La scomparsa di Felice Pulici

Da LazioWiki.
Felice Pulici
Pulici nel maggio 2015 in udienza dal Papa
(Foto LazioWiki- Salvatore Alù)
Pulici negli anni '70
Durante un allenamento nel 1974
12/05/2014 Nel giorno del 40° anniversario dello scudetto 1974
12/05/2014 Durante la manifestazione "Di Padre in figlio"
1970 nel Novara
1975 con lo scudetto sul petto sulla sua maglia nera
2004 con il Presidente Ugo Longo
1977 nel Monza

Stagione

La biografia di Felice Pulici

Il ricordo di Vincenzo Cerracchio


16 Dicembre 2018

Felice Pulici muore la mattina di Domenica 16 dicembre, dopo una lunga malattia, pochi giorni prima di compiere il suo 73° compleanno e pochi mesi dopo la scomparsa del suo amico e compagno di squadra Mario Facco. La notizia viene battuta dagli organi di informazione intorno alle 15.00 lasciando attoniti i tifosi Laziali e non solo.


Scrive La Gazzetta dello Sport:

Lazio, morto Felice Pulici: portiere del primo scudetto biancoceleste. A 72 anni viene a mancare l’estremo difensore che conquistò il primo tricolore con la maglia biancoceleste.

Si è spento al Policlinico di Roma Felice Pulici, portiere della Lazio che nel 1974 vinse con Tommaso Maestrelli il suo primo scudetto. Da tempo era gravemente malato. Pulici ha vestito per sei stagioni la maglia della Lazio ed ha giocato anche con Novara, Monza e Ascoli Calcio. Era stato dirigente e capo del settore giovanile (anche allenatore) della Lazio, che aveva difeso come avvocato con altri legali nel calcio scommesse. Era rimasto legatissimo alla Lazio: grande il cordoglio dell’ambiente biancoceleste. Simone Inzaghi ricorda Felice Pulici: "Ho un ricordo bellissimo di Felice. Quando sono arrivato alla Lazio nel 1999 era un dirigente, un punto fermo per noi giocatori. E’ stato molto importante per le nostre vittorie e per il mio insierimento qui a Roma. Colgo l’occasione per fare le mie condoglianze alla famiglia. Abbiamo perso un grande laziale e un grande uomo".


Dal Corriere dello Sport:

Lazio in lutto: è morto Felice Pulici. Fu il portiere del primo scudetto della Lazio.

Lutto per il calcio italiano: è morto Felice Pulici, portiere del primo scudetto della Lazio. Lo apprende l'Ansa. L'ex numero 1 biancoceleste aveva 73 anni. Portiere della Lazio di Tommaso Maestrelli, campione d'Italia nel campionato 1973-74, Pulici era nato a Sovico, in Lombardia, ed era un romano d'adozione, amato dai tifosi laziali e rispettato da quelli di fede giallorossa. Oltre che nella Lazio, dove in cinque campionati riuscì a mettere insieme 150 presenze consecutive, aveva giocato con Lecco, Novara, Monza e Ascoli Calcio. Poi, dopo aver smesso, aveva ricoperto diversi ruoli dirigenziali nella società biancoceleste (già dal 1983, con Giorgio Chinaglia presidente) e poi anche nell'Ascoli Calcio. Il club biancoceleste tramite i suoi profili social ha espresso il suo cordoglio: "La S.S. Lazio, il suo Presidente, l'allenatore, i giocatori e tutto lo staff esprimono profondo cordoglio per la scomparsa di Felice Pulici, portiere della squadra biancoceleste che nel 1974 vinse il primo storico Scudetto. Il Club si unisce al dolore della famiglia»".


Dal Il Messaggero:

Se ne è andato in silenzio. In punta di piedi. Così come ha sempre vissuto. La Lazio piange Felice Pulici, indimenticato portiere del primo scudetto biancoceleste. È morto all’età di 73 anni dopo una lunga malattia. Alla Lazio in cinque campionati ha messo insieme 150 presenze consecutive. "Pu... Pu... Pulici", era un grido che saliva alto, quasi rabbioso. Più che un coro era un’invocazione, una preghiera di aiuto o un grazie urlato in coro da migliaia di laziali. Gli stessi che oggi lo piangono. Un’altra stella che si aggiunge al firmamento biancoceleste. Nel 1972 Pulici passa dal Novara alla Lazio di Tommaso Maestrelli, da poco promossa in Serie A. Per cinque anni non salta neppure una partita e, come detto, vince il campionato nel 1973/74. Si trasferisce quindi al Monza e all'Ascoli Calcio. Nel 1982, invece, torna alla Lazio per una sola stagione. Infine si ritira. Resta comunque nella Lazio come allenatore della Primavera nel 1983. Poi, con l'arrivo di Giorgio Chinaglia alla presidenza biancoceleste, entra nella dirigenza come direttore generale. Per due volte è il responsabile del settore giovanile laziale: dal 1994 al 1998 e poi dal 2003 al 2004. Nel 2006 Claudio Lotito lo sceglie come membro della segreteria generale e, sempre nello stesso anno, è uno degli avvocati che rappresentano il club durante il processo sportivo di Calciopoli. Nell'agosto del 2006 Lotito gli affida la rappresentanza della società.


