Matteucci Sergio

Da LazioWiki.

Sergio Matteucci
Sergio Matteucci nel 2017
Impegnato nel circuito di Decima
Sergio Matteucci con i libri di LazioWiki
Foto di gruppo
Sergio Matteucci
Una vittoria di Matteucci

Ciclista. Nato a Roma il 21 giugno 1929, ivi deceduto il 24 luglio 2020. Cresciuto al Prenestino, dal 1947 al 1954 è tesserato con la S.S. Lazio Ciclismo. Nella prima stagione da allievo vince ben 20 gare, tra le quali la Coppa Forlivesi e il G.P. Trionfale; conquista il titolo di Campione Laziale di categoria. Nel 1948 diviene dilettante e nell'esperienza tra i "puri" ottiene 100 piazzamenti nei primi 5 classificati, vincendo oltre 50 gare. Corridore brillante, spericolato in discesa, annovera tra i suoi successi: G.P. Giovannini di Orte Scalo (1948), Coppa Casalbore di Salerno (1949), Coppa Faustini, la Roma Civitavecchia, Coppa Marconi (1951), G.P. Campagnano (1952), Gran Premio Unità, Circuito notturno di Avezzano, la Roma-Barrea, G.P. Grottaferrata (1954). Nel 1955 passa nei quadri dell'A.S. Roma e quando, in settembre, termina l'attività agonistica per motivi di lavoro, è in testa alla classifica Regionale laziale.

Aprile 2017 - In una fresca giornata di primavera abbiamo incontrato il Sig. Sergio Matteucci nella sua casa di Casalbertone dove ci ha narrato la sua vita di ciclista a cavallo degli anni '40 e '50. Allora si correva nel fango e sulle strade sterrate. Era dura, ma portare la maglia della S.S.Lazio ciclismo era un onore immenso. Avevamo la sede in via Frattina e i soci era quasi tutti i negozianti della zona.

Il presidente era il Commendatore Francesco Orlandi il quale, ogni gara che vincevo, mi portava dai negozianti che mi donavano fino a £. 10.000 cadauno. Una grossa cifra per l’epoca. Io mi vergognavo, ma era impossibile evitare il giro dei soci con in presidente. Ero amico di molti atleti e dirigenti. Un giorno mi chiamò il presidente Zenobi per portare 18 milioni di lire in banca per saldare l’acquisto del famoso calciatore della Lazio Dionisio Arce. Misi tutto quel denaro nelle tasche della casacca di gara e li consegnai in banca con tantissima ansia

Erano anni in cui per recarsi alle gare si chiedeva un passaggio ai camionisti e se la sera non si riusciva a trovarne uno si dormiva dove capitava. Nel 1949 a Salerno, vinsi il Memorial Casalbore, il giornalista perito nella tragedia di Superga. Il premio consisteva in un soggiorno in un albergo di lusso a Salerno per 10 giorni. Fu un sogno, avevo anche il telefono in stanza A Montesano, nel salernitano, poco tempo dopo i tifosi ci accolsero così bene che ci chiesero cosa gradivamo. Noi, usciti dalla fame della guerra, gli chiedemmo un pollo e loro si presentarono con una cesta con 30 polli che non sapevamo dove mettere, ma furono simpaticissimi

Molti miei amici e colleghi furono rovinati dalla guerra, come Augusto Gregori, che dopo 5 anni di campagna d’Africa non riuscì a ritornare ai fasti anteguerra, o la giovane promessa Franco Giovagnoli, ucciso da un bombardamento a Viterbo. Ricordo anche l’Avvocato Cesare Fumaroli, presidente della Sezione ciclismo, ucciso alla vigilia di Pasqua del 1944 durante un mitragliamento aereo. Ebbi la fortuna di conoscere il grande Fausto Coppi. Quando era nella Lazio abitava al Pigneto, in casa del costruttore di biciclette Nulli. Un giorno ci regalò una muta da ciclismo che divisi con il mio compagno di squadra Brandesi. Lui prese la maglia ed io i pantaloncini che conservai come una reliquia. Ma un giorno mia madre li donò alla cognata per indossarli in quanto aveva un problema inguinale e li ritrovai solo dopo 20 anni tarlati ed ingialliti dal tempo.

La mia carriera la devo al professor Ugo Bani, che mi curò la tiroide e riuscì a farmi riottenere l’idoneità agonistica che mi avevano rifiutato proprio a causa della malattia. Bani mi disse che sarei tornato a vincere e fu di parola.

