Salatin Duilio

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Duilio Salatin

Centrocampista, nato a San Paolo (Brasile) il 6 agosto (4 agosto a detta della nipote Cleo) 1908 e deceduto il 15 luglio 1972. Noto in Brasile come "Duilio".

Cresciuto nel Portuguesa, viene acquistato nel dicembre 1932 dalla Palestra Italia di San Paolo. La Federazione Italiana non concede l'autorizzazione al tesseramento del giocatore che pertanto deve accontentarsi di giocare solo gli incontri non ufficiali. Tesserato per quella seguente non trova molto spazio, se non con la squadra riserve, collezionando solo 12 presenze e 1 goal in Campionato. La stagione successiva torna in Brasile dove, nel 1936, gioca con l'Ordem e Progresso.


Una intervista con la nipote del centrocampista brasiliano, Cleo Martins. Ricordi del nonno: il giocatore Duilio Salatin. Salatin ha giocato neglia anni '30 nella Brasilazio dopo il Palmeiras. Siamo riusciti ad incontrare la nipote del giocatore, signora Cleo. Che ci ha dato una meravigliosa intervista.

Il nonno Duilio era il secondogenito di un famiglia italiana originaria del Veneto, trasferitasi a Sâo Paulo. Figlio di Giovanni e Lucia Favret e fratello di Giuseppe (Beppino), Fulvia, Clementina (Tinica), Luigi (Gino), Tosca, Lola ed Onofre. Tutti discendenti del Marchese Andrea, il cui castello in rovina si trova ancora oggi all'indirizzo di via dei Salatin 2 a Villa di Villa, frazione di Cordignano, vicino a Conegliano (provincia di Treviso). Zona di vini eccellenti Prosecco, Marzemino, Merlot Veneto ecc) tutti ancora prodotti dalla famiglia di mio nonno (vedi www.salatinvini.com/). Suo padre Giovanni, capomastro, emigrato in Brasile alla fine del XIX secolo con il fratello Giuseppe, ingegnere, nacque nella villa di famiglia, costruita nel XVI secolo. Non era il primogenito e l'Italia, soprattutto nella loro regione, soffriva una grave crisi; la fame era ovunque; i figli più giovani dovevano cercare fortuna altrove. I resti mortali dei due si trovano nel pantheon familiare, nel Cimitero dos Araçás di Sâo Paulo, il Camposanto dei vecchi italiani. Dai ritratti della cappella, Giuseppe sembra molto bello; Onofre somigliava molto a questo zio che conosco solo in foto, tanto tempo fa. Non mi sono mai stancata di ammirare quello zio molto bello, nella maturità dei suoi 50 anni. Duilio era un ragazzone alto, occhi azzurri, atletico; somigliava moltissimo all'attore nordamericano, John Wayne; gli piacevano i film di cow-boys… È cresciuto nel quartiere di Canindé, abitato soprattutto da emigrati italiani del sud. La maggior parte dei veneti andava nella Serra Gaúcha (Rio Grande do Sul, terra di produzione dei vini brasiliani-ndt) dopo il 1870, quando erano arrivati già lì gli immigrati tedeschi. Sopravvisse alla “spagnola” del 1919; diceva che era grazie alle banane; appena si era sentito male, ne aveva comperato un casco enorme e se l'era mangiato intero, davanti alla porta di casa! Nonno parlava bene napoletano e barese, dialetti del sud, appunto; parlava anche un po' di siciliano. Il tutto oltre ad italiano e portoghese ed il dialetto veneto. In allegria e tristezza diceva tutto nella lingua di Dante, parlava in italiano con i suoi uccellini, cantava - stonato - le canzoni imparate con Giovanni ma era diventato taciturno dopo la scomparsa della madre Lucia, non sopravvissuta al parto di Onofre; per questo il figlio minore fu allevata dalla cugina, Irene Favret. Cosa che lo amareggiava… Mio nonno Duilio andava pazzo per il risotto, la polenta, il minestrone; gli piacevano i formaggi, soprattutto il pecorino; poi il salame, i vini, le melanzane e la peperonata. Il pane italiano. Adorava giocare alle bocce ed al truco (gioco di carte veneto). Amava il verde, i cappelli; ha sempre guidato l'auto e mi portava spesso all'asilo nido. Era il direttore dell'azienda “Secos e Molhados Irmâos Eid (asciutti e bagnati – fratelli Eid)", libanesi molto simpatici e buona gente. Era una persona tranquilla, non negava l'origine germanica (era nato sotto il dominio austriaco - ndt), era forte e rompeva un cocco con il pugno, apriva noci con le mani, vestiva con eleganza, amava i profumi, le feste. Adorava le festività del Natale, con abbondanza di frutti. Si sposò con la brasilianissima Jandira Ferreira de Castro, figlia del colonnello Joâo Ferreira de Castro, che possedeva i poderi agricoli Bandeiras, Palmeiras e Santana fra le città di Lorena e Canas, nella Valle di Paraíba. Il bisnonno aveva fatto cattivi affari, divenne povero e si trasferì a Sâo Paulo dove comprò un magazzino; lì Jandira e Duilio si conobbero e sposarono; all'epoca era giocatore della Portuguesa de Desportos. Jandira raccontava una storia sorprendente: quando aveva quindici anni, a Lorena, insieme ad una amica incontrarono una zingara che gli predisse il cambiamento di residenza con tutta la famiglia in breve tempo. Si sarebbe sposata con un “ragazzo straniero che avrebbe guadagnato molti soldi con i piedi” ed avrebbe avuto vari parti, aborti ma una unica figlia. La ragazzina rise, le sembrava ridicolo; lasciare Lorena? Assurdo, la famiglia era legata a quella