Da La Repubblica:

Il calcio piange la morte di Felice Pulici, scomparso oggi a pochi giorni dal suo 73° compleanno. Era malato da tempo. Nato a Sovico, in provincia di Milano, il 22 dicembre 1945, l’ex portiere aveva iniziato la propria carriera nelle giovanili del Lecco. Esploso nel Novara (112 presenze tra il 1968 e il 1972), visse i suoi anni migliori alla Lazio dove conquistò lo scudetto nel 1974. Ceduto nell’ottobre del 1977 al Monza, fu per tre anni il portiere dell’Ascoli Calcio in Serie A centrando una storica qualificazione in Coppa UEFA e vincendo, nel 1981, il torneo di Capodanno. Tornò a giugno dello stesso anno alla Lazio, chiudendo la carriera nel giugno seguente a 36 anni.

"Perdiamo un grandissimo laziale e un grandissimo uomo". Così il tecnico della Lazio Simone Inzaghi ha voluto ricordare l'ex portiere biancoceleste, prima di iniziare la conferenza stampa alla vigilia della sfida contro l'Atalanta. "E' una brutta notizia che tocca tutto il mondo Lazio, me in particolare. Ho un ricordo bellissimo di Felice - ha raccontato l'allenatore piacentino - quando sono arrivato alla Lazio nel 1999 era un punto fermo della società. Una persona sempre vicina a noi giocatori, importante per le nostre vittorie e per il mio inserimento a Roma. Colgo l'occasione per fare le più sentite condoglianze alla famiglia". Una volta appesi gli scarpini al chiodo, rimase all’interno della società biancoceleste guidando inizialmente la Primavera. Nel 1983, con l’arrivo di Giorgio Chinaglia alla presidenza, Pulici divenne direttore generale. Continuò la sua carriera da dirigente anche con l’avvento di Cragnotti e, in seguito, di Lotito, ricoprendo vari ruoli. È stato per due volte responsabile del settore giovanile: la prima dal 1994 al 1998, la seconda dal 2003 al 2004.

L’attuale presidente lo aveva promosso membro della segreteria generale nel 2005. E nel 2006 è stato uno degli avvocati che hanno rappresentato il club nel processo di Calciopoli. Nell’agosto dello stesso anno gli è stata affidata da Lotito, inibito per 2 anni, la rappresentanza sportiva della società. Pulici dovette firmare i contratti e provvedere ai tesseramenti. A fine anno lasciò definitivamente la Lazio per ricoprire il ruolo di direttore generale dell’Ascoli Calcio. Un incarico che ricoprì per soli 3 mesi, fino a marzo 2007, anno in cui lasciò definitivamente il mondo del calcio per diventare un alto dirigente dell’Associazione Nazionale per lo Sport dei sordomuti.


17/12/2018 Il titolo del Corsport
Dal Corriere dello Sport all'indomani della sua morte
1971 nel Novara
Pulici all'inizio degli anni '80
Dalla Gazzetta dello Sport: 1974 dopo Milan-Lazio 0-0
Dalla Gazzetta dello Sport: 1976 dopo il derby vinto 1-0
1970 primo portiere del Novara
1979 portiere dell'Ascoli

17 Dicembre 2018

Il Corriere dello Sport, nell'edizione del 17 dicembre 2018, così ricorda Felice Pulici:

La Lazio era felice. Se ne va un altro simbolo di quella magnifica squadra di Maestrelli. Si è spento Pulici, portiere dello scudetto 1974 ed ex dirigente storico del club biancoceleste. Esempio di purezza: era un riferimento per tutti.