La Lazio mi passava 30.000 lire al mese per correre, anche durante i 19 mesi di militare. Gli sono e gli sarò sempre affezionato. Purtroppo mi hanno dimenticato, il tempo passa per tutti, ma mi piacerebbe molto che in un prossimo raduno della Lazio ciclismo mi chiamassero


Si ringrazia il Sig. Sergio Matteucci per i dati biografici e per le fotografie gentilmente messe a disposizione per LazioWiki.


Alla scomparsa di Sergio, i figli Carlo e Giorgio, con grande sensibilità, ci hanno voluto donare un racconto da loro scritto che rievoca dettagliatamente l'episodio relativo ai calzoncini da gara che Fausto Coppi regalò al loro padre. Lo pubblichiamo volentieri.



I MUTANDONI DI COPPI
di Carlo e Giorgio Matteucci

Era la primavera del millenovecentoquarantotto. Uno di quegli anni del dopoguerra pieni di voglia di fare, di maniche arrotolate per ricominciare, cose da ricostruire e di animi da risollevare, dopo tanti dolori e sofferenze. Un tempo di strade impolverate, non asfaltate e faticose da percorrere.

E su quei sentieri bianchi, piene di sassi (in romano chiamati “breccole”) tante biciclette correvano veloci, perché il ciclismo era uno degli sport più popolari, anzi se la batteva con il calcio, cosa ai giorni d’oggi impensabile. Ma torniamo alla nostra storia: pensate a due giovani ciclisti ventenni dilettanti, Sergio M. (mio papà) e Pietro B. che sognano di diventare professionisti, di vincere Giri d’Italia, Tour de France, indossare la maglia di Campione del Mondo e che per questo si allenano duramente, per cercare di realizzare le loro fantasie.

Poi immaginate Lui, il campionissimo che quei sogni li già stava realizzando, vincendo sulle strade di tutta Europa: Fausto Coppi.

E’ in quella primavera che il percorso dei nostri due giovani eroi s’incrocia con quello di Coppi, perché il destino volle che il Campione si trovasse ad allenarsi per un periodo a Roma. Però c’era bisogno di qualcuno che lo potesse affiancare durante le sedute d’allenamento, che conoscesse i percorsi migliori da affrontare, che gli facesse pesare meno i lunghi chilometri su quelle strade bianche di un’Italia che pian piano, ricominciava anch’essa ad allenarsi per ritrovare se stessa.

E quando ai nostri giovani corridori il loro Direttore Sportivo comunicò che, visto il loro rendimento e il valore dimostrato fino allora, erano stati scelti per allenarsi insieme al loro idolo, fu come vincere una tappa del Giro o la Milano-Sanremo. Era il massimo per dei ragazzi d’allora. Come se, ora, dei giovani calciatori si potessero allenare per qualche tempo, con Messi o Ronaldo. Furono giorni indimenticabili. Chilometri su chilometri fianco a fianco o a ruota di Coppi, cercando di rubarne i segreti, la tecnica o magari solo scambiare impressioni sul percorso da affrontare. Giorni che, purtroppo, volarono veloci, come lo era Coppi.

Dopo l’ultimo allenamento fatto arrivando fino a Subiaco, vicino a Roma, quando ritornarono all’albergo dove alloggiava il Campione, questi come gesto di ringraziamento, regalò ai due giovani la propria divisa ufficiale da corsa: maglietta e pantaloncini da ciclista, nuovi di zecca.

A quel punto, come dividersi l’ambito regalo? Il sorteggio decise che la maglia andasse a uno e l’altro avesse i pantaloncini. Sergio tornò felice a casa e subito ripose il prezioso regalo nel suo cassetto, maneggiandolo come fosse una reliquia. Ogni tanto se li andava a riguardare quei pantaloncini: gli parevano bellissimi, morbidi, imbottiti e fatti di quella lana di qualità, calda e confortevole. Passato qualche tempo di ritorno da un periodo di corse in Italia, andò alla ricerca di quelle preziose mutandine da corsa, senza però ritrovarle. Allora chiese alla mamma (mia nonna) dove potessero stare e lei, candidamente, rispose: -Ah quei bei mutandoni di lana soffice, tutti imbottiti? Quelli nuovi nuovi? Li ho regalati a tua zia Ines, che d’inverno soffre sempre il freddo. Sai con tutti i dolori che ha, aveva bisogno di qualcosa che le tenesse caldo. Le stavano perfetti, li ha dovuto tagliare solo un po’ sull’orlo!-.

Per fortuna, Fausto Coppi non seppe mai di aver aiutato un’anziana signora a farle trascorrere un inverno al caldo, uno di quei freddi inverni dell’Italia nel dopoguerra.