Il ritorno di Juan Carlos Lorenzo: differenze tra le versioni

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Dopo [[Domenica 23 settembre 1984 - Udine, stadio Friuli - Udinese-Lazio 5-0|la pesante sconfitta]] patita contro l'[[Udinese]] nella seconda giornata di [[campionato]], il presidente [[Chinaglia Giorgio|Giorgio Chinaglia]] esonera il tecnico biancoceleste [[Carosi Paolo|Paolo Carosi]] e richiama in panchina il vecchio maestro [[Lorenzo Juan Carlos|Juan Carlos Lorenzo]]. Tratta da alcuni articoli di stampa ripercorriamo la cronaca di quei giorni.
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Versione delle 19:07, 20 gen 2013

Juan Carlos Lorenzo
Un titolo di giornale
Una foto di Lorenzo

Stagione

Dopo la pesante sconfitta patita contro l'Udinese nella seconda giornata di campionato, il presidente Giorgio Chinaglia esonera il tecnico biancoceleste Paolo Carosi e richiama in panchina il vecchio maestro Juan Carlos Lorenzo. Tratta da alcuni articoli di stampa, ripercorriamo la cronaca di quei giorni.


Da La Repubblica del 25 settembre 1984:

Dieci mesi alla Lazio: una squadra salvata dalla serie B, ma anche una Coppa Italia fallita ed un campionato iniziato male. Troppo poco per Giorgio Chinaglia, che ha così licenziato Paolo Carosi, bravo allenatore dal destino da uomo-kleenex: "usa e poi getta". Dal passato remoto della Lazio emerge Juan Carlos Lorenzo, quindici anni lontano dall'Italia, tra Argentina, Colombia e Spagna; una gran testardaggine nel pagare puntualmente contributi e quote associative alla Federcalcio, aspettando il momento buono per il grande rientro. Una decisione meditata per 48 ore, a casa di Chinaglia. Un lungo summit insieme a Pulici, Governato, Della Martira e il vice presidente Chimenti. Molte telefonate: a Di Marzio, Ulivieri, Pace.

Ma si è perso parecchio tempo per cercare Lorenzo, rintracciato a Miami in Florida: una vacanza dopo un campionato in Colombia. Chinaglia ora dice che non hanno nemmeno parlato di soldi. "Ha accettato subito - ha detto il presidente - non aspettava altro". Un anno di contratto e 100 milioni "per l'uomo giusto in grado di risollevare la squadra, di farle sentire qualcosa". Le stesse scene e gli stessi episodi di un anno fa, quando il 12 dicembre Paolo Carosi prese il posto di Giancarlo Morrone, il "gaucho triste" cui la società ha trovato un posto nella Primavera. L'allenamento è stato spostato al mattino, per dribblare i tifosi. Poi a mezzogiorno è arrivata la Mercedes grigia di Chinaglia, preceduta da una staffetta della polizia. Poco prima Pulici e Governato avevano telefonato a Carosi per dargli l'annuncio ufficiale dell'esonero. All'allenatore licenziato rimane un contratto biennale ormai inutilizzabile: 300 milioni comunque assicurati.

Una conferenza stampa affollatissima negli spogliatoi della squadra. Il presidente ha parlato a bassa voce. "Sarò brevissimo, abbiamo cambiato allenatore. Sì cambiato, la parola esonerare non mi piace. Questo senza togliere nulla a Carosi che ha fatto un lavoro eccezionale, ma il calcio è impietoso... Abbiamo preso Lorenzo, gli abbiamo telefonato a Miami. E' euforico, entusiasta, dovrebbe essere l'uomo che fa per noi. Anzi, ne sono sicuro". Un anno fa Chinaglia era molto più triste e angosciato: non esitò ad accusare la squadra del licenziamento di Morrone. Ma tra il Presidente e Carosi, non c'è mai stato grande amore. Già a giugno avrebbe voluto cambiare il tecnico, però i tifosi, tutti dalla parte del tecnico, non glielo permisero. Per l'ingaggio di Lorenzo ha voluto decidere praticamente da solo. "Andate in sede - ha detto l'altra sera ad un certo punto, ai suoi collaboratori - ho da fare, devo fare alcune telefonate".

