Domenica 22 giugno 1969 - Roma, stadio Olimpico - Lazio-Reggiana 1-1

Da LazioWiki.

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22 giugno 1969 - Campionato di Serie B 1968/69 - XXXVIII giornata

LAZIO: Di Vincenzo, Zanetti, Facco, Governato, Soldo, Marchesi, Morrone (77' Rinero), Massa, Mazzola (II), Ghio, Cucchi. A disp. Fioravanti. All. Lorenzo.

REGGIANA: Boranga, Manera, Bertini, Giorgi, Grevi, Picella, Fanello, Ragonesi, Toffanin (60' Vignando), Pienti, Passalacqua. A disp. Bastiani. All. Bizzotto.

Arbitro: Sig. Francescon di Padova.

Marcatori: 43' Massa, 49' Pienti.

Note: giornata torrida, terreno in ottime condizioni. Ammonito Bertini. Calci d'angolo: 9-7 a favore della Lazio.

Spettatori: 60.000 per un incasso di £.24.330.900.


Foto di gruppo prima della gara: Ghio, Giambartolomei (dir.), Fioravanti (seminascosto), Lenzini (pres.), Governato, Rinero, Ziaco (med. soc.), Facco, Di Vincenzo, Cucchi, Lorenzo (all.), Lovati (vice all.), Trippanera (mass.); Zanetti, Soldo (seminascosto), Marchesi, Mazzola, Morrone, Massa
Un'altra foto dei giocatori e dei tecnici
La formazione
Una terza foto della formazione prima del fischio d'inizio
La formazione
Le due squadre al centro del campo
Ghio, il presidente Lenzini, il capitano Zanetti e Soldo prima del fischio d'inizio (gent. conc. Lazioclub Milano e Carlo Soldo)
La terna arbitrale e i due capitani
Lo scambio dei saluti
Elio Rinero lancia un mazzo di fiori alla folla
Un gruppo di tifosi festanti
Soldo, Governato e Marchesi al termine del primo tempo(gent. conc. Lazioclub Milano e Carlo Soldo)
Massa e Mazzola al termine del primo tempo
Un tentativo di Ferruccio Mazzola
L'invasione di campo da parte dei tifosi a fine partita. In basso, un noto collaboratore di LazioWiki sfila i calzoncini a capitan Zanetti
La prima pagina del Corriere dello Sport
Dal Corriere dello Sport, l'entusiasmo del presidente Lenzini
Dal Corriere dello Sport, il racconto della festa dei tifosi

In un bel pomeriggio d'inizio estate, la Lazio si congeda dai suoi tifosi festeggiando la promozione nella massima serie. Prima della partita si assiste a un'esibizione dei pulcini biancocelesti, quindi sono i tifosi ad essere protagonisti. In Tribuna Tevere una banda musicale posizionata dietro il grande striscione del Club Cerveteri esegue ogni tipo di marcetta; in Curva Sud un'improvvisata orchestrina con trombe e grancassa sollecita lo sventolio di centinaia di bandiere. Entra poi in campo il presidente Lenzini seguito dai calciatori che regalano ciascuno un mazzo di fiori al pubblico dello stadio Olimpico.

La Reggiana scende in campo con la speranza di agganciare quel terzo posto che vale la promozione, la Lazio vuole onorare l'impegno con la massima determinazione. La squadra di Lorenzo, che deve rinunciare allo squalificato Fortunato, parte così molto concentrata poiché gli avversari mostrano subito la voglia di chi insegue un grande sogno. Partita equilibrata nei primi 25 minuti, ma le occasioni importanti si verificano solo nella seconda parte della prima frazione di gioco. Al 26' triangolazione Massa-Ghio-Massa che impegna severamente Boranga da pochi metri. Ancora un tentativo di Ghio nei minuti seguenti e poi gli emiliani si fanno sotto minacciosi prima con Passalacqua (grande risposta di Di Vincenzo) e poi con Pienti che sfiora la traversa.

A due minuti dal termine Lazio in vantaggio. Governato serve Morrone che entra in area; il pallone finisce tra i piedi di Massa che di sinistro fulmina Boranga. Alla ripresa del gioco continuano le emozioni. Ghio colpisce l'esterno della rete, Pienti risponde subito impegnando il portiere biancoceleste.

