Agosto 1986 la rivolta dei tifosi laziali - 2

Da LazioWiki.


Vai alla prima parte della scheda

Vai alla terza parte della scheda

Articoli correlati

Torna alla stagione

22 agosto 1986[modifica | modifica sorgente]

Da la Repubblica:

"Chi ha paura di Carbone, dottor De Biase ?". Forse ora nessuno avrà più timore del faccendiere napoletano, gran manovratore del pallone. La giustizia del calcio non vuole più sconvolgimenti, terremoti e clamorose rivelazioni. Carbone se ne resti pure ad Ischia, in vacanza, il calcio-scandalo non ha bisogno di lui, o meglio non lo vuole. La prima giornata del processone-atto II, quindici società alla sbarra, cinquantaquattro uomini di calcio con la carriera in pericolo, ha vissuto ore molto agitate, secondo un copione che in parte era stato studiato fin dalla vigilia. Tutti aspettavano Carbone. Le voci della mattinata lo davano addirittura alloggiato nello stesso hotel Hilton: tutti guardavano verso il portone dell'aula-bunker per vederlo spuntare davanti al presidente Vigorita. L'avvocato Catalanotti, del Foro di Bologna, difensore di Vinazzani, aveva fatto rafforzare di prima mattina questo intreccio di indiscrezioni. "Signor giudice - aveva detto - chiedo che si riapra l'istruttoria, chiedo che venga nuovamente sentito Armando Carbone. I giornali ne confermano la sua disponibilità". E' bastato questo per movimentare il processo. "L'avvocato Garbi, legale di Carbone - ha spiegato Catalanotti - è in contatto con me. Possiamo facilmente combinare un appuntamento". De Biase ha immediatamente sollevato mille eccezioni. Magro, tirato in volto, nervoso, come sempre in queste occasioni, il capo dell'ufficio inchieste si è sollevato in piedi. Poche parole di controdeduzione per arginare gli ultimi tentativi di Vinazzani e della Lazio per evitare il peggio.

"Questa istruttoria - ha tuonato De Biase - non va riaperta. Carbone in primo grado si è rifiutato di farsi interrogare dalla disciplinare. Ormai ci sono delle situazioni cristallizzate che non possono essere riaperte" (il Napoli, il Bari, il Brescia eccetera, n.d.r.). Tra gli avvocati e De Biase si è alzato il solito muro di incomprensione. Attacchi diretti, senza mezze misure. La Lazio ha trovato in questo frangente un facile alleato nell'Udinese. I legali della squadra friulana a Milano avevano chiesto che le deposizioni di Carbone rese davanti al magistrato di Torino non fossero estrapolate dal processo. Carbone insomma era ancora l'ultima ancora di salvezza. La difesa della Lazio è rimasta quasi stupita. "Ma come - ha affermato Catalanotti - Armando Carbone è il deus ex machina di tutto quanto, questo procedimento vive proprio a causa sua. Rifiutare ora la testimonianza di Carbone sarebbe un segno di debolezza da parte dell'accusa. Se in primo grado non è voluto venire non è importante, non si poteva costringerlo. Carbone verrà qui a parlare di tutti i fatti di cui lo interrogherete, non ci sono limiti. Per guanto riguarda Vinazzani, dico solo che la commissione disciplinare non ha tenuto conto della lettera inviata da Carbone per scagionare il giocatore, soltanto perché Carbone non si è presentato in aula a dare conferma. Non capisco. Chi ha paura di Carbone, dottor De Biase?". Una preziosa testimonianza dunque sfumata per puri cavilli giuridici. Dubbi ed incertezze hanno percorso le decine di persone fra i banchi dell'aula. Tanti gli avvocati, ma dei grandi accusati (Mazza, Ghini, Corsi, Vinazzani...) nemmeno l'ombra. Lo scontro fra De Biase e l'avvocato Franco Coppi è stato forse ancora più duro. Il legale del gruppo Mazza-Udinese-Corsi ha ribattuto molto su quei verbali penali degli interrogatori di Carbone.

