giuoco è fatto. Ormai il gioco è fatto e l'altalena delle emozioni finita. Lo capiscono anche gli ungheresi, che abbandonano lentamente le armi. Gli “azzurri” fanno dell'accademia; gli italiani del pubblico esultano, chiedono il quinto goal. La gente comincia a muoversi dai posti. Il generale Vaccaro sale a parlare alla radio. Sinché il 90° minuto è scoccato e avviene quanto vi abbiano già raccontato prima e che abbiamo poi interrotto per darvi la scarna trama della contesa.

Scesi negli spogliatoi, i nostri calciatori sono raggiunti ancora dall'eco dell'entusiasmo dei connazionali che si aggrappano alle finestre per continuare a gridare la loro gioia. Pezzi di carta vengono passati attraverso le griglie: si vogliono le firme dei trionfatori. Pozzo è pressato dalle interviste. Nell'oscuro spogliatoio si respira l'aria della vittoria. I campioni del mondo sono lì, ancora sudati, raggianti di gioia che attendono l'istante di tornare a St. Germain. La grande fatica è terminata. Dopo due mesi di sacrifici, di silenziosa opera, il loro dovere è stato fascisticamente compiuto. Qualcuno parla del ritorno in Italia che, con la partenza da Parigi alle 19,35, avverrà domani mattina alle 6,57, ora di arrivo a Torino.

► Nel giudizio de La Stampa sui singoli calciatori, spicca quello dedicato a Silvio Piola: “Solo in lotta contro tutti i terzini e contro tutti i mediani, non ha mai rinunziato alla conquista di un pallone, non ha mai trascurato una occasione di goal. È diventato l'attrazione fenomeno del torneo. La folla parigina attendeva il duello alla distanza Piola-Sarosi, ma il dottor Sarosi è mancato all'appuntamento. Piola ci si è fatto trovare e ha segnalato la sua presenza con due goals di marca”. La rivincita del campione biancoceleste contro l’asso del Ferencvaros, dopo la sfida dell’anno precedente in Coppa Europa vinta dal magiaro, si è così consumata.

► Nelle interviste del post-gara, il giudizio sui protagonisti: “Parla l'allenatore della squadra d'Inghilterra: Piola è formidabile. Superiore a Drake perché più veloce”.

Parigi, 20 giugno. I giornali della sera nelle loro ultime edizioni celebrano la vittoria italiana senza reticenze.

L'Intransigeant scrive: "Gli italiani hanno mostrato una evidente superiorità. Essi hanno avuto come principali carte la velocità, il mordente e un meraviglioso senso dell'opportunità. Nell’insieme non si sa quello che bisogna più ammirare nella loro squadra: il sangue freddo costante, l'attacco individuale o la forza irresistibile degli avanti. Le tre reti italiane del primo, tempo furono nette e pure”.

Paris Soir, dal canto suo, scrive: "La vittoria dell'Italia in questa Coppa del mondo è veramente meritata. Con la sua abilità tecnica da un canto e con la sua volontà dall'altro essa doveva, secondo giustizia, conservare il glorioso trofeo conquistato quattro anni addietro. Bisognerà ora, per noi, trarre la lezione da questo torneo. Cerchiamo di avvicinarci al metodo italiano che in ogni modo è quello che conviene meglio al nostro temperamento".

Infine il Petit Parisien celebra la vittoria degli «azzurri» scrivendo: "Gli italiani si mostrarono più rapidi e volitivi a confronto dei loro avversari, la cui difesa ha spesso ondeggiato. La squadra di Vittorio Pozzo è in questo momento in una forma ascendente. Essa si è mostrata oggi irresistibile. La sua seconda e terza rete hanno lasciato gli ungheresi letteralmente stupefatti. Erano qualcosa di magistrale, di netto e senza sbavature. Decisamente i magiari non batteranno mai i loro famosi rivali: giuocano a un ritmo inferiore e sono come abbacinati dai rivali. La superiorità italiana è il trionfo di una buona tecnica, ma di una tecnica messa al servizio di uno spirito di corpo e di una volontà e di qualità fisiche fuori del comune".

Fra le persone che hanno assistito alla partita, si trovava l'allenatore della squadra d'Inghilterra, Tomm Whittaker, il quale, interrogato da un redattore di Paris Soir, si è espresso sugli «azzurri» in modo altamente elogiativo. "Gli italiani - egli ha detto - sono stati nettamente i migliori. I migliori perché sono molto più rapidi e perché gli ungheresi non sorvegliano le ali avversarie. È così che Biavati e Colaussi hanno creato ad ogni istante delle occasioni temibili. Gli ungheresi aspettano la palla invece di marcare l'uomo. Infine, la difesa italiana è nettamente superiore alla difesa ungherese, e Piola è un giuocatore formidabile. Egli deve essere superiore a Drake, il cui giuoco assomiglia al suo, ma Piola è più veloce".

Il commento del generale Vaccaro, presidente della FIGC: "Siamo contenti. Il dovere che era assegnato alla squadra questa l'ha compiuto fino alla fine. Ogni commento alla partita è inutile; gli «azzurri» l'hanno scritto ricamandone le parole con la palla sul quaderno verde dello stadio di Colombes".

L'arbitro Capdeville: "Mi erano stati descritti gli italiani come dei grandi giuocatori, ma l'averli oggi visti ha superato l'attesa. Sono contento di aver diretto questa partita poiché mi ha dato modo di far conoscenza con gli azzurri per due volte campioni del mondo e di trovare in essi e nei loro avversari dei giuocatori leali e cavallereschi. Fra gli italiani i migliori sono stati Piola e Rava".