Al 49' gli emiliani pareggiano. Traversone da sinistra di Giorgi, correzione di testa di Fanello e Pienti, sempre di testa, mette in rete. Ospiti ringalluzziti nei minuti che seguono, ma la Lazio non vuole proprio rovinare la festa e comincia a macinare azioni su azioni. Fioccano le occasioni da rete: Morrone (alto), Mazzola (II) (fuori di un palmo), Massa (recupero disperato di Grevi), Governato (deviazione in angolo), Mazzola (II) (parato). Nei palpitanti minuti finali occasionissima per Mazzola (II) con pallone che esce non distante dal palo e grande parata di Di Vincenzo sul bravissimo Pienti.

Giunge così il triplice fischio di Francescon e i tifosi possono dare sfogo all'esultanza più sfrenata. Il prato dell'Olimpico è invaso da migliaia di persone che portano in trionfo i propri beniamini e si contendono magliette e calzoncini come reliquie da conservare. Presto Roma si anima con caroselli di auto che partono dall'affollatissima Piazza del Popolo. A sera in tanti si ritroveranno all'EUR dove al ristorante "Picar" la squadra festeggia compatta la Promozione.

Finisce così una stagione trionfale: la Lazio si aggiudica il Campionato e festeggia con Brescia e Bari le altre neopromosse. Lasciano invece la serie cadetta Spal, Lecco e Padova che retrocedono in C. Ecco la classifica finale: Lazio (p.50), Brescia (p.48), Bari (p.47), Reggiana (p.46), Reggina (p.44), Genoa e Como (p.41), Perugia e Foggia (p.38), Ternana (p.36), Mantova, Monza, Livorno, Catanzaro, Catania (p.35), Cesena (p.34), Modena (p.32), Spal (p.31), Lecco (p.30), Padova (p.29). Questo lo score della squadra: 17 vittorie, 16 pareggi, 5 sconfitte (tutte in trasferta), 55 reti all'attivo (migliore attacco del campionato), 27 al passivo (quinta miglior difesa). Ventidue giocatori utilizzati (Marchesi l'unico sempre presente), 12 calciatori a segno (miglior realizzatore Ghio con 10 reti seguito a quota otto da Mazzola (II) e Fortunato).

Ottimo e costante è stato il rendimento della squadra che ha sempre navigato nei piani alti della classifica, conoscendo solo un paio di giornate difficili (Terni e Genova). Grande è stato il lavoro di Lorenzo, assistito da Lovati, poiché la Lazio ha espresso un gioco spumeggiante e davvero all'avanguardia, che ha strappato consensi unanimi anche alla critica più esigente. Schemi brillanti, partecipazione corale alle azioni, difensori goleador (Facco e Soldo), attaccanti apripista per gli inserimenti da dietro degli agili e tecnici trequartisti, grande abilità (e astuzia) sui calci da fermo. Una stagione formidabile, un'annata da incorniciare: una buona base di partenza per affrontare la serie A.


► Il Corriere dello Sport titola: “LAZIO tripudio – Reggiana bloccata (1-1), raggiunta quota 50” e racconta, oltre alla cronaca, le emozioni del pubblico nell'appassionato articolo di Mario Pennacchia.

Alla sua romanzesca, epica storia che è giunta alla soglia del settantesimo anniversario, la Lazio ha aggiunto ieri ufficialmente un’altra data degna di essere tramandata. L’ha vissuta e scolpita – questa data – con un eempio di dedizione alla bandiera e uno scrupoloso atto di onestà sportiva che, se non sono stati i primi, neppure resteranno sicuramente gli ultimi.

La Reggiana – vitale, ostinata, irriducibile – ha speso tutte le sue superstiti energie e gli strenui palpiti del suo carattere per rovesciare “in extremis” le posizioni e agganciarsi alla navicella spaziale pronta a librarsi verso l’orbita della Serie A. Ebbene, la Lazio non ha vacillato sotto il pur insinuante richiamo della accondiscendenza, ma ha prima reso omaggio al suo dovere e poi sfrenata libertà alla sua gioia.