"In realtà, direttamente o indirettamente, l'ufficio inchieste ne ha fatto ampio uso nella sua istruttoria. O li ammettiamo in toto, oppure dovete cancellare quei passi che ancora sopravvivono negli incartamenti con il pennarello". De Biase si è molto spazientito. E' andato giù pesante. "Noi non abbiamo paura di Carbone. In primo grado eravamo più che d'accordo ad una sua deposizione: allora c'erano ancora delle posizioni sotto giudizio. Però allora quando c'erano società messe in un certo modo non è voluto venire, ora che ci sono stati certi proscioglimenti invece vuol venire". Evidente il riferimento di De Biase. In primo grado una deposizione di Carbone avrebbe potuto danneggiare il Napoli, poi prosciolto; adesso che il Napoli è in salvo le sue rivelazioni potrebbero dare una mano alla Lazio. Cosa c'è dietro? Perché il faccendiere napoletano cambia così facilmente idea? E se le sue rivelazioni ora fossero tante e tali da far riaprire addirittura un altro procedimento? A fianco della Lazio e dell'Udinese si è schierato anche il Perugia. Un brillante intervento dell'avvocato Dean. Se il Perugia riuscisse ad ottenere uno sconto sugli illeciti imputabili, forse potrebbe ottenere l'eliminazione almeno dei cinque punti di penalizzazione in C2. Clima infuocato comunque nel quale l'avvocato Coppi, il focoso legale di Viola e della Roma nel caso Dundee, è letteramente scoppiato. "Oso sperare - ha detto - che questo sia ancora un processo". Aveva già intuito probabilmente che la CAF avrebbe respinto con implacabile regolarità tutte le richieste dei difensori. In particolare il presidente Vigorita si era lasciato sfuggire di bocca una frase indicativa, prima della pausa del pranzo. "Riprendiamo nel pomeriggio alle quattro, con la discussione". I giudici quindi sono entrati in camera di consiglio con una ordinanza praticamente scontata. Gli atti penali degli interrogatori di Carbone rimangono nel cassetto, delle parole del grande accusatore non c'è più bisogno "...in considerazione dei contraddittori atteggiamenti mantenuti nei confronti della giustizia sportiva". E così parte della verità di questo famoso scandalo rischia di non venire a galla. Cosa avrebbe detto Carbone? E' vero che avrebbe soltanto aiutato la Lazio? Adesso nessuno lo saprà più. Forse la cosa migliore sarebbe stata quella di ascoltarlo salvo poi valutare con estrema attenzione le sue rivelazioni, cercare di distinguere il vero dal falso. In questo modo invece la Caf ha scelto la via più facile ma forse non la più giusta.

23 agosto 1986[modifica | modifica sorgente]

Da la Repubblica:

"Quand'è così, prendo i miei bagagli, tutti i miei fogli e vado via". Gli hanno detto di essere breve: il prof. Coppi è andato su tutte le furie. "Ma quale brevità, forse stiamo dimendicando che qui giochiamo con il futuro delle persone, si stroncano carriere, si impedisce alla gente di continuare a fare il proprio lavoro". Tutto un giorno per dire davanti a un microfono "siamo innocenti", per dare la parola agli accusati, ognuno, chi più o chi meno, vittima di macchinazioni, combinazioni, congiure. Il processone al totonero ha vissuto un'altra lunga giornata di polemiche, intrighi, accuse. "Ma che dice l'ufficio inchieste? Come si permette? Ma che razza di ragionamenti sono? E queste secondo voi sarebbero prove? E la Disciplinare, già, la Disciplinare, come ha fatto a dargli retta...". Attacchi all'ufficio inchieste da ogni parte. Alla fine i corridoi dell'Hilton rimbombavano di voci. Si parlava di dimissioni di De Biase, ma lui smentisce; si parla di un grande ricambio in quello che forse è l'ufficio più delicato della Federcalcio. Nella grande kermesse oratoria davanti al presidente Vigorita, qualche ora di illusione per l'Udinese che ancora spera di evitare la retrocessione in B. Docente di procedura penale a Roma, esperto di truffe e raggiri, il processo sui fondi neri della Montedison, la difesa di Miceli per il golpe Borghese, quella di Cruciani nello scandalo dell'80, quella di Viola e della Roma nel caso Dundee, il prof. Coppi si è trovato davanti alla Caf a difendere una situazione quasi disperata.

Un'ora di deduzioni precise ed attente al termine delle quali ha comunque chiesto l'assoluzione per Mazza, Corsi e l'Udinese. L'avvocato Porceddu, braccio destro di De Biase, ha sorriso. "Non lo condivido certamente - ha detto - ma il suo intervento è stato efficace". Pazientemente, Coppi ha ricostruito tutti gli intrighi del caso Udinese. Non senza prima rifilare un paio di stilettate ai giudici. "Questo è un processo dove la prima esigenza è quella di celerità e speditezza. In questo giudizio noi avvocati siamo in posizione inferiore rispetto all'accusa. Non metto in discussione la buona fede della Caf e dell'ufficio inchieste, ma questo è un organismo così imperfetto, così lacunoso che ha innescato un meccanismo per cui l'accusa ha messo le mani nei verbali penali di Carbone, e noi no. Abbiamo cercato di far allegare agli atti una telefonata in cui Corsi esprimeva il suo dissenso a Carbone, eppure nella sentenza ci si dice di non aver prodotto niente, in questo senso, a nostra discolpa!". Coppi si è battuto molto efficacemente a favore di Mazza: "La responsabilità di Mazza - afferma l'avvocato - è affermata da una serie di falsi ragionamenti. Si dice nella sentenza: siccome ogni illecito ha un prezzo, e siccome Corsi non poteva pagare, chi ha pagato? Mazza naturalmente. Mi sembra un po' azzardato. E poi permettetemi: visto che Reali, Legrenzi e Carbone si lamentano di non aver mai preso una lira, allora, secondo questo ragionamento, l'illecito non è mai esistito". Coppi ha ricostruito i quattro illeciti imputati all'Udinese. Udinese-Pisa innanzitutto. E' qui che Corsi dice a Carbone "ne parlerò in società". "Dov'è la prova che Corsi abbia trasmesso a Mazza la proposta di Carbone? Dov'è la prova che l'illecito è andato in porto? Perché, ad esempio, non c'è una controproposta di Mazza sugli ottanta milioni che secondo Carbone si sarebbero dovuti pagare a Mannini?".