Doveva tornare a casa entro un paio di giorni, aveva scritto e consegnato la lista degli invitati a suo figlio Gabriele per il pranzo di sabato, quando avrebbe festeggiato il suo settantatreesimo compleanno in famiglia, con il sorriso e la tempra di ogni giorno, controllato dallo sguardo tenero di sua moglie Paola, di Michela e Raffaella, le altre sue due creature. Ieri mattina, nella camera al Policlinico Umberto Primo, la tv era accesa e stava guardando una partita del campionato Primavera. Felice Pulici si è arreso poco dopo le 11,30 ed essere stato preso in contropiede da un edema polmonare. La pressione era scesa troppo, non ce l’ha fatta. Destino crudele, solo così poteva essere beffato, da una complicazione inattesa durante un periodo di degenza lungo un mese e che doveva essere temporaneo. Felicione, così lo chiamavano gli amici, stava combattendo la malattia da quasi due anni. Con fierezza. Si piegava, non si spezzava, come ai tempi in cui ribatteva qualsiasi pallone o allontanava i fantasmi nelle aule dei tribunali sportivi. Un leone. Era lui che ti faceva forza quando lo chiamavi, non il contrario. "Mica mollo" rispondeva, cambiando argomento. "A casa come va? Novità?". Aspettava, ogni volta, una lieta notizia. Non si arrendeva all’idea che non arrivassero bambini. Era così: un amico intimo, un fratello maggiore, quasi un secondo padre nei confronti di chi sentiva vicino. Sferzante e affettuosa ironia, soffocata da un sorriso. "Ti dovevo chiamare io o dovevi chiamare te?". Le sue telefonate di solito iniziavano così, anche l’ultima (e non doveva esserlo) un paio di mesi fa, quando la famiglia lo aveva accompagnato a Rieti per il premio intitolato a Scopigno. Poi si metteva a parlare di calcio. Della "sua" Lazio con la solita, torrenziale, passione.

"Hai visto l’altro giorno?". Voleva Felipe Anderson (Pereira Gomes Felipe Anderson) centravanti, gli sarebbe piaciuto se Marchetti fosse rimasto come secondo di Strakosha, si tormentava per l’Olimpico semivuoto. Umiltà e umanità d’altri tempi. Un signore vero. Entrava con pudore nei discorsi societari. Il distacco, dopo una brusca telefonata con Lotito nell’autunno 2006, lo aveva messo a disagio e fatto soffrire. L’avvocato Gentile provò invano a convincerlo, ma Felice non tornò sui suoi passi per coerenza e perché da uomo tutto d’un pezzo sapeva, a quel punto, di non poterlo e volerlo. Accettò con il tempo, con discrezione e senza rancore, di essersi allontanato da una società e dai colori che non ha smesso di amare per un solo giorno. E per cui aveva lavorato sino a un paio di mesi prima con successo. Si era laureato in legge nel 1992, era un esperto di diritto sportivo, aveva coordinato lo staff legale (composto dall’ex presidente Ugo Longo, suo grande amico, dagli avvocati Siniscalchi e Viglione) verso la salvezza nel processo legato a Calciopoli. Tre punti di penalizzazione piuttosto che la retrocessione in B. L’ultima impresa per la Lazio dopo aver vinto uno scudetto tra i pali ed esserne stato direttore generale con Chinaglia, responsabile del settore giovanile all’epoca della gestione Calleri, dirigente illuminato durante l’epopea Cragnotti, segretario e delegato ai rapporti istituzionali con Lotito. Di tutto e di più, anima e cuore, cervello e senso di appartenenza. La Lazio, anche se distante, continuava a vederla in tv. Allo stadio Olimpico non aveva più messo piede, se non per la manifestazione "Di Padre in Figlio" ideata da Pino Wilson e Giancarlo Oddi, altri due scudieri di quella magnifica e irripetibile squadra di Maestrelli, Lenzini e Chinaglia. Per il quarantennale tornò persino in campo qualche minuto e indossò la maglia numero uno, la stessa del 12 maggio 1974, giorno in cui si giocò la partita scudetto con il Foggia e venne alla luce suo figlio Gabriele. Lo seppe rientrando negli spogliatoi e sfuggendo, non si sa come, all’invasione di campo.