Se la squadra è stata impeccabile per questo suo senso di responsabilità, il suo pubblico ne ha condiviso lo spirito antico con una concordanza di sensibilità che pur esprimendosi attraverso infiniti episodi – quale più spassoso, quale più originale, quale più patetico – ha toccato i vertici in due momenti che, possiamo dire, hanno aperto e sigillato la delirante domenica.

Il primo di questi momenti si svolse nella nostra redazione, sabato pomeriggio, quando una delegazione di sostenitori della Lazio – del Gruppo dipendenti dell’ATAC – fece visita al nostro direttore Antonio Ghirelli e gli donò un enorme fascio di rose con una pergamena sulla quale il tifoso Babbanini aveva scritto in romanesco  semplici, commosse strofe, per significare non solo e non tanto la gratitudine per il modesto contributo offerto dal nostro giornale alla rinascita biancazzurra, quanto il desiderio degli stessi laziali di averci accanto in questa loro dilagante e trascinante esultanza. Un gesto che non chiede commenti, perché sembra, anzi è l’ultima, la più fresca gemma germogliata sul saldo, antico tronco di un club che per squisita signorilità si è sempre distinto. Del suo popolo di tifosi, dunque, tanta spontaneità neanche chiedeva conferma e invece la conferma è venuta, ieri, subito dopo la partita.

Mentre migliaia di appassionati spettatori erano piombati in campo, folleggiando nello smarrimento più spensierato e persino feroce, altre migliaia tenevano l’orecchio ai transitor. Aspettavano il risultato di Monza-Bari. E quando apprendevano che il Bari, pareggiando, era pure promosso, tutti hanno avvertito e manifestato nuova e più completa allegria.

Certo, i reggiani potrebbero soffrire per questo atteggiamento, ma la verità va detta tutta, perché non antipatia verso di loro ha animato i laziali, quanto la consapevolezza che la squadra biancazzurra, assolvendo il suo compito fino all’ultimo, non s’era attribuita la responsabilità di far pesare il proprio intervento nella lotta tra granata e biancorossi. In sostanza, il pareggio è stato il risultato ideale che l’Olimpico di ieri potesse produrre, appunto permettendo così alla capolista biancazzura di non portare con sé, in Serie A, il piccolo rimorso di una interferenza decisiva.

Naturalmente, tra quel primo episodio e l’ultimo del festival della Lazio, si è inserita la partita e, con la partita, lo spettacolo di colore, di calore, di musica e di spari rappresentato dalla folla. Prima della gara, quasi per riallacciarsi a quella sua delicata tradizione che culminò con il leggendario pareggio dei “pulcini” allo stadio di Vienna, la Lazio ha mandato in campo i marmocchi delle sue ultimissime leve. Una frenesia di ragazzi, prima del finimondo.

Le due squadre sono apparse affiancate sotto la “gabbia” che dagli spogliatoi immette sul campo. Ma qui, con estrema galanteria, la Reggiana si fermava, mentre in campo si portavano il presidente Umberto Lenzini e i suoi giocatori, ognuno con un fascio di fiori. Al loro saluto, rispondevano un agitarsi di bandiere per tutto lo stadio e una sarabanda di lampi e di spari assordanti. Sulla destra della curva sud, ci scappava una sparatoria che pareva senza fine; sulla curva nord un colpo di tuono lasciava l’impronta in un pezzo di marmo del bordo-pista scagliato a distanza di metri. Sulla Tevere, dietro lo striscione del “Club biancazzurro di Cerveteri”, la banda musicale attaccava la sua marcia e un altro gruppo di tifosi con piatti, trombe e grancassa si scatenava sul parterre della curva nord.

Mentre Lenzini andava al centro del campo e agitava commosso le braccia verso gli spettatori, i giocatori si distribuivano per ogni lato a gettare fiori ai loro tifosi. Così la Lazio rientrava, onorando il Settantennio, nella riconquistata Serie A e nobilitando la sua stagione con il primato assoluto tra i cadetti.