Poi Udinese-Milan. La situazione è più o meno la stessa. "In questo caso - dice Coppi - non si fa nemmeno riferimento a Mazza. Anche qui non ci fu una controproposta per i trenta milioni che secondo Carbone occorrevano per corrompere Terraneo". Infine Udinese-Roma e Udinese-Verona. Per Coppi, e per la difesa dell'Udinese in generale, la cricca di Carbone ha sempre e solo cercato di tirare bidoni a Corsi. Parlava della possibilità di arrivare a Mannini, Terraneo, Lanese o Guidetti, ma in realtà chiedeva soldi senza contattare nessuno. Corsi, sempre secondo i suoi difensori, teneva contatti con Carbone soltanto per avere varie informazioni (su Brini ad esempio...), senza però cadere negli illeciti, senza mai dare soldi, senza nemmeno parlarne a Mazza. E' molto difficile, comunque, nonostante il brillante intervento dell'illustre avvocato, che la Caf smentisca clamorosamente la sentenza di Milano. Potrà forse assolvere Mazza, ma è quasi impossibile che salvi l'Udinese. Chiesta anche l'assoluzione o almeno una riduzione della pena per Franco Janich, il direttore generale del Bari condannato ad un anno di squalifica per aver "frequentato" Carbone (violazione dell'articolo 1).

"Carbone - dice il suo avvocato - era il suo confidente. Janich ne otteneva notizie interessanti. Un anno è squalifica troppo pesante. La sua al massimo è un'omessa denuncia". Il processo intanto si allunga tra paure e piccoli colpi di scena. Si attendono con molta trepidazione le conclusioni dell'ufficio inchieste. Che farà De Biase? L'accusa, a quanto pare, sosterrà le tesi di molte società terze interessate. Lazio, Cagliari e Palermo le squadre che temono di più questo intervento. Il Cagliari comunque ha buone chances che gli venga riconosciuta la prescrizione per il caso Perugia-Cagliari dell'84-85. Al Perugia forse verranno tolti i cinque punti di penalizzazione in C2. La Lazio invece ha accolto quasi con dispetto la possibilità che la sentenza slitti a giovedì. Molti avvocati devono ancora parlare, il processo va per le lunghe. Forse però, in questo spostamento di data, c'è qualche relazione con la partita Lazio-Napoli che si giocherà mercoledì sera all'Olimpico. Come si comporterebbero i tifosi se dovesse essere confermata la retrocessione in serie C?

24 agosto 1986[modifica | modifica sorgente]

Da la Repubblica:

E' sembrato quasi che il Salone dei cavalieri venisse giù. Bianco in viso, stravolto dalla rabbia, ha urlato nel microfono queste parole. "E allora, ditemi perché l'ufficio inchieste non ha indagato su quattro grandi società del nord. A me hanno riferito che in una registrazione telefonica fra Carbone e Cutrera, Carbone afferma che alcuni giocatori erano disposti a vendersi le partite". Nomi da far accapponare la pelle. Eccoli: Juventus, Torino, Milan, Inter. L'avvocato Bruno Catalanotti, focoso legale di Vinazzani, completamente stremato si è asciugato il viso guardando fisso De Biase che nel frattempo passeggiava avanti e indietro come un leone in gabbia. "E ora fate giustizia". Quell'uomo piccolo e rotondo, quasi cinquantenne, ex giudice penalista del Tribunale di Bologna, ha raccolto tutte le sue carte e si è gettato fuori dall'aula del mega processo. Fuori le urla di entusiasmo di quasi 300 tifosi della Lazio: sulle parole di questo avvocato passionale e "scorretto" come si conviene ad ogni buon penalista, passa la salvezza della squadra. Ma cosa è successo precisamente in questa giornata movimentatissima terza giornata di processo, dove le regole, le norme giuridiche, hanno lasciato la strada al gioco duro e pesante? Tutto sommato è semplice. Siamo quasi all'ultimo atto: nessuno mette la testa sul ceppo senza scalciare, tanto vale tentare il tutto per tutto. E allora giù accuse al tribunale del calcio, all'ufficio inchieste a tutto il sistema. Catalanotti, a sorpresa, ha letteralmente scippato il microfono all'avvocato Bellu, difensore del Cagliari. Era ormai metà pomeriggio. Ora infausta per gli avvocati. A quell'ora infatti i giudici sono stanchi, è difficile esser lucidi davanti a quel fiume di parole.

