Il clamoroso passaggio di Cordova alla Lazio
Alla fine della stagione 1975/76, dopo nove anni di militanza giallorossa, il presidente della Roma Gaetano Anzalone aveva deciso di cedere il discontinuo capitano giallorosso Franco Cordova al Verona. Per il trentaduenne "Ciccio", approdato in Nazionale grazie a Fulvio Bernardini proprio quando ormai non ci sperava più, la cessione rappresentava un fulmine a ciel sereno. Appena ventunenne, individuato non a torto quale papabile erede, in nerazzurro, del fantasista mancino Corso, veniva aggregato, con motivate e fiduciose attese, nella rosa dell'Inter allenata dal "mago" Helenio Herrera. Approdato via Brescia nella Capitale, sponda giallorossa, trovò subito a Roma la propria dimora ideale, felice e duratura, saldata dal matrimonio con Simona Marchini, figlia dell'allora presidente giallorosso. Sotto la presidenza del successore di questi, Anzalone, la situazione precipitò dopo una serie di alquanto anonime stagioni, tanto da rendere in effetti improponibile la sua riconferma nel sodalizio giallorosso. Il presidente intendeva rifondare, su un folto, motivato e più economico nucleo di impronta giovanile, una squadra di senatori reduce da una stagione piuttosto deludente; in tale ottica rientrava la cessione del polemico capitano.
Tuttavia il giocatore, rapito ormai dal fascino della città eterna, non sembrava disposto a traslocare. Avvenne così che lui, romanista fin nel profondo, sentitosi tradito e scaricato brutalmente dall'amata squadra, avviò solerti e sacrileghi contatti con la Lazio, a sua volta proprio alla ricerca, per ordine di mister Vinicio, di un valido regista in grado di colmare il vuoto immenso originato dall'avventata cessione di Frustalupi avvenuta un anno prima. Cordova si avvalse allo scopo dei benefici previsti dall'articolo 31 delle norme federali, rifiutando espressamente il trasferimento veronese riscattando di persona la lista presso gli uffici della Lega di Milano. La cronaca del trasferimento, in quei giorni, riempì, per la gioia dei cronisti, intere pagine di quoditiani. Una volta libero si accordò con il presidente Lenzini e il 10 agosto raggiunse il ritiro dei biancazzurri, non risparmiandosi, immerso da subito nella kafkiana situazione, violente e velenose bordate su Anzalone. Non tutti i nuovi compagni lo accolsero a braccia aperte. Tra i più critici ci fu Re Cecconi che criticò apertamente il suo passaggio in biancazzurro, mentre fu ben accolto dalla maggior parte dei tifosi laziali. Ciccio giocò, da professionista serio ed esemplare, un triennio pieno, assiduo e dignitoso.
Riusciva spesso, da consumato e incallito pokerista, a mascherare all'esterno reconditi pensieri e sentimenti di certo laceranti. Ma il giorno del suo primo derby da laziale, il finto cinico smarrì senno, ragione e bussola vagando spaesato per la durata intera dell'incontro e mai avvistando palla, come un fantasma impalpabile e inquietante, sul prato, solo per lui rovente, dell'Olimpico.
Fonte: Corriere dello Sport
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