Poi la partita. Nell’intervallo, come già contro il Lecco, i tifosi disegnavano con le bandiere, nella curva sud, una gigantesca lettera “A”. Poi, mentre il secondo tempo si consumava, a frotte sempre più fitte si assiepavano intorno al fossato. Ad un quarto d’ora dalla fine, come in un sol balzo, migliaia di tifosi saltavano ai margini della pista atletica. Carabinieri e agenti scattavano per creare un argine. Ma ci riuscivano per altri dieci minuti. Quando ormai il gioco stava per concludersi, il cerchio di popolo e di allegri si stringeva fremente intorno al rettangolo senza un solo metro di interruzione. Francescon indugiava a fischiare la fine, perché con la coda dell’occhio cercava invano di scoprire un varco in quella muraglia. E quando finalmente si decideva a chiudere, agli occhi si presentava un’alluvione umana.

Tutti i giocatori venivano catturati e “liberati” di maglie e pantaloncini, compresi alcuni della stessa Reggiana. Ed era curioso notare che i carabinieri sotto la curva nord e gli agenti sotto la curva sud riempivano le porte e vi si schieravano densamente intorno, a protezione dei legni e delle reti. Purtroppo lo “slancio” dei tifosi giustificava queste prudenti misure, perché qualche giocatore doveva essere soccorso e portato a braccia negli spogliatoi.

La baldoria continuava fino alla uscita della squadra dallo stadio, perché là andavano ad aspettarle le schiere dei tifosi, per scortarla fino al primo atto dei festeggiamenti. Auto in carovana, con bandiere al vento, cominciavano a scorrere strombazzando nelle vene della città. E diventava un simbolo eccentrico di legame e di richiamo all’alba del secolo in cui la Lazio nacque quella carrozzella piena di bandiere biancazzurre, con il cavallo decorato come per una gran parata.

In tutto questo folclore e in tutto questo frastuono, ora bisogna proprio decidersi a ricordarlo, c’è stata anche l’ultima partita del campionato. Lorenzo era stato costretto a modificare l’inquadratura in seguito alla squalifica del centravanti Fortunato e questa indisponibilità ha chiaramente alterato la consueta ed apprezzata armonia del gioco biancazzurro. Pur col numero dieci, Ghio in realtà ha dovuto svolgere il compito del centrattacco, ma con l’imbarazzo evidente di non vedersi mai affiancato da un compagno sulla sua stessa linea. Mazzola, numero nove, Morrone e Massa, infatti, sopraggiungevano ogni volta di rincalzo, sempre con un tempo di ritardo rispetto al momento di intervento del solitario uomo di punta.

Per compensare questo previsto squilibrio, l’intelligente tecnico laziale ha comandato a Governato una posizione e un dinamismo prevalentemente votati ad accentuare la spinta offensiva ed infatti l’indomito “professore” ha prodigato tutto il suo repertorio, oltre alla sua generosa vitalità, spingendosi spesso in linea e persino oltre i compagni più avanzati. Si capisce, da questa disposizione, che il gioco della Lazio nasceva, partiva, si sviluppava da posizioni molto arretrate e quindi offriva alla agguerrita Reggiana il modo e il tempo di abbreviare gli spazi e quindi recuperare con determinante tempestività.

Inizialmente gli emiliani si disponevano in retroguardia con una scelta di marcature evidentemente improvvisata e provvisoria, perché dopo appena tre minuti Manera lasciava Massa alla custodia di Picella per trasferirsi su Morrone; a sua volta Bertini si spostava su Ghio e Giorgi andava ad occuparsi di Mazzola, fermo restando Grevi nella posizione di battitore. Nell’altro campo, invece, tutto corrispondeva alle previsioni e quindi niente mutava: terzini sulle ali, Soldo su Toffanin e infine Governato e Cucchi fronteggiati da Pienti e Ragonesi. Solo al quarto d’ora della ripresa si sarebbero verificate altre varianti, perché il numero 13 Vignando sarebbe stato inserito nella zona dello stesso Governato, così spingendo Pienti sotto la guardia di Soldo.