Quella maglia, per anni, era rimasta custodita in un armadio di suo suocero a Sovico, in Brianza. Felice credeva di averla persa. Riuscì a riscoprirla per caso nel 2012. Per i suoi settanta anni la portò con orgoglio in redazione, in Piazza Indipendenza: aveva ancora il gesso bianco attaccato alla spalla. Formidabile il legame con Tommaso Maestrelli, il suo principale riferimento. Si capivano con uno sguardo. Ne custodiva la stima con orgoglio. Come la lettera che Chinaglia gli scrisse e inviò dopo essere scappato a New York. Da Long John aveva raccolto la leadership morale della banda capitanata da Wilson. Un anno fa, registrato su una chiavetta, ci portò al giornale un servizio preparato dalla Rai per il derby del 28 novembre 1976, 1-0 per la Lazio, gol di Bruno Giordano sotto la Curva Nord. Tommaso era a casa, consumato dalla malattia, sarebbe scomparso quattro giorni dopo. Felicione parò l’impossibile, compreso un colpo di testa di Pellegrini destinato all’incrocio dei pali. Dedicò il successo a Maestrelli negli spogliatoi. Quella parata, disse, era stata mandata dal cielo. Un senso di disagio e di nostalgia lo accompagnava parlando del suo allenatore, tornato in panchina per salvare la Lazio dalla retrocessione in B due anni dopo lo scudetto. Raccontava il solito episodio, quando Tommaso non riusciva più a stare in piedi e un giorno lui gli chiese lo sforzo di restare seduto accanto alla porta per assistere ad un supplemento di allenamento. Un eccesso di egoismo che, a distanza di una vita, non riusciva a perdonarsi. Ecco chi era Felice Mosè. Severo con se stesso, generoso verso il prossimo. Un esempio di purezza. Ancora oggi scherzava con Pino Wilson, a cui il 14 aprile '74 aveva soffiato la fascia per la partita interna con il Verona (da 1-2 a 4-2 senza tornare negli spogliatoi per l’intervallo) perché Maestrelli non voleva che il capitano rischiasse di prendere un cartellino giallo per la protesta dell’associazione calciatori (inizio ritardato di un quarto d’ora).

Il Mondiale in Germania lo saltò solo perché chiuso da tre mostri sacri come Zoff, Albertosi e Castellini. Si fermò alle preconvocazioni. Felice era arrivato a Roma dal Novara due anni prima, nell’estate 1972, spinto anche dalla considerazione di Silvio Piola, a cui chiese consiglio Bob Lovati prima di acquistarlo. La Lazio doveva sostituire Bandoni, era appena stata promossa in Serie A e Pulici, con il Novara, aveva persino preso cinque gol all’Olimpico: 35 milioni di lire più Di Vincenzo. Nacque così una storia meravigliosa, interrotta nel 2006 e finita in modo definitivo ieri, guarda caso di domenica mattina, in via Benevento a Roma. Sarebbe un errore ricordarlo solo come portiere o dirigente. Felice aveva studiato da direttore sportivo, si era laureato in giurisprudenza. Lo sport lo conosceva in modo profondo e trasversale. Dipendente della Figc, negli anni Novanta era stato dirigente della Lega Dilettanti e dal 2007 al 2013 ha ricoperto la carica di segretario generale della Federazione Sport Sordi Italia. E’ stato anche vicepresidente del Coni Regionale Lazio. Un riferimento per tutti. Giocatori, tifosi, giornalisti, a cui dedicava con passione ore per spiegare le regole e trasmettere amore per i colori della sua vita. La Lazio era, è stata e resterà per sempre Felice Pulici.


Un momento dei funerali
Un momento dei funerali
La bara all'interno della Chiesa
Un momento dei funerali
Un momento dei funerali
Bruno Conti ai funerali
Un ricordo di Felice Pulici
Un momento dei funerali
Un momento dei funerali
Un momento dei funerali
Un momento dei funerali
Un momento dei funerali

18 Dicembre

SI sono svolti i funerali alle ore 14,00 nella Chiesa del Cristo Re a Viale Mazzini. Presenti tifosi e autorità del calcio.

Il silenzio è stato rotto da un solo grido "Pu Pu Pulici". Forte, sentito, solenne. Il coro che lo ha accompagnato nella sua lunga carriera da portiere della Lazio lo ha accompagnato nel suo ultimo viaggio. Un omaggio spontaneo che i tanti presenti alla Basilica Cristo Re di Roma gli hanno voluto rendere. Felice Pulici se ne è andato a 72 anni nella giornata di domenica, ma rimarrà per sempre nel firmamento biancoceleste.

