Domenica 1 giugno 1997 - Torino, stadio Delle Alpi - Juventus-Lazio 2-2

Da LazioWiki.

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Campionato Italiano di calcio Divisione Nazionale Serie A 1996/97 - 34ª giornata - Juventus-Lazio 2-2

JUVENTUS: Rampulla (80' Falcioni), Porrini, Ferrara (80' Cingolani), Montero, Dimas, Lombardo, Di Livio, Tacchinardi, Pessotto (70' Trotta I.), Vieri, Amoruso I. n.e. Bonetto, Vieri II. All. Lippi.

LAZIO: Marchegiani, Negro, Nesta, Chamot, Favalli (78' Fish), Rambaudi (53' Buso), Fuser, Venturin, Nedved, Casiraghi, Signori (70' Protti). n.e. Cudicini, Grandoni, Gottardi, Piovanelli. All. Zoff.

Arbitro: Sig. Racalbuto (Gallarate).

Marcatori: 31' Vieri, 52' Amoruso, 73' Casiraghi, 85' Protti.

Note: ammonito Favalli per gioco scorretto. Esordio in serie A per Falcioni, Cingolani e Trotta I. Calci d'angolo: 8-5.

Spettatori: 38.617 per un incasso di lire 1.030.895.034 (10.439 paganti per un incasso di lire 342.382.000; 28.178 abbonati per una quota di lire 688.513.034).

Il biglietto della gara
Igor Protti pareggia i conti
Pierluigi Casiraghi abbraccia il bomber biancoceleste

La Gazzetta dello Sport titola: "La squadra bianconera si è congedata dal proprio pubblico e da una stagione comunque straordinaria. La Juve si gode la festa. Dopo il pareggio con la Lazio gli applausi, i cori e i tuffi nell'erba bagnata. I bianconeri hanno divertito, a tratti dando anche spettacolo: sul 2-0 con i gol di Vieri e Amoruso, sono stati raggiunti dalle reti di Casiraghi e, nel finale, di Protti".

Continua la "rosea": E' finita con una festa "controllata", com'è nell'indole di una città che non ama gli eccessi. La pioggia aveva bagnato le polveri alle teste più calde. Il fresco ricordo di Monaco ha fatto il resto. Niente invasione, dunque. Solo applausi e cori festanti all'accorrere dei giocatori sotto le curve, ai loro spettacolari tuffi collettivi, facilitati dall'erba bagnata, dopo che il tricolore dipinto sulla chioma della maggior parte di loro s'era sciolto sotto la pioggia, stingendo le maglie bianconere. La Juve ha chiuso col terzo pareggio consecutivo la terza stagione dell'era-Lippi, un campionato che l'ha vista a tratti entusiasmare, a tratti calcolare con cinica freddezza le proprie energie. E nell'ultima uscita ha divertito, a tratti dando anche spettacolo, pur su un terreno che poco si addiceva ai virtuosismi. Una Juventus briosa, con i soliti Vieri e Amoruso in grande evidenza, ben sostenuti da Tacchinardi, Pessotto e compagni, ma soprattutto da un entusiasmo legittimo al termine di una stagione che l'ha vista tenacemente impegnata e vincente su tre dei quattro fronti su cui è rimasta in corsa dopo l'indolore eliminazione dalla Coppa Italia. Lippi, persi Del Piero e i francesi, ha dovuto rinunciare all'ultimo momento anche a Jugovic e Boksic, ma i sostituti si sono dimostrati motivatissimi. La Lazio all'inizio non si aspettava un avversario così brioso e ne ha sofferto visibilmente il ritmo e l'aggressività.