E' stato lui a imporre il ritorno del vecchio allenatore argentino. Un cerchio che si chiude. Fu proprio Lorenzo infatti a volere Chinaglia alla Lazio nel 1969. Un rapporto di lavoro continuato per molti anni: fino a pochi mesi fa Lorenzo faceva l'agente in Sud America per il Cosmos. "In questi due giorni - ha detto Chinaglia - abbiamo studiato tutte le soluzioni. Sì, abbiamo pensato anche di contattare Menotti. Ma poi... Abbiamo fatto molti errori, anche se non credo che la squadra abbia voluto far fuori Carosi. Purtroppo siamo tutti condizionati dai risultati. Quello zero in classifica e quei sei gol incassati mi bruciano, mi bruciano molto". Poi una frecciata, forse involontaria, verso Carosi. Perchè cambiare il tecnico già alla seconda giornata? "La situazione non si poteva riprendere, visto anche l'umore dei giocatori". Carosi non l'ha presa molto bene. "Da quella squadra ho tirato fuori il 110 per cento, salvandola dalla serie B. Chinaglia si era convinto che ormai non avessi più in mano la situazione: mi dispiace ma si sbaglia. E poi dalla gente mi aspettavo un po' più di affetto". Ma per lui non c'è più posto: Juan Carlos Lorenzo arriva questa mattina dall'Argentina.


Da La Repubblica del 26 settembre 1984:

E' uno di quegli allenatori vecchio stampo che fa leva sulle alchimie e la grinta. Passionale e sanguigno, astruso e poco incline alla diplomazia. Un condottiero, come andava di moda prima che l'ondata dei tecnici "intellettuali" alla Liedholm, alla Marchesi, alla Trapattoni rifacesse il look alla categoria. Confesso di preferire lo stile-Lorenzo, forse perchè al fianco di "don Juan", come rispettosamente veniva chiamato, iniziai sbarbatello la mia avventura giornalistica. Io giovane ed entusiasta cronista del "Corriere dello Sport", lui maestro di calcio sulla cresta dell'onda. Fu un incontro felice, simpatizzammo, stringemmo un sodalizio che si perpetuò persino nella sua emigrazione spagnola e nel ritorno alla casa madre argentina. Approdò a Roma all'inizio degli anni Sessanta per restituire linfa ad una Lazio scalcinata come quella di oggi, la Lazio (guarda, guarda...) dei Governato, dei Morrone e dei Carosi che riconsegnò alla Serie A regalandole subito un lusinghiero ottavo posto. Vi tornò qualche anno più tardi dopo la clamorosa parentesi romanista salvandola dalla discesa in serie C e riportandola di nuovo in A.

E' curioso: fu Lorenzo, allora, a scoprire un certo Chinaglia ed oggi è Chinaglia a riscoprire Lorenzo. Un debito di gratitudine? Conoscendo Chinaglia, sono più propenso a credere che si tratti di una oculata scelta tecnica. Nonostante il brusco addio (licenziato dopo una retrocessione laziale per far posto a Maestrelli), di Lorenzo a Roma e nell'Italia del pallone non s'è mai perso il ricordo. Un "personaggio" che può essere gustato sino in fondo, nel bene e nel male, come un pirata di Salgari o un investigatore di Chandler. Celebri rimasero i suoi duelli dialettici con Helenio Herrera, un piccante derby verbale fra le due sponde del Tevere. Celebre la sua sfrenata superstizione. Una volta fece bruciare negli spogliatoi le maglie con cui la squadra aveva perduto un confronto con la Roma. E con le magliette estive con cui aveva vinto in primavera fece vestire i giocatori in una rigida domenica di gennaio a San Siro. Aveva poi un numero scaramantico: l'8. Viaggiava nello scompartimento numero otto, negli alberghi dormiva soltanto nelle stanze 8, 18 o 28. Una sera fece buttare giù dal letto un ospite che già dormiva. Si scusò così: "Domani abbiamo una partita importante, se non ho questa stanza perdiamo".

Sospettoso come un agente del Kgb. Se gli segnalavano la presenza di un osservatore di un'altra squadra, era capace di sbarrare le porte del campo d'allenamento o di schierare il centravanti nel ruolo di terzino e il libero all'ala. Prese persino per il bavero un tale che egli credeva una "spia" del Brescia, rivelatosi invece un innocuo spettatore. Con i giocatori, usa - come suol dirsi - la frusta e la carota. E negli allenamenti, qualche curioso artificio. Al terzino Zanetti faceva inseguire le galline per migliorare nello scatto. Chi segue i suoi insegnamenti diventa suo figlio, chi sgarra può anche fare le valige. Ricordo la pazienza e l'affetto verso Dolso, un fuoriclasse con poco sale in zucca che lo faceva dannare (in pullman verso Grosseto, Dolso scese con gli altri davanti ad un bar di campagna lungo la via Aurelia ed esclamò: "Pensavo che Grosseto fosse più grande"). Ricordo con quanta applicazione si impegnò a sgrezzare Chinaglia che inciampava sul pallone. Ricordo gli esilaranti duetti con Umberto Lenzini, presidente-papà della Lazio di allora. Come sarà Lorenzo, oggi, a 62 anni? Se non ha perso il pelo (non credo), potrà rimettere ordine nella squadra più anarcoide e viziata della Serie A. Per il campionato, sarà un sollazzo in più. Un giocoliere in panchina dopo tanti funamboli in campo.



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