Domenica 2 aprile 1989 - Verona, stadio Marc'Antonio Bentegodi - Verona-Lazio 0-0

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2 aprile 1989 - 2406. Campionato Italiano di calcio Divisione Nazionale Serie A 1988/89 - XXIII giornata - Inizio ore

VERONA: Cervone, Berthold, Volpecina, Iachini, Pioli, Soldà, Bruni, Troglio, Galderisi, Bortolazzi, Pacione. A disp. Zuccher, Terracciano, Marangon II, Bonetti I, F.Gasparini. All. Bagnoli.

LAZIO: Martina, Marino, Beruatto, Pin (60' Dezotti), Gregucci, Piscedda, Di Canio, Icardi, Muro, A.Greco, Sosa (89' Rizzolo). A disp. Fiori, Delucca, Sclosa. All. Materazzi.

Arbitro: Frigerio (Milano).

Note:

Spettatori: 8.821, incasso di 135.590.000 lire abbonati 12.721, quota partita di 224.758.000 lire.

Una fase della gara
Una fase della gara
Una fase della gara
Una fase della gara

Nel calcio non c'è la vittoria ai punti, né il k.o tecnico, per cui l'incontro dominato dal Verona sul piano del gioco può finire anche 0-0 con buona pace di tutti. E' un po' ingiusto, ma nemmeno troppo. Il Verona ha peccato di ripetitività, cercando di sfondare al centro e non rassegnandosi all'evidente inferiorità di Pacione rispetto a Gregucci sulle palle alte. Poteva entrare la «bomba» di Bortolazzi, stampata sulla traversa (47'), ma per il resto è stato Martina, autore di interventi decisivi, a bloccare gli spunti avversari. Ma il portiere è in campo per parare. La Lazio s'è schierata a testuggine, unica tattica che Materazzi concepisca, e che i giocatori romani applicano con precisione e disciplina. Ha ottenuto quel punto che voleva e. questa volta, dopo tante proteste, deve ringraziare Frigerio, arbitro tremebondo e più che mediocre, che ha tollerato tutto, dagli interventi violenti alle più fantasiose perdite di tempo. Il gran numero di ammonizioni testimonia della mancanza di autorevolezza da parte dell'arbitro. Il livello dello spettacolo cala, ma se ne rende conto il presidente federale, non il vertice né la base arbitrale: qualcuno forse pensa addirittura che meno pubblico sulle gradinate voglia dire anche minori fischi e insulti. Bagnoli, orfano di Mascetti, e non ancora, semmai lo sarà, in sintonia con il nuovo direttore sportivo Franco Landri, mantiene il suo tono un po' dimesso, un po' scocciato, un po' pessimista. Eppure ha anche lui meriti e demeriti. Sicuramente è riuscito con calma e intelligenza a riportare il Verona a un buon livello di gioco collettivo. Dalla zona totale d'inizio campionato, alla marcatura a uomo quando sono venuti a mancare tanti titolari, all'attuale zona corretta, in campo è sempre andata una formazione con limiti e difetti, ma con idee chiare. Pochi allenatori in Italia sarebbero capaci di reggere così saldamente in mano la guida di un club. Poi, però, c'è una certa mancanza di elasticità, l'incapacità di intervenire durante il gioco, suggerire cambiamenti di schemi, provare qualche sostituzione. Troppo prevedibile questo Verona, che è capace di far pressing per tre quarti della partita, ma non di avere un guizzo di fantasia. Certo, manca Caniggia, campione vero, e uomo in più rispetto a giocatori nostrani volenterosi, ma sicuramente non toccati dal soffio divino della classe. Pacione, legnoso più del consueto, s'è visto sovrastato da Gregucci, ha lottato ma non è mai riuscito ad arrivare alla conclusione pericolosa: un paio di zuccate proprio allo scadere del primo tempo le ha trovate, ma erano messaggi più che «telefonati». Galderisi gioca ormai da mezza punta e può funzionare soltanto come uomo di raccordo, seppur con minor classe di Troglio. A centrocampo, ciascuno ha fatto la sua parte, e la spinta di Berthold e Volpecina è stata continua. Eppure tutto questo non basta, se davanti c'è una squadra bloccata, solida, probabilmente un poco più motivata. Provare ad aggirare la difesa avversaria, provare a entrare in area dalle fasce, visto che i traversoni non servivano a nulla: questo doveva comandare Bagnoli. Materazzi, in nome della salvezza, ha sacrificato tutto. Ha tenuto arretrati tanto Pin che Muro, bravi in interdizione ma sicuramente più votati alla costruzione del gioco. Ha retrocesso Di Canio a fare il terzino su Volpecina arrembante. Ha rinunciato ancora una volta a Rizzolo, quando in una botta di coraggio ha tolto Pin per avere una punta in più e approfittare del prevedibile calo fisico del Verona: dentro Dezotti, volenteroso ma del tutto inutile. Per Rizzolo due soli minuti, giusto per perdere un po' di tempo, e il ragazzo appena entrato è riuscito a conquistare palla (89'), saltare Pioli e concludere fuori di un soffio a fil di palo. Il caso di Rizzolo è emblematico quando si parla di giocatori italiani sacrificati a colleghi stranieri di scarso talento. Un Leo Junior insegna giorno per giorno a chi gli sta vicino, un Dezotti toglie soltanto spazio. Per la Lazio la strada della salvezza è ancora lunga, soprattutto perché è difficile, se non impossibile, trasformare questo pacchetto difensivo in squadra d'attacco.

Fonte: La Stampa