Vieri e Amoruso (una delle coppie meglio assortite fra quelle possibili con gli attaccanti a disposizione di Lippi) hanno confermato di attraversare un ottimo momento e hanno messo in serie difficoltà la retroguardia laziale, che ha arginato come ha potuto le loro folate, soprattutto con Nesta e Negro, mentre Chamot e Favalli soffrivano gli affondi portati dalla destra da un vivacissimo Lombardo. Le punte bianconere erano sostenute adeguatamente da un centrocampo improvvisato ma formato da uomini che per un motivo o per l'altro non avevano avuto troppo spazio negli ultimi tempi e avevano voglia di mettersi in vetrina come Tacchinardi e Pessotto, che trovavano nel solito Di Livio - utilizzato come centrocampista puro - un punto di riferimento prezioso. Da parte laziale, in ombra Fuser e spento Rambaudi, solo Venturin cercava di ricucire le trame e Nedved gli dava una mano prendendo di tanto in tanto qualche iniziativa. Presa in pugno la partita, dunque, la Juve impegnava seriamente Marchegiani con sempre maggior convinzione fino a passare in vantaggio verso la mezz'ora: lancio lungo di Montero su cui Amoruso rubava il tempo a Negro, ne evitava il ritorno e crossava lungo per Vieri che bruciava sul tempo (e sull'elevazione) Chamot e batteva di testa con violenza, superando Marchegiani (31'). Malgrado qualche tratto di campo allentato frenasse le traiettorie, il gioco era piacevole e la gara risultava divertente. La Lazio restava tuttavia in soggezione anche perché Casiraghi era lasciato troppo solo da un Signori in versione fantasma e da un Rambaudi poco lucido.

E a inizio di ripresa la Juve passava ancora: manovra Di Livio-Ferrara che smarcava Lombardo. L'assist dell'ex doriano per Amoruso era perfetto e il tocco del pugliese imprendibile, anche se una pozzanghera rischiava di vanificarne l'efficacia (7' s.t.). A questo punto la Lazio reagiva con Buso e Protti a portare energie nuove. E dopo che l'arbitro non aveva punito un intervento di Amoruso su Nedved in area, era Casiraghi, imbeccato da Buso, a battere Rampulla (che lo aveva già fermato due volte di piede) al 28'. Lippi regalava la gioia dell'esordio a Falcioni e ai promettenti boys Trotta e Cingolani. Proprio nel finale Protti, con uno slalom in una difesa ormai allentata, si faceva largo e batteva, aggirandolo, Falcioni (40'). Ma ormai tutti aspettavano solo la festa finale.


Dal Corriere della Sera:

Senza eccessi, la festa della Juventus si consuma in un contenitore ghiacciato e semivuoto, nove gradi la temperatura e spettrale l'impatto con lo stadio. Una festa dai tratti eccentrici, con i giocatori bianconeri che si presentano con i capelli colorati di bianco, rosso e verde, a testimonianza del ventiquattresimo scudetto della loro storia vinto con un turno d'anticipo a Bergamo, di venerdì sera. Festa dei buoni sentimenti e della famiglia, perché la passerella sotto l'acqua si apre con gli juventini che tengono per mano i loro bambini, chi ce li ha, naturalmente. E' una festa ridotta, tanta gente che manca. Negli occhi, forse, ancora la caduta di Monaco, la Coppa dei campioni che ha preso la strada di Dortmund al termine di una stagione magnifica. Mancano Zidane e Deschamps, non c'è Jugovic, Peruzzi sta con la figlia appena nata, troppo piccola per portarla allo stadio, Del Piero non sta bene, Boksic è misteriosamente finito in tribuna. Alla fine, dopo che la Lazio di Dino Zoff (cori e lunghi applausi per lui) ha recuperato il doppio svantaggio e fissato il punteggio sul 2 pari, la festa continua con tuffi da piscina sotto la curva nord e un giro di campo accompagnato dal nuovo inno bianconero: "Grande Juve". La Lazio, che non perde nemmeno a Torino contro i campioni d'Italia e i vice campioni d'Europa, conquista il trentaduesimo punto della gestione Zoff, cominciata quattro mesi fa, alla fine di gennaio, al posto del rivoluzionario perdente e spernacchiato Zeman, cacciato alla prima giornata di ritorno, sconfitta interna con il Bologna. Trentadue punti in sedici partite: un successone. Quarto posto in classifica e Coppa Uefa garantita, dopo aver sentito qua e là, nella prima parte del campionato, l'odore della zona retrocessione. Zoff ha perso solo due volte. A Parma (1-0) e a Genova contro la Sampdoria (2-0).