Catalonotti sembrava calmissimo. Ha cominciato stranamente dal fondo, chiedendo subito il proscioglimento di Vinazzani e, fatto già abbastanza clamoroso, l'annullamento di tutto il processo. Ricominciare daccapo insomma, dall'inchiesta preliminare e dalla disciplinare. Ha consegnato poi la propria memoria al professor Vigorita, quindi è tornato indietro. Sembrava che se ne dovesse tornare tranquillamente al suo posto, invece eccolo di nuovo davanti al microfono. "Sapete perché ho iniziato dal fondo - ha detto - perché ho deciso di non parlare". Menzogna di rara grandezza. Nessuno riusciva a fermarlo più, tanta e tale era la voglia di scaricare addosso alla Caf i nervi che teneva a freno da parecchi giorni. "E' una dolorosa scelta. Io mi trovo in una situazione di grave disagio e di profonda amarezza. Io qua dentro constato quasi quotidianamente la costante violazione delle norme più banali. La sentenza con cui si condanna Vinazzani è da annullare. Perché è illegale l'uso che si è fatto degli interrogatori di Carbone. Cosa dottor De Biase, non le piace il termine illegale? Antigiuridico, le va bene? Cavolo, macché me lo sono inventato io? Esiste nel nostro codice un divieto di pubblicazione che qui è stato sistematicamente violato. E siccome io non ho consegnato all'ufficio inchieste i verbali degli interrogatori di Vinazzani, hanno detto subito che avevamo paura. Carbone sul conto di Vinazzani ha dato tre versioni sempre diverse. Ogni volta più grave. Sapete perché ? Perché la sua carcerazione preventiva si protraeva sempre di più, e quello era un modo come un altro per venirne fuori. Qui dentro sono state violate tutte le regole del contraddittorio. Io non ho mai avuto la possibilità di avere un confronto diretto con Carbone. Non ho potuto difendere il mio assistito. Lei, De Biase, non ha voluto che il numero uno di questo processo entrasse qui dentro. E voi, respingendone la possibilità di un interrogatorio, avete commesso un'ingiustizia. Perché parlo così? Sarà una sensazione, eppure le sorti della Lazio e di Vinazzani, qui sono già segnate...".

A quel punto De Biase si è alzato stravolto. "Io me ne vado...". Il capo dell'ufficio inchieste ha fatto qualche passo, ma poi è tornato a sedersi, forse spinto dai consigli di Manin Carabba. Catalanotti si è lanciato allora in un brevissimo ritratto di Carbone. Come dire, adesso vi faccio vedere a chi state dando retta. "Carbone era uno dei boss del totonero, amico di Triglia, (altro boss, ndr). Carbone scommetteva cifre da cinquanta a cento milioni per partita. Ma di tutto questo, negli incartamenti non vedo niente". Questa più o meno la linea difensiva emersa. Carbone contattava Vinazzani per cercar di spillar soldi alla Lazio, con questi soldi poi avrebbe effettuato puntate. Si parla, per questo, di una scommessa da ottanta milioni su Lazio-Pescara. Grandi urla infine contro un giornale sportivo che avrebbe pubblicato registrazioni telefoniche "distorte e false". Dopo aver fatto riferimento alle quattro grandi squadre coinvolte nello scandalo del totonero Catalanotti ha lasciato l'aula. "Le società? Le milanesi e le torinesi: è in una telefonata che Carbone fa a Cutrera". Qualche improperio verso il portone che si era richiuso appena alle sue spalle. "Si sono offesi? Pensino a quanto mi offendo io quando scrivono la sentenza prima del dovuto. Qui la massima preoccupazione è il calendario, lo faranno sulla pelle di quelli che stanno qui dentro". L'intervento di Catalanotti ha gettato l'udienza nel caos. Una breve sospensione per far riflettere tutti quanti. Vigorita era turbatissimo. "Ma che dobbiamo fare? Dobbiamo scioglierci? Dobbiamo fare una riunione?" Chiedeva consiglio a tutti quelli che gli stavano vicino. E' possibile che sia veramente tutto invalido? Che sia necessario rifare tutto quanto? Che l'accusa abbia giocato in modo troppo scorretto? Una cosa è certa l'intervento della difesa di Vinazzani ha fortemente inasprito una spaccatura che si sta verificando all'interno della Caf. Si parlava già nel pomeriggio di un litigio all'ora di pranzo: ci sono alcuni giudici, che sono contrari forse ai sistemi, alla metodologia frettolosa e lacunosa del processo.