terra e come sarebbe stato possibile sposare uno “straniero”? Passato poco tempo il padre si ammalò gravemente, rimanendo a letto per un anno; si trasferì a Sâo Paulo. La lorenense con gli occhi verdi ed un metro e mezzo di statura conobbe il bello ed alto calciatore, che prometteva bene. Si sposarono e si imbarcarono verso Roma, con la motonave Giulio Cesare. Era Natale. Lì ebbero la loro unica figlia, Cleofe, nata il 15 febbraio 1934. Doppia registrazione di nascita, anche all'ambasciata brasiliana. La madrina fu Ernestina, moglie del giocatore della Brasilazio Ratto; il battesimo si tenne nella Basilica di S.Pietro, visto che abitavano al Gianicolo. Cleofe, bionda con occhi verdi, era la gioia di nonno Giovanni, l'unica che era tornata alle origini della famiglia, che iniziò a balbettare nell'italiano della sua gente. Nonno Duilio diceva con orgoglio “ho dato questa allegria al babbo”. Io, Cleofe de Oliveira Martins – Cleo Martins- ho ereditato il nome della mamma, gli occhi azzurri del nonno e l'amore per i Salatin e l'Italia. Questo ereditato anche dal fratello Luís Duilio, molto amico dei parenti dall'altra parte dell'Atlantico. Sono la più vecchia dei tre figli di Cleofe e Itaboraí; mia sorella Patricia Valéria vive a Sorocaba, con la famiglia. Avevo 16 anni quando morì il nonno; Duilio 10, Patricia 12. Se ne andò il sabato 15 luglio 1972 mentre lavorava, terminando una telefonata; infarto del miocardio, fulminante. Stava parlando del pranzo con la nonna, povera vedova. La vecchia governante, Brasilina, si prese cura di tutto; c'era una grande confusione. Noi eravamo a Mendoza, Argentina, dove papà lavorava come giornalista de “O Estado de Sâo Paulo”; poi a Buenos Aires, in casa di un amico, Alberto Drajner che chiamava mio nonno “Don Duilio”. Non c'era internet, cellulari o zapzap (ndr Whatsapp), altri tempi; abbiamo saputo dopo del funerale; arrivammo per la messa di requiem, la nonna in lacrime ma diritta e forte. Nonno avrebbe compiuto 64 anni il 4 agosto prossimo. Il funerale radunò gente, sconosciuti che piangevano; il vecchio aveva aiutato molta gente; unì coppie povere, dette lavoro, aiutò a scacciare la fame. Con mio nonno imparai qualche rudimento dell´italiano, poi nella “Casa di Dante” (poi Società Dante Alighieri - ndt) a Sâo Paulo ed anche con viaggi e letture. Imparai il rispetto per la Lazio di Roma, la città dov'era nata mia madre. Ed anche il rispetto per gli Azzurri. Il nonno era orgoglioso di essere brasiliano, nessuna crisi di identità; studiò in una scuola italiana - “con la maestra che era una peste” - e nel Collegio Sacro Cuore di Gesù; non era religioso, ma si un uomo di fede. Persona di Dio. Usava il termine “pezzo di valigia” o “pezzo di baule” ed anche “pezzo d´asino”, ma raramente diceva parolacce. Mi ricordo di quando andò a “dare oro per il Brasile”, la fede nuziale; vide la tv solo in bianco e nero. Ogni volta che il Brasile giocava contro l'Italia - nel Mondiale del '70, per esempio - il nonno si chiudeva nella sua stanza, per vederla in silenzio. Una volta a Milano ho incontrato Liliana Salatin, più o meno la stessa età di mia madre, e figlia di Antonio, il patriarca già scomparso; mi confidò che il suo bisnonno, ogni volta che parlava del mio, piangeva; ci mettemmo a piangere insieme… Il nonno adorava il Lambrusco dell'Umbria (ricordo sbiadito, visto che è dell'Emilia-Romagna - ndt); la prima volta che sono andata in Italia ne chiesi una bottiglia, nel ristorante della stazione del treno, in Toscana, in omaggio al vecchio giocatore della Lazio. Il tappo fece “puff”. Ero da sola e, come per incanto, come se stessi condividendolo, asciugai le lacrime - che anche ora stanno per spuntare - e mi sembrò di sentire la risata del vecchio antenato italiano che diceva “è Lambrusco !”, come faceva all'apertura di qualsiasi spumante… Quella mattina del 1993 - giorno in cui nacque Vinicius, bisnipote del vecchio giocatore - il cielo della Toscana aveva lo stesso colore degli occhi di Duilio, che non sopportò più la nostalgia per la sorellina Lola di un anno e mezzo, quando era partito per l'Italia, e del vecchio padre. E volle tornare. Contrariando mia nonna, che voleva rimanere a Roma. Ho ascoltato questo innumerevoli volte; nonna Jandira aveva imparato bene l'italiano e ne era orgogliosa; diceva di essersi “acculturata”. Al nonno piaceva la canzone “torna piccina mia”, che canticchiava a mia madre, che ricordava con gran dolore la morte di suo padre, ogni volta che l´ascoltava. Cleofe Salatin (de Oliveira Martins) morì l'1 di luglio 2015; all'improvviso, proprio come suo padre, andò in cielo. Tato, Duilio, storpiò “torna piccina mia”, imitando Beniamino Gigli. La zia Lola sarebbe morta dopo poche ore. Incredibile! Le due piccine di Duilio… Nonna era morta nel 2004 e tutti riposano, oggi, nella tomba dei Favret, nel Cimitero di Araçá, con la mia bisnonna Lucia. Dev'esserci stata una festa qualche tempo fa, un motivo di celebrazione, con tutto il gruppo della Brasilazio e sorsi di Lambrusco da far scoppiar la lingua! Amici! Tanti auguri a tutti!




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