Poi ha solo vinto (parecchio) e pareggiato (il giusto). Dopo tre anni di presidenza forzata, un esilio dietro la scrivania impostogli dal proprietario Sergio Cragnotti e da una piazza che voleva solo che si levasse dai piedi, Zoff ha conosciuto un nuovo, piccolo trionfo. Celebrato, non a caso, nella città delle sue memorie, nella città storiche dei trionfi e della costruzione del mito, contro la squadra alla quale, in tempi grami e di sofferenze d'origine milanista, diede una Coppa Uefa e una coppa Italia prima di essere cacciato in malo modo a beneficio di Gigi Maifredi. "Abbiamo concluso alla grande questa stagione - ha detto ieri Zoff - con una media straordinaria. Trentadue punti in sedici partite rappresentano un risultato eccezionale, davanti al quale credo bisogna togliersi il cappello. Prendendo la squadra a gennaio avevo puntato sull'attacco, sulle capacità di certi nostri giocatori che si erano momentaneamente addormentate. Da quel momento, abbiamo segnato gol a raffica. Alla fine, abbiamo pure superato le nostre aspettative". Non parlerà mai di vendetta, ma che sia almeno una rivincita, questo è evidente. Rivincita nei confronti della Lazio stessa, di Zeman, un po' anche nei confronti della Juve. Può togliersi tutti i sassi che vuole, specie con chi, ancora oggi, a Roma santifica il boemo e fa passare in secondo piano il lavoro compiuto dal primo presidente-allenatore della storia del calcio italiano. "Perché non ho preso la Lazio dopo la sconfitta col Vicenza e l'eliminazione col Tenerife? Perché non volevo, non mi andava di tornare in pista e, soprattutto, non mi andava di dare spazio a certa demagogia che sapevo si sarebbe prima o poi scatenata".

L'avesse presa allora, con un mese buono d'anticipo, magari la Lazio starebbe oggi ancora più su. Magari anche al posto del Parma. "Nessun segreto. La nostra forza, semmai, è stata quella di restituire fiducia al gruppo. Tutto qui. Non si trattava di un problema tattico, di moduli da stravolgere, quattro-quattro-due, quattro-tre-tre eccetera. E' bastato un po' di buon senso, un diverso modo di intendere e di vedere il calcio". Cartolina dedicata a Zeman. Il resto è Juve. E' il mistero Boksic, che doveva giocare ed invece è finito in tribuna. Ufficialmente i bianconeri hanno parlato di attacco influenzale, ma molte altre voci raccontano di una lunga visita del croato all'albergo della Lazio sabato sera, per salutare i vecchi compagni, visita che avrebbe irrigidito i vertici tecnici senza possibilità d'appello. Il resto è il sogno dell'avvocato Gianni Agnelli. "Vorrei vincere - ha detto ieri - altri cinque scudetti consecutivi. In modo da battere il record stabilito nel famoso e ormai lontanissimo quinquennio".


Tratte dalla Gazzetta dello Sport, alcune dichiarazioni post-gara:

Come un film a lieto fine: i tifosi juventini che inneggiano al Mito, i giocatori che rimontano per regalargli l'ultima gioia. "Bravi ragazzi - dice Dino Zoff - hanno concluso alla grande: 32 punti in 16 partite sono una media straordinaria". Tempo di vacanza ed ecco le cartoline per Zeman: "Ringrazio il nostro preparatore atletico Ferola, se la squadra è stata in ottima condizione sino all'ultimo il merito è suo. Quando sono arrivato avevo detto di voler sovvertire i numeri in attacco: eravamo i terz'ultimi, abbiamo concluso secondi in assoluto. E non è stato decisivo il 4-4-2, più importante il modo di intendere il calcio, il buon senso, far ritrovare la fiducia a giocatori che l'avevano smarrita. E non è vero che con Zeman c'erano problemi già all'inizio della stagione, lui godeva della massima fiducia, non c'era premeditazione". Lecito chiedersi perché Zoff non subentrò dopo la doppia sconfitta di Tenerife e col Vicenza all'Olimpico, in autunno. "Non volevo. In gennaio ho accettato a malincuore. Non volevo mettere in moto la tanta demagogia che c'è nell'ambiente romano. E mi dispiace che in anni di lavoro serio non si è capito cosa io volessi. Ma tutto sommato quanto è successo fa parte della gabbia di matti in cui ci troviamo. Comunque Eriksson potrà cominciare a lavorare tranquillo: qui c'è tutto per far bene". E nell'eventualità, ci sarà sempre Zoff pronto..."Ragazzi, non scherziamo!".