Lo dimostrano i tantissimi tifosi accorsi per dargli l'ultimo saluto. C'era chi, la sua Lazio, quella del '74, l'ha vissuta sulla propria pelle, o chi solo attraverso il racconto di papà o nonni. C'erano anziani, giovani e bambini. C'erano bandiere e striscioni. C'erano i suoi ex compagni come Giordano, Wilson o Piscedda. C'erano altri laziali di altre epoche come Zoff, Giannichedda, Pancaro, Cesar e Orsi. C'era chi Pulici lo ha affrontato solo da avversario come Bruno Conti. E alla fine è arrivata anche una delegazione della Lazio rappresentata da Peruzzi, Inzaghi, Lulic, Cataldi e Lucas Leiva. C'erano tutti, uniti per dare l'ultimo saluto a Felice Pulici, il portiere elegante che è riuscito ad unire intere generazioni di laziali.

Nel corso dell’ultimo saluto allo storico portiere del primo Scudetto biancoceleste, ha preso la parola Giuseppe Wilson, che ha letto una commovente lettera indirizzata all’ex compagno di squadra.

«Ciao Felice, sei arrivato in punta di piedi nel lontano 1972 e così, sempre in punta di piedi, te ne sei andato. La nostra famiglia – quella acquisita, la ‘banda’, per intenderci ha perso un altro pezzo. E che pezzo! Questa è una perdita importante, tanto quanto quella degli altri che ci hanno lasciati. Una perdita che ha portato, tuttavia, uno sgomento e un vuoto incredibile e incolmabile. Senza respiro pensavamo che Lui ci concedesse un po’ di tregua, invece a soli tre mesi dalla dipartita di Mario ha voluto rimetterci alla prova. Però, questa volta, il lutto è stato pesantissimo».

«Quante battaglie, quante gioie e belle serate abbiamo trascorso davanti a un bicchiere di vino, a raccontarci quegli anni favolosi e incredibili. Gli aneddoti e le prese in giro con Giancarlo e le tue proverbiali esternazioni con un crescendo rossiniano e con Paola che ti invitava alla calma. Diceva ‘Felice! Felice, basta!’. Mi piace ricordare i giorni che hanno preceduto la prima edizione di Di Padre in Figlio, quando con Giancarlo abbiamo stilato la formazione – quella nostra – da opporre a quella dei ragazzi che ci hanno sempre rispettati e che mai ci hanno fatto pesare le loro vittorie più pesanti in campo nazionale e internazionale. Ci siamo preparati come se volessimo vincere pure quella partita! Pieni di orgoglio abbiamo deciso poi di farci sostituire dai nostri figli. Il tuo Gabriele tra i pali, senz’altro migliore di te nelle uscite – detto tra di noi, Felice – e poi James, Cristiano, Giorgino e i figli di Nanni, Petrelli, Martini, Re Cecconi, Frustalupi e così via. Ci brillavano gli occhi! Starei ore ancora a raccontare, ma la botta è stata devastante».

«La banda di anno in anno si assottiglia. Ma anche quando rimarranno solo due di noi e uno dei due volerà in cielo, sono sicuro che l’altro – dopo un po’ di esitazione – lo chiamerà e gli dirà: ‘fermati, che vengo anche io!’. Vorrei terminare con dei versi di Felice che questa mattina mi ha mandato Giancarlo.Dice Felice: ‘La Lazio non è una squadra di calcio, la Lazio ti entra dentro, ti cattura, è lei che ti sceglie. E come i giovani figli di Sparta attrae a sé solo chi è disposto a soffrire, perché quando c’è la Lazio di mezzo non c’è mai nulla di facile’. Questo lo pensavamo, lo pensiamo tutt’ora e lo penseremo. Ciao Felice!».

Fonte:LazioNews

Il Comune Di Sovico

«Ciao Felice, sarai sempre il nostro numero 1». Il Comune di Sovico ha ricordato così il calciatore Felice Pulici, scomparso domenica a Roma a 72 anni. Il portiere della Lazio del primo scudetto era nato in paese nel 1945, in Brianza aveva mosso i primi passi sui campi da calcio, a Sovico aveva conosciuto la moglie prima di volare nella capitale. Pulici era stato nel ’77-78 anche a guardia della porta del Monza. «Sovicese di nascita, Felice ha raggiunto i vertici del successo sportivo nella capitale, dove ha costruito anche la propria carriera professionale, dopo aver lasciato l´ambiente del calcio – ricorda l’amministrazione - È sempre rimasto profondamente legato al paese di origine, a cui periodicamente faceva ritorno e per il quale molto si spese in passato. Lo ricordiamo per la sua innata simpatia e per quel suo modo di fare sempre disponibile nei confronti degli altri, caratteristica che lo contraddistinse nella sua carriera sportiva e non solo. Ciao Felice, sarai sempre il nostro numero 1».