Cominciano a venir fuori probabilmente anche numerose pressioni. I tifosi vocianti nell'aula accanto, un comunicato della sezione provinciale del partito socialista a favore della Lazio, la minaccia di far saltare tutto quanto per portare il grande circo del totonero davanti ad un tribunale ordinario. La Lazio (i suoi difensori parleranno oggi) è uscita ieri per la prima volta allo scoperto con un intervento del professor Natalino Irti. Secondo il grande luminare di diritto privato c'è la possibilità di un ricorso al giudice ordinario. Si va avanti insomma fra tensioni enormi. La Lazio confida che "la Caf e l'ufficio inchieste vorranno scongiurare gravi tensioni e conflitti": è scritto nella stessa memoria difensiva. Siamo insomma ai momenti decisivi. Ieri anche Triestina, Palermo, Vicenza e Cagliari hanno giocato le loro ultime carte. Si spera in una miglior graduazione della pena, che la Caf non sia spietata. Il Palermo dice che non può pagare per un solo illecito (Palermo-Triestina, 0-0) che tra l'altro i suoi dirigenti hanno sventato in extremis; il Cagliari chiede che la "pastetta" con il Perugia, nella quale è coinvolto anche Ulivieri, venga considerata in prescrizione, la Triestina, vuole che le venga tolto il punto di penalizzazione in questa stagione, in modo da poter tentare la strada della promozione, facendo lo spareggio con l'Empoli. Il tutto mentre De Biase ha ormai esaurito le proprie energie. Dopo la valanga di accuse che gli sono state rovesciate addosso, il cugino di Vigorita ha dovuto accompagnarlo ieri fuori dall'aula per fargli prendere aria. Lo hanno subito avvicinato. Ma come presidente, altre squadre, grandi città del nord... "Non ne so nulla, no comment, lasciatemi stare...".

26 agosto 1986[modifica | modifica sorgente]

Da la Repubblica:

Due giudici in fuga. Via dal lusso di questo presidiatissimo albergo romano, via dall'incubo del toto nero, via dai fiumi di parole di questo processo senza fine. Al quinto giorno di estenuante battaglia legale due componenti della Caf, Elio Lemmo e Renato Squillante, hanno fatto le valigie. "Assenti giustificati" ufficialmente. Così Vigorita alle 9 del mattino ha fatto aprire il verbale di un'udienza agitatissima ed attesissima: era il giorno infatti di De Biase, della sua requisitoria, del suo ultimo e definitivo bilancio su questo intrigo colossale di calcio e combines. Cosa è sucesso? Perché quelle due poltrone vuote? Lemmo e Squillante non erano troppo lontani. Non sembrano in fin dei conti pressati da "urgenti problemi familiari". Dietro la loro fuga c'è forse l'acuirsi di quella spaccatura ormai enorme all'interno della Caf stessa. Due schieramenti precisi, falchi e colombe, il tutto mischiato a sottili gelosie personali. Elio Lemmo, professore universitario di diritto privato, a causa dell'improvvisa morte della madre era arrivato con qualche ora di ritardo alla inaugurazione del processo giovedì scorso. Per questo Vigorita lo aveva "retrocesso" al ruolo di supplente. Fatto evidentemente non troppo gradito. "Sono venuto qui, subito dopo un grave lutto familiare e mi hanno fatto fare la comparsa. Mi sento preso in giro", avrebbe dichiarato all'Ansa. Frase che il giudice si è poi affrettato a smentire. Inutile inasprire i rapporti con i colleghi. Tra l'altro Lemmo all'interno di questo processo avrebbe dovuto ricoprire un ruolo importantissimo. Era la persona infatti che aveva studiato il processo dal punto di vista del diritto. Forse era l'uomo che meglio avrebbe recepito (accolto addirittura?) le numerose istanze volte a far invalidare alcuni atti dell'istruttoria, se non tutto il processo. A metà pomeriggio circolava addirittura voce che altri giudici avrebbero potuto seguirli, abbandonare anch'essi il processo. Si facevano perfino i nomi.