La Lazio dichiarava subito le sue intenzioni e scandiva il ritmo del gioco con un’offensiva non coordinata ed incisiva ma indubbiamente convinta e continua, procurandosi calci di punizione e due angoli non sfruttati spesso per imprecisione, a volte per provvidenziali salvataggi avversari. La Reggiana arrivava a pareggiare gli angoli, ne subiva altri tre e al 26’ si trovava sull’orlo del precipizio: splendida azione volante Massa-Ghio-Massa e conclusione ravvicinata dello scugnizzo deviata da un passo di Boranga.

Dopo un’alternativa di tiri Ghio-Passalacqua, con i portieri entrambi attentissimi, replica del cannoniere laziale e nuova bloccata di Boranga. La Lazio aumentava il conto dei corners, ma i granata costringevano due volte a difficile impegno Di Vincenzo, prima con Passalacqua e poi su punizione. Gli ospiti sembravano a loro completo agio e Pienti tentava due volte, costringendo in tuffo Di Vincenzo e spolverando la traversa.

La Reggiana credeva di poter legittimare superiori ambizioni, quando la Lazio le scagliava una tegola fra capo e collo. Palla da Soldo a Ghio, quindi a Governato che incuneava Morrone fra tre avversari. Sembrava tutto finito, quando il pallone schizzava più avanti, in piena area. Massa guizzava come un furetto e di sinistro ipnotizzava Boranga, crocifiggendolo. Pallottola nell’angolino basso, alla destra del portiere. Proprio in chiusura di tempo lo stesso Massa sciupava il raddoppio, tentando il gol da posizione angolata anziché toccare a Ghio smarcatosi al centro.

Ghio (esterno rete) e Pienti (bloccata di Di Vincenzo) aprivano il fuoco nella ripresa. La Reggiana non era rassegnata e lo dimostrava, pareggiando. Traversone da sinistra di Giorgi. All’altezza del paolo sinistro, Fanello di testa correggeva verso l’altro palo e qui, con perfetto stacco, Pienti chiudeva l’aereo discorso in rete. La Reggiana si eccitava, restava sulla stessa quota per un altro gruzzolo di minuti, ma poi declinava a chiudersi in fortezza, ovviamente sotto la spinta di una Lazio fattasi insofferente. Morrone (alto), Mazzola (ad un palmo dal palo), Massa (disperata ribattuta di Grevi), Governato (deviazione in angolo), Mazzola (parato) ci provavano a ripetizione. Intanto il pubblico rompeva gli argini e circondava il rettangolo, disegnando la più pittoresca e festosa cornice.

Ai biancazzurri l’occasionissima capitava al 41’, ma Mazzolino, dopo uno spunto irresistibile, anziché lasciare il tiro a Governato libero sulla destra, forse calamitato dall’accenno d’uscita di Boranga proprio da quella parte, concludeva direttamente e precipitosamente, sbagliando mira oltre il palo opposto. Di Vincenzo, bravissimo, attanagliava in tuffo la reazione immediata e rabbiosa di Pienti e così liberava Mazzola anche di un possibile rimorso.

Già fra gli artefici della precedente promozione della Lazio in A, Nello Governato ha ribadito ieri con un esempio di inesauribile e pregevole impegno il suo importante contributo alle sorti biancazzurre. È stato, nella giornata, il migliore in campo. Ma anche bravo è stato Di Vincenzo, così come hanno poco da farsi rimproverare, sotto il profilo dell’applicazione, anche Marchesi, Cucchi e Ghio. Non sempre al loro massimo livello Mazzola, Soldo e Morrone, mentre Massa ha lampeggiato difettando in continuità e qualche sbandamento pericoloso hanno tradito Zanetti e Facco.

In campo reggiano, certamente i più in gamba sono stati Pienti e l’attento Boranga su una piattaforma di corale generosità prodigata da tutta la squadra, purtroppo senza fortuna.

Francescon ha diretto con un tono di sufficienza che ha finito per indispettire i laziali: definitiva prova, questa, della serietà e della lealtà con cui i biancazzurri hanno legittimato fino all’ultimo il loro primato e, con il primato e la promozione, quegli inconfondibili colori che col secolo nacquero e col secolo avanzano.