Il ricordo di Vincenzo Cerracchio

Sai Felice, voglio raccontarti una storia di 45 anni fa...

Non ho pianto, ho scritto un tweet... Lo so che lo sai cos'è un tweet, caro Felice. Come so che sei rimasto fermo al telefono, quello purissimo del "pronto chi parla". Di messaggi il minimo indispensabile, whatsapp una parola senza significato e forse senza senso. Che vuoi farci. Non avevo un computer sotto mano e neanche la forza di farci scorrere su le uniche due dita che ne hanno confidenza. L'ho saputo alle 14,28, perché della nostra vita oggi resta traccia indelebile nella taratura degli strumenti. E ho scritto di getto quello che mi ha suggerito il cuore quando è già stretto e tu lo strizzi ancora in 140 caratteri, o quelli che sono, non lo so più. Che stavi per lasciarci lo sapevo. Perché tra laziali siamo abituati a far la conta, più per scaramanzia che per altro. "Lo sai che Felice e Mario stanno malissimo...", mi disse non so chi. E io Mario lo sentivo spesso per radio e gli sentivo la malattia nella voce. Ma a te non ti sentivo proprio più. E per questo ci stavo più male.

Io ho un freno a mano di fronte alla malattia degli altri. Questo è un blog e posso parlarci dentro come fossi steso sul lettino dello psicanalista, esperienza che non ho mai fatto. Forse più che un freno è un airbag salvavita. Penso a cosa vorrei se fossi io quello da compiangere. A cosa risponderei a uno che ti chiede, compunto e timoroso, "come stai?". A come reagirei se uno - che non sia un familiare stretto, è ovvio - volesse venirmi a trovare. Non ho risposte certe. Ma intanto io cerco di non disturbare. Di non invadere. Avrei dovuto telefonarti e dirti quel banale e irriverente "Come stai?" e chiederti se fossi disposto a vedermi, mai successo fuori da eventi ufficiali: ti avrei allarmato, penso. "E questo perché vuole vedermi? Allora sto messo male davvero..." Poi Mario ci ha lasciati l'ultimo giorno di agosto. Ho scoperto solo oggi che aveva un mese esatto meno di te. E il vostro percorso lo avete compiuto insieme per intero, partendo dalla nebbia di lassù e respirando il sole di qua in mezzo, Mario anche il mare che forse tu amavi di meno, neanche questo so per certo. Respirando la Lazio, che vi ha incantato entrambi, una sirena scudettata che vi ha incatenato qui, tra la gente che vi ha amato e che non dimentica.

Per entrambi avevo sperato nel "miracolo Gigi Riva", che tu non sai cos'è, come whatsapp... E' una cosetta mia e dei miei amici più stretti: mi avevano detto, diversi anni fa, che Riva stava per morire e io che faccio il giornalista e ho tanti amici calciofili lo avevo rivelato sottovoce a qualcuno, perché ogni tanto ci si vanta di sapere e pazienza se sono notizie tristi. Gigi è sempre lì, rombo di tuono, e devo avergli allungato e di molto la vita. I miei amici invece ancora mi sfottono... E stavolta la scaramanzia non ha funzionato. Ho pianto un po' solo stamattina. Nel dormiveglia di una notte agitata. Solo un paio di lacrime nel rimetterti a fuoco. Ma qui non scriverò della tua vita e della tua intensa carriera pubblica, penso lo abbiano fatto frettolosamente altri, non ho letto i giornali. Solo un paio di lacrime. Quelle che tu ingoiavi ogni volta che ti chiamavano a parlare di chi non c'era più, fosse Tommaso o fosse Giorgio. Tommaso più di Giorgio, perché è stato il primo dolore. E il primo dolore, quando perdi un padre, ti ghiaccia l'anima e te la scioglie nel tempo, te lo diluisce. Ho riletto quello che ho scritto in quel tweet, in quei due minuti di apnea dopo aver saputo.