Altri due supplenti: Camillo Castaldi e Carlo Serrao. A tarda sera comunque Lemmo e Squillante erano nuovamente all'Hilton. Non rientravano però in aula. Si cercava di ricucire i rapporti, forse inutilmente. Un'eccitazione incredibile. Troppa per un tribunale che gode finora del pieno appoggio della Figc, ma perfettamente consapevole che a breve scadenza dovrà comunque cambiare volti e regolamenti. Per il processo sono state ore difficili. Ci si aspettava che da un momento all'altro saltasse tutto. Un clima infuocato in aula. Corrado De Biase il bersaglio preferito di durissimi attacchi. Come ogni giorno. Stavolta la platea degli accusati non ha gradito una mossa "scorretta". De Biase nella propria requisitoria, durante la quale ha chiesto sostanzialmente la conferma delle sentenze di Milano, ha chiesto di considerare inammissibili i ricorsi di Udinese e Vicenza. Le due società insomma dovrebbero rassegnarsi alla serie B per il solo fatto che i loro ricorsi non erano formalmente a posto. Due semplici firme sbagliate, forse un errore di ingenuità. Il ricorso dell'Udinese è stato sottoscritto da Mazza, quello del Vicenza da Maraschin. Essendo i due presidenti squalificati dalla disciplinare, non potevano firmare, fin dalla sentenza di primo grado, alcun atto ufficiale della loro società. Durissime le reazioni degli avvocati. Vittorio Chiusano, vice presidente della Juventus, legale del Vicenza, "trentatrè anni di professione alle spalle" non ha gradito. Si è gettato fuori dall'aula. Ha aspettato che gli uomini dell'ufficio inchieste gli passassero davanti. Ha visto Laudi e Labate turbatissimi anche loro. "Queste cose le fanno gli avvocatini, cui io poi tolgo il saluto. Per trovare un nuovo legale rappresentante per firmare il ricorso si sarebbe dovuto convocare il consiglio d'amministrazione e non c'era tempo". Arrabbiatissimo anche Zanobini, difensore di Corsi, dell'Udinese e di Mazza. "Siamo alle solite: questa è una partita a poker in cui loro giocano con cinque carte e noi con tre. Non si fanno queste cose negli ultimi trenta secondi di requisitoria. Questa è un'eccezione che doveva essere sollevata il primo giorno d'udienza".

La gran parte della giornata è stata dedicata all'ufficio inchieste. Ricostruiti succintamente i punti chiave di questo scandalo. De Biase ha fatto più che altro il punto della questione di diritto: legittimità dell'inchiesta, validità del processo, impossibilità di applicare la prescrizione. Hanno colpito molto le parole di Porceddu. Una lunga disquisizione sulla responsabilità oggettiva e sulla sua validità. Perché gettarsi in una difesa così spassionata di questo principio? Forse i giudici non ne conoscono già i limiti di applicazione? Molto probabilmente, questo è il sospetto, qualcosa vacilla nell'anima dura della Caf. Al centro di questo problema la Lazio. Il professore Irti ieri ha offerto alla Caf una nuova linea da seguire. "Perché essere spietati verso la società? Quanto più il fatto illecito dell'atleta è vicino alla organizzazione societaria, tanto più la sanzione deve essere severa. Ma se il fatto illecito è commesso dall'atleta al di fuori della struttura sportiva (ad esempio, in rapporti d'amicizia o d'affari) allora la sanzione contro la società non potrà non essere mite e tenue. Questa è la strada dell'equilibrio e della saggezza". Un dotto intervento che pare abbia colpito molto l'entourage del processo. Porceddu ha affrontato il caso Ghini, ha parlato di Palermo e Triestina, Laudi ha parlato della Lazio, Labate ha affrontato il tema Udinese-Mazza-Corsi, Manin Carabba ha fatto alcuni rapidi flash sul Cagliari e su tutta la serie C. La requisitoria di Consolato Labate, sostituto procuratore presso la Corte d'Appello di Roma, prossimo, si dice, capo dell'ufficio inchiesta, ha avuto toni da aula giudiziaria. "Siamo stati considerati gli apologeti di un terrorismo giudiziario... questo calcio è alla deriva, personaggi inquinati ed inquinanti vengono tollerati". Anche una battuta per la Lazio. "La Lazio è una squadra simpatica, le auguro di tornare a vincere lo scudetto. Tra qualche tempo però". De Biase ha chiuso poi la grande parata degli inquisitori con un ultimo intervento secco e preciso. Cinque cartelle con le richieste di pena. Sostanzialmente si chiede la conferma di tutte le sentenze di Milano. Unica eccezione per la Carrarese: da retrocedere in C2, niente proscioglimento. Dopo le brevi repliche dei difensori (durissime quelle di Chiusano e Zanobini) il processo ha chiuso la sua fase più polemica e spettacolare. La Caf da oggi si riunirà in camera di consiglio, in un salone dell'Hilton. Ci vorranno tre giorni sembra. Per venerdì è attesa la sentenza definitiva dell'intrigo d'estate.

