Pagina di prova Maxlazio
Il Messaggero titola: "Lazio campione d'Italia. Decisivo successo sul Foggia con un rigore di Chinaglia e molto nervosismo. I pugliesi hanno praticato un gioco durissimo: Martini ha riportato l'infrazione di una clavicola e Garlaschelli si è fatto espellere per reagire a un fallo".
Prosegue il quotidiano romano: Come era giusto, anche l'ultimo passo per impossessarsi finalmente dello scudetto la Lazio l'ha compiuto con un gol di Chinaglia: ossia con la concentrazione, i nervi a posto, lo slancio, il tiro preciso del suo atleta più rappresentativo. La Lazio è divenuta campione d'Italia per la prima volta nella sua storia iniziatasi nel lontanissimo 1900 per l'iniziativa di quegli erranti cavalieri che sui prati di periferia di molte città furono i pionieri dello sport - la Lazio è divenuta campione d'Italia, si diceva, alle 17.15 di ieri pomeriggio, e più precisamente, al 15' del secondo tempo, allorché il pallone calciato da Chinaglia, dal dischetto del calcio di rigore, terminava in rete, rasoterra, alla destra di Trentini. Il calcio di rigore, che ha costretto il Foggia alla sconfitta e permesso ai biancazzurri di liberarsi definitivamente dell'immagine inseguitrice della Juve, è stato decretato dall'arbitro Panzino per un fallo di mano di Scorsa che, quasi sulla linea di fondo, affrontando Garlaschelli che stava eseguendo dalla destra il traversone, ha di scatto levato le braccia e deviato così il pallone. Può darsi che, da parte del difensore foggiano, sia stato un gesto istintivo: per evitare, però, che la sfera pervenisse a Chinaglia o altri appostati davanti a Trentini. Sicuramente, non è stato - vogliamo dire il gesto istintivo di chi, per esempio, cerchi di ripararsi il viso da una pallonata. Era pertanto, nel senso della volontarietà, o della intenzionalità di gioco, un fallo da rigore.
Nel momento in cui lo scudetto della Lazio giunge a interrompere - come furono già capaci nel dopoguerra la Fiorentina, il Bologna e il Cagliari - l'egemonia degli squadroni milanesi e torinesi e il ciclo ultimo della Juve che deteneva il titolo da due stagioni; nel momento in cui gli sportivi della nostra città possono esultare per un'impresa che una volta soltanto, trentadue anni fa era riuscita alla Roma AS, si dev'essere chiari nella valutazione del calcio di rigore che ha consentito ai biancazzurri di piegare la resistenza d'un Foggia battagliero bene organizzato, che di fronte ai nuovi campioni d'Italia si è battuto per la salvezza senza complessi d'inferiorità, né un gesto di debolezza. Il rigore c'era. Panzino sempre severo, che non esitava due minuti dopo il gol a espellere Garlaschelli, reo d'aver colpito in viso Cimenti dopo uno scontro di gioco, nulla ha regalato alla Lazio. Il che ancora per la precisione, avveniva al 12' del secondo tempo. Perché allora la protesta anzi la rivolta dei giocatori foggiani che, prima di consentire a Chinaglia di realizzare la massima punizione, hanno per tre minuti circondato il direttore di gara, gridandogli chissà che cosa e pigliandolo pure a spinte e dando proprio l'impressione d'essere sul punto di picchiarlo? A fatica e tenendo levato il cartellino delle ammonizioni, Panzino è uscito fuori dall'immeritato assedio.
Perché tanta baraonda? Specie dai gesti di Pirazzini si capiva la pretesa che l'arbitro si recasse a consultare il guardalinee. Il che, se fosse unicamente da giudicare la volontarietà o meno d'un fallo di mano, non potrebbe che sorprendere. Ma i foggiani, evidentemente devono aver ritenuto o cercavano di sostenere che fosse irregolare la posizione di Garlaschelli. Anche in questo caso avevano torto, perché l'azione è scaturita appena oltre la linea di metà campo da un intervento di testa di Petrelli che ha anticipato lo stesso Pirazzini e messo in moto, sulla destra, Garlaschelli. Sul pallone, però, in fase di recupero, si avventava Pavone che per precipitazione e colpendolo comunque male, l'ha precisamente dirottato sui piedi dell'ala destra biancazzurra. Da escludere, dunque, anche l'idea del fuorigioco. Regolarissimo il rigore e, regolarissima la vittoria della Lazio. Contro le congetture, le possibili malignità dell'ambiente del calcio o dei molti personaggi che, all'ombra degli squadroni settentrionali, sono da anni abituati a vedere e prevedere per tempo - perfino nella Coppa dei Campioni - la designazione di qualsiasi arbitro, questo della Lazio, questo storico scudetto conquistato per la prima volta, è uno scudetto pulito. Applausi e onore ai protagonisti. Ma è stato anche sofferto, questo scudetto, come forse nessuna squadra l'aveva mai sofferto. Tutto difficile, fino all'ultimo. Che cosa sarebbe accaduto, se non vi fosse stato il fallo di mano di Scorsa? Senza il rigore, sarebbero ugualmente riusciti Chinaglia e compagni a porre fini ieri al duello con la Juve?