Che eri il mio idolo quando prima dei vent'anni mi (ci) hai regalato la gioia più grande in assoluto della mia vita di passione pallonara. Un idolo in condominio perché nel calcio si vince di squadra ed è la squadra che diventa idolo. Per me non sarà mai la Lazio di Chinaglia e Wilson, o tua e di Cecco, o del mio coetaneo e omonimo Vincenzo. Sarà la Lazio, intesa nella sua purissima essenza. In questo senso ho scritto che tu sei la Lazio. Ho scritto "sei stato" ma è stata la fretta, l'urgenza di espandere il dolore o meglio di lenirlo condividendolo. Poi che sei stato il tecnico con cui confrontarmi. E questo riguarda la nostra maturità. Io giornalista di sport. Tu dirigente, ma prima esperto di calcio, perché nel calcio hai fatto tutto, portiere, allenatore, perfino facente funzione di presidente. Io non ho memoria per le cose piccole e quindi non mi ricordo quando ci siamo presentati, quando ti ho stretto quella mano prodigiosa la prima volta. Forse c'era Giorgio presidente e io ero poco più che un apprendista a Monte Zebio o a Centro Sportivo Tor di Quinto-Tommaso Maestrelli, ovvero nel mio personale paese delle meraviglie. Però ricordo le cose grandi. Le telefonate che ti facevo per un'intervista o quelle che mi facevi tu per commentare quello che scrivevo. Partivi da lontano, dopo aver alzato la cornetta di getto, io lo so. Per dirmi che condividevi tutto ma... Poi c'era un ma, un dettaglio, un qualcosa che mancava, un aggettivo magari.

Ti accendevi pian piano, come hai sempre fatto. Ti infervoravi in ogni discussione, come l'ottimo avvocato che sei. Credo di averti fatto un regalo ogni volta che scrivevo, e ci credevo sul serio, che la Lazio avrebbe avuto bisogno di più laziali dentro. E non parlo di Lotito, erano ancora i tempi di Cragnotti. E tu eri già dentro, c'eri già stato con Chinaglia, rimettendoci in denaro e in salute. Ne avresti voluti altri come te, come Bob. Coinvolti nell'avventura. Già, il tuo amico Bob, il mio amato Lovati... Questa voglio raccontarla. Voglio sfotterti anch'io, come i miei amici fanno con me per la storia di Riva. Venni a Centro Sportivo di Formello e Centro Sportivo di Formello era appena sorta. Il '98 forse, l'ho già detto, ho poca memoria. Tu e Bob avevate uffici limitrofi. Lui osservatore credo, perfetto relazionatore di prossime avversarie. Tu al Settore Giovanile, responsabile di speranze a venire. Sembravo Giovinco in mezzo a voi portieri lungagnoni e credo di essermi trattenuto per ore perché non mi stancavo mai di ascoltarvi, specie quando vi punzecchiavate in mezzo dialetto, milanesacci che non siete altro. Mi dicesti: "Conosci Domizzi, il nostro giovane centrale? Beh, vedrai. Lui si mangia pure [[Nesta Alessandro|Nesta". Sbagliasti tu o si perse lui, questo non lo so. Anche se gioca ancora, ho visto, a 38 anni. E ha fatto la sua brava carriera, anche se Nesta non lo ha mai raggiunto. E lo so che adesso mi dedicherai un sermoncino da qualche parte lassù per argomentare le tue ragioni. Causa persa, amico mio...

Amico. Nel tweet l'ho scritto con la A maiuscola. Ma subito mi sono chiesto se non fosse magari solo una mia suggestione. E' vero, tu mi hai accompagnato, sei stato testimone, di due momenti fondamentali di un'altra parte della mia vita. Hai presentato i miei primi due libri. L'ho chiesto a te e non potevo chiederlo ad altri che a te. Perché sapevo che li avresti letti con cura e poi avresti detto la verità. Nel primo c'erano la mia gioventù e la tua Lazio. C'era tanta gente in libreria e a me luccicavano gli occhi, anche se non era un momento felice. "Due soli" ha brillato di amore e di calcio, che spesso si confondono o si fondono, non so. Non ti ho mai detto quanto ti sono stato grato quel giorno. Poi c'è stata "Controstoria della Lazio" e lì dentro tu sei citato venti volte, non le ho contate, me lo dice Word. E averti al fianco è stato come un timbro di autenticità. Avevi messo nelle pagine dei post-it gialli, forse per ricordarti gli argomenti. E avevi una cosa da dirmi, subito, urgente. C'era un'omissione in quel libro: avevo scritto che avevi pagato tu per tutti nel caso del passaporto falso di Veron, con qualche mese di inibizione. "Ma ti sei dimenticato che sono stato assolto in tribunale per non aver commesso il fatto..." Avevi ragione tu, stavolta. In realtà per me era scontato, era solo un passaggio di un discorso più ampio, quello della tua inibizione, c'era solo il concetto di "chi paga per tutti". E tu hai sempre pagato il conto per eccesso d'amore. Un amore che abbiamo in comune.