27 agosto 1986[modifica | modifica sorgente]

Estratto da la Repubblica:

E' costato 110 milioni il processo d'appello per la vicenda del totonero. Tanto la Federcalcio ha dovuto pagare per coprire le spese di "gestione" del processo. L'elenco dei costi è piuttosto lungo e articolato. Si va dall'affitto dei saloni dell'Hotel "Cavalieri Hilton" adibiti ad aule per il dibattimento e l'ascolto, più la sala stampa. Poi i supporti indispensabili: telefoni, attrezzature per le riprese televisive e per la trasmissione in circuito chiuso. Poi gli "optionals", come piante, transenne-guida, hostess che annotavano le presenze, etc. All'interno dell'albergo, a partire da lunedì scorso, sono stati presenti una ventina di vigilantes, che si sono aggiunti ai dodici dipendenti della Federcalcio. Oltre alla polizia privata, ovviamente erano presenti agenti della pubblica sicurezza in quantità: 250 uomini, fra poliziotti e carabinieri. Alcuni di essi erano vestiti in abiti borghesi, erano gli agenti della "scientifica". Una presenza costante è stata fornita anche dalla federazione medici sportivi, che per tutta la durata del processo ha assicurato la disponibilità di un suo iscritto. Fortunatamente nessun medico di guardia è dovuto intervenire. La Federcalcio, inoltre ha disposto un proprio servizio di ripresa di tutte le udienze del processo per la videoteca federale. Per l'occasione sono stati mobilitati anche numerosi fotografi.


In un altro articolo, a firma del giornalista Mario Sconcerti, è riportato:

E' diventata la grande partita d'agosto, durissima, molto sentita e con un pubblico smanioso e spesso volgare. Sull'orlo del precipizio tutti accusano tutti e di tutto. I giornali a seconda delle loro radici geografiche passano da un eccesso all'altro: c'è chi non viene mai folgorato dal bene di un dubbio sulla condotta dei giudici sportivi e chi invece li criminalizza con pervicacia, quasi i veri delinquenti, se ce ne sono, in questa storia non siano quelli che si vendevano le partite, ma chi è chiamato a giudicarli. E' soprattutto questa durezza contro la magistratura sportiva che onestamente sorprende. Per mesi tutti si sono riempiti la bocca con la necessità e l'urgenza di "ripulire" il calcio, tutti temevano processi e sentenze facili da parte di uno sport che stavolta aveva metastasi così espanse da dover forse addolcire il marcio per non venirne travolto. Adesso che le regole del diritto sportivo sono state invece rispettate, adesso che fatalmente l'opera di pulizia invocata comincia a causare i primi grandi rigetti, si sta scatenando un pesantissimo gioco al massacro in fondo al quale si chiede l'invalidamento di un processo che era andato esattamente come due mesi fa si sperava. Non ci si può meravigliare adesso delle storture della giustizia sportiva. E' sempre stato così: netta, vecchia, con un suo rigore da strapaese, condannata alle lacune dalla fretta, senza mezzi d'indagine, costretta a sintesi avventurose, ma sempre ossequiose del buon senso e soprattutto delle regole del mondo che è chiamata a difendere. Il calcio non può avere che questa giustizia e c'è da dire che raramente ha avuto troppo da lamentarsene. Sicuramente se i grandi avvocati che scandalo dopo scandalo si avvicendano nella lotta a De Biase o Vigorita, confrontano i procedimenti sportivi, gli angoli giuridici del calcio, i suoi passaggi obbligati, le sue procedure scostanti, con quanto avviene in una normale aula di tribunale, hanno tutto il diritto di meravigliarsi.

Ma il calcio ha il dovere di punire anche il niente se questo niente è troppo carico di sospetti da diventare un pericolo. Non dimentichiamo che sei anni fa Paolo Rossi fu punito con due anni di squalifica (scontata per intero) per qualcosa di molto meno grave rispetto alle colpe attuali di Vinazzani. E tutti i protagonisti di quel primo squallidissimo terremoto furono assolti alla grande dalla giustizia ordinaria. Non ci furono errori, solo punti di partenza diversi. Giordano, Manfredonia, Colombo, Albertosi e gli altri non erano chiaramente criminali, ma non per questo potevano continuare a giocare al pallone come se niente fosse successo. Lo stesso "niente" che il tribunale ordinario qualche mese dopo sentenziò. E' facile e dolcemente strumentale far rilevare adesso che la difesa non ha potuto avvalersi degli atti istruttori relativi a Carbone. Non c'è dubbio che tecnicamente sia una mancanza grave, ma nella sostanza non sarebbe cambiato molto visto che per almeno due illeciti c'è la confessione dello stesso giocatore laziale. E la giustizia sportiva ha il dovere e perfino il diritto di mirare alla sostanza, almeno quando questa è supportata da ampi dati di fatto. De Biase ed i suoi collaboratori hanno compiuto in due mesi un lavoro di ricerca e stesura colossale. Hanno viaggiato giorno e notte sulle loro carte con l'acqua alla gola perché il calcio pretendeva da loro grande fretta anche sapendo che tutto questo correre avrebbe fatalmente finito con l'esporli ad errori. Nonostante il loro andare abborracciato sono arrivati alle conclusioni più logiche. Non si venga a parlare di leggi vecchie e di giudici immobili davanti ad un mondo in grande evoluzione. Quando Vinazzani parlava con Carbone sapeva che ogni telefonata corrispondeva nei fatti ad un vero e proprio attentato alla sua società. Giusto o sbagliato che sia, questa è la legge del suo mondo che lui stesso ha accettato.