Nell'interrogativo, l'arduo ostacolo che il Foggia ha costituito e, soprattutto, gli impacci, le trepidazioni, forse anche il logorìo d'una Lazio che funzionava e giocava come sa. Soltanto in una occasione, nel primo tempo (23') allorché D'Amico, incrociatosi con Re Cecconi ed eseguito lo scambio, ha potuto convergere al centro della sinistra ed era lesto a sparare in corsa, la squadra pugliese è parsa superata. A portiere battuto però, provvedeva il palo alla sinistra di Trentini a respingere la fucilata rasoterra di D'Amico. Per il resto - fatta eccezione per alcune punizioni-bomba di Chinaglia, dalle quali specie al 7' Trentini si salvava con molta fatica ed evidente strazio delle mani - la squadra di Maestrelli era protagonista d'un confuso assedio, in spazio sempre più ristretto che agevolava la resistenza foggiana. Che non fosse la Lazio delle occasioni migliori quella che a passo di carica seppe in pochi minuti travolgere e sbarazzarsi di Bologna, Vicenza e Juve, lo si è visto subito. Era il Foggia, all'inizio del gioco a prevenire i biancazzurri, sferrare il suo assalto e minacciare da vicino Pulici con Pavone e Rognoni. Un grosso rischio, anzi, la porta biancazzurra correva all'8', quando alla disperata Re Cecconi è giunto a precedere Valente che a un passo da Pulici s'accingeva a sfruttare il servizio dalla destra di Pavone.
Nelle grandi imprese, proprio quando non resta che l'ultimo passo e tutto sembra facile, inevitabili il turbamento e lo smarrimento. Come non comprendere oltre il dramma degli avversari costretti a tentar di rompere le uova nel paniere ai biancazzurri e al loro ex allenatore Maestrelli nel momento del trionfo, il dramma della stessa Lazio che, protesa da due anni all'inseguimento dello scudetto (e nello scorso campionato se lo vide soffiare proprio nell'ultima giornata), ha all'improvviso paura di perderlo anche quando ce l'ha in tasca? Non si dimentichi che per questo scudetto finalmente giunto finalmente romano, la Lazio era in fuga dalla nona giornata, ossia da cinque mesi. Non poteva che arrivare, sul traguardo, col fiato grosso e il cuore in tumulto. Questa, in primo luogo, la spiegazione del suo gioco di ieri, che non era il gioco che l'ha portata al primo posto del calcio italiano. Poi va tenuto conto della fermezza, delle marcature spietate del Foggia che, istruito con intelligenza da Toneatto, riusciva a soffocare la Lazio, colpendola nella cabina di regia. E' vecchia storia: chi ferma Frustalupi e non lascia respiro a D'Amico, pone più di un bastone tra gli ingranaggi della macchina biancazzurra. Di ciò è stato capace il Foggia. Fabbiani, l'ex interista, era alle costole di Frustalupi; non lo mollava un momento, risultando tale mastino da far spazientire il regista biancazzurro, che non visto dall'arbitro, stizzosamente gli allungava più d'una pedata.
Né, come in altre circostanze, poteva rimediare D'Amico che, sotto la guardia di Cimenti, poteva di rado esibirsi nei guizzi, nei colpi di destrezza e nel movimento che sapete. Non basta. Anche Re Cecconi, Nanni e Martini, rispettivamente sottoposti alla sorveglianza assidua di Valente, Colla (il più spigoloso) e Rognoni, stentavano a respirare. Di qui, a dispetto anche delle iniziative di Wilson, una pressione confusa, senza aperture e scatti in profondità, che permetteva soprattutto a Pirazzini (spesso elegante, negli interventi da libero) di brillare nella propria area, dove attendeva al varco i biancazzurri. In queste circostanze, nell'intero primo tempo, appena due volte veniva servito Chinaglia che invano cercava di scrollarsi di dosso Bruschini. C'è voluto, insomma, il rigore. Ad accentuare i disagi all'inizio della ripresa - poco prima di una punizione a due tempi in area foggiana, ordinata dall'arbitro per ostruzione di Colla ai danni di Nanni, e non sfruttata da Chinaglia - veniva pure l'infortunio di Martini che, investito, rudemente, travolto da Rognoni (ammonito per questo), rovinava pesantemente a terra, riportando una frattura alla clavicola destra. Veniva sostituito da Polentes. La situazione peggiorava per colpa di Garlaschelli che, come s'è premesso, s'è fatto cacciar via da Panzino, poco dopo il gol. Come non temere che, già balbettante e resa nervosa dal contegno spigoloso degli avversari, la Lazio - ridotta in dieci - finisse per cacciarsi in un grosso guaio?
Sono stati, per i biancazzurri, per Lenzini, per i tifosi riuniti per lo scudetto, i minuti interminabili della sofferenza. Tutti in piedi, il fiato sospeso. Toneatto, per giunta, potendo tentare l'assalto in massa, rafforzava l'attacco (21'), mandando in campo Golin e facendo uscire Bruschini. Golin, vedendosela con Polentes, permetteva a Rognoni di rimanere libero, mentre Scorsa, in sostituzione di Bruschini, si dedicava a Chinaglia. A questo punto, numericamente inferiori era tuttavia capace la Lazio di un sforzo che poco o nulla concedeva agli avversari. Una squadra che difendeva con le unghie il titolo di campione d'Italia. Chinaglia era dappertutto: in difesa e all'attacco. Attraversava il campo (28') e saltava ogni ostacolo e per poco non centrava di nuovo il bersaglio: angolato, ma fiacco, il tiro veniva annullato dal tuffo di Trentini. Come Chinaglia, gli altri, Wilson, Petrelli, Oddi, Polentes, tutti leoni a difesa dello scudetto. Il Foggia poteva rendersi pericoloso solamente con Rognoni (30') e Pirazzini (35'). Lo scudetto è giunto così. Ed è stato sofferto come si soffre per tutte le cose che si conquistano con le proprie mani, i propri mezzi, il proprio valore, e per la prima volta: in una vita che è incominciata nel 1900. Ed è proprio uno scudetto bello e pulito. La Lazio che, finalmente può cucirselo sul petto e rimirarselo allo specchio, se lo tenga da conto.