Ecco, io non so se sia giusto chiamarti Amico. Se l'Amico è quello d'infanzia, quello di una vita, è uno con cui vai a pranzo insieme, che frequenti con la famiglia, con cui ti confidi - fin dove può arrivare la confidenza nel genere maschile - con cui insomma ti vedi e ti senti di continuo... bè direi proprio di no. Se Amico è però uno che hai conosciuto bene e a cui ti senti vicino, come stile, come ideali, nel cui animo ti specchi e ti rivedi per dirla tutta... bè io dalla mia parte dico di sì, mi assolvo per il parolone. Spero che tu veda in me quello che ho visto io in te: l'Uomo che lotta per certi valori, che non sono politica né filosofia, sono più semplici e forse un po' più rari oggi di quanto lo fossero in quel remoto '74. Tu campione d'Italia, che scappavi via dalla festa perché ti nasceva un figlio. Io giovane universitario, impossibilitato a fare invasione di campo come tutti per via di un lavoro che mi chiamava proprio di domenica pomeriggio.

Maledette, certe domeniche pomeriggio. Io non ricordo le piccole cose, ma le grandi sì. E la notizia che Giorgio era morto - sono passati già sei anni e mezzo - mi arrivò allora alla stessa ora di ieri. Di una domenica maledetta, che allora beffardamente coincideva con un improbabile primo d'aprile. La differenza è che ieri ho potuto sedermi sul divano e chiudere gli occhi. Quel giorno di sei anni fa guidavo la redazione sportiva di un quotidiano importante, ero immerso in quel lavoro domenicale che ti succhia la linfa, con il tempo che scorre inesorabile e scandisce i minuti che mancano all'inesorabile avvio della rotativa, insomma stavo "facendo il giornale" come si dice in gergo, e mi cadde addosso il mondo, tra l'incredulità prima, il dolore poi, coniugati con l'obbligo di andare avanti di corsa. Cambiare il giornale, scrivere, non piangere per carità... Per me siete morti entrambi alle due e mezza. Tu esattamente come Giorgio. Non importa l'orario esatto e non voglio saperlo. Conta l'ora - per le grandi cose - in cui le vieni a sapere. Alle due e mezza del pomeriggio di una domenica. Delle mie, delle nostre domeniche. Quando si giocava tutti alla stessa ora e il calcio era minuto per minuto e mai avremmo immaginato, noi che eravamo già stati sulla luna, che il rituale sacro sarebbe cambiato e che un giorno la radiolina si sarebbe tramutata in tv, e la tv in smartphone. Alle due e mezza. E per me è un agghiacciante segno del destino. Perfino romantico, però...

Sai Felice, sono andato a vedere su LazioWiki, che è la nostra enciclopedia e il nostro vanto, se ci fosse stato nella Vostra Storia, di quella Lazio intendo, un 16 dicembre felice. Non so perché l'ho fatto, un presentimento o un caso. Bene, il 16 dicembre del '73, esattamente 45 anni fa, tu e Giorgio batteste il Napoli capolista all'Olimpico e lo raggiungeste in testa insieme alla Juventus. Di fatto dando il via a quello straordinario sprint scudetto. Che poi stravinceste. Segnò Giorgio di ginocchio, spingendo in rete avversari e sogni, con la forza del Rodomonte che era. Tu, in compenso, parasti tutto, volando da un palo all'altro, come spesso ti toccava, per arginare Braglia e Juliano. Parasti tutto come nel derby che vincesti da solo nel nome di Maestrelli che moriva e che ti valse uno di quei 10 in pagella che ancora ti emoziona al solo rievocarlo. Penso che le coincidenze esistano, certo. E anche i segnali. Che la nostra esistenza abbia paletti precisi. Morire nel giorno in cui hai vissuto grandi gioie e grandi emozioni in fondo è un destino accettabile, anche se sono passati solo 45 anni dei 100 che speravamo ancora per te.

Domani non è domenica. E' un triste martedì. Alle 14 sarai in Chiesa e so che la Chiesa è importante per te come un rettangolo verde. Ma non è domenica, non ci sarà "papà Lenzini" a segnarti il rigore propiziatorio. Poi uscirai da lì e sparirai alla vista di noi umani. Per andarti ad allenare come si fa di martedì. C'è un'altra partita, presto, da qualche parte. E' così verde quel campo che abbaglia gli occhi. Sembra quello che ci incantava da bambini ogni volta che arrivavamo in cima ai gradini dello stadio. E' così verde che ti fa scendere le lacrime. E adesso chi le ferma più...



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