Se quell'attentato viene scoperto non ci si può più meravigliare che costi caro. Si dice ma che c'entra la Lazio, ma così dicendo si scivola con troppa leggerezza sui pericoli enormi che il calcio correrebbe una volta "liberato" dalla responsabilità oggettiva. Se si accetta la non responsabilità di una società sul privato di un suo giocatore, le società stesse non potranno più difendersi dai dieci, cento Vinazzani mandati invece ad arte in giro per il campionato a combinare partite. Il nodo è un altro, molto più spinoso e non riguarda un principio di cui il calcio ha sempre dimostrato di non poter fare a meno. Il nodo è che una sentenza sportiva giusta contro Vinazzani si trasforma in una condanna a morte ingiusta per la Lazio. Ma di questo non si può far carico a De Biase o Vigorita. Loro sono chiamati a giudicare con il "tariffario" di sempre. Non hanno grandi spazi di interpretazione, possono soprattutto applicare. Non è da loro che può venir fuori il piccolo colpo di mano giuridico capace di risolvere la situazione. Ma se i magistrati del calcio hanno il diritto di non vederlo e perfino culturalmente di non capirlo, non altrettanto può dire Franco Carraro. Lui è il Commissario speciale, lui è stato chiamato su quello scranno per attuare misure eccezionali che mettessero le briglie a tempi eccezionali. Bene, questi sono tempi eccezionali e lui ha tutto il potere che serve per metterci mano. Non esiste la libertà della magistratura in un regime di durissima dittatura come il calcio si è imposto. E la Caf non fa altro che applicare alla lettera le leggi del calcio. Se Carraro trova qualcosa di ingiusto, di scorretto o semplicemente di non opportuno in quanto sta per accadere, intervenga subito. Ne ha il potere e il diritto. Se non lo farà tutte le sentenze della Caf dovranno essere intese come firmate da lui.


Da La Stampa:

I giudici d'appello del tribunale dello sport (presidente Alfonso Vigorita) sono in camera di consiglio in una sulte dell'Hilton hotel di Roma per la sentenza sullo scandalo del football. Sentenza difficile che potrà essere pronta domani verso sera o, più probabilmente, venerdì mattina. La Disciplinare (composta da alti magistrati e luminari del diritto) deve decidere il futuro di nove squadre di serie A, B e C e di 51 tesserati già condannati in primo grado che hanno chiesto di rivedere la loro posizione. Per alcuni ci sono poche speranze: Udinese, Perugia, Palermo con presidenti, trainer e calciatori difficilmente potranno ottenere un verdetto più favorevole. Per altre situazioni restano soltanto grossi punti interrogativi. Per la Lazio, per esempio, che quanto a responsabilità non ci piove ma che è diventato un caso di coscienza perché il nuovo presidente Calleri ha detto chiaro e tondo: se il club finisce in serie C, lascio tutto. Significherebbe cancellare la squadra dalla cartina geografica del calcio. I tifosi hanno seguito il processo con lo stesso entusiasmo con cui vanno allo stadio. Proprio per questo sono state vivaci le polemiche che hanno accompagnato le udienze. Gli scontri tra l'Ufficio Inchieste della Federcalclo di Corrado De Biase e gli avvocati delle società chiamate in causa nelle vicende del calcio-scommesse sono stati quotidiani. E qualche volta, violenti. Hanno litigato perché questi volevano e quelli non volevano sentire la deposizione di Armandino Carbone, superteste e regista del calcio scommesse. Hanno litigato perché l'avvocato Catalanotti ha tirato una sassata accusando gli inquirenti di non aver indagato sugli illeciti (presunti e non veri) di quattro squadre del nord: Torino, Juventus, Milan e Inter. Hanno litigato quando gli 007 hanno annunciato di considerare inammissibili, e quindi come se non fossero mai stati presentati, i ricorsi di Udinese e Lanerossi Vicenza.


Vai alla prima parte della scheda

Vai alla terza parte della scheda



Articoli correlati:

Le sentenze del Calcioscommesse 1986



Vai alla prima parte della scheda Vai alla terza parte della scheda Torna alla stagione Torna ad inizio pagina