Sabato 14 marzo 1998 - Genova, stadio Luigi Ferraris - Sampdoria-Lazio 0-4

Da LazioWiki.

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14 marzo 1998 - 2.781 - Campionato di Serie A 1997/98 - XXV giornata

SAMPDORIA: Ferron, Balleri, Hugo (64' Vergassola), Mihajlovic, Mannini, Laigle, Boghossian, Franceschetti (77' Pesaresi), Veron (73' Salsano), Montella, Signori. A disposizione: Ambrosio, Castellini, Scarchilli, Omam-Biyik. Allenatore: Boskov.

LAZIO: Marchegiani, Pancaro (67' Grandoni), Nesta (56' G.Lopez), Negro, Favalli, Gottardi, Fuser, Jugovic, Nedved, R.Mancini (78' Marcolin), Boksic. A disposizione: Ballotta, Rambaudi, Casiraghi. Allenatore: Eriksson.

Arbitro: Sig. Messina (Bergamo).

Marcatori: 1' Jugovic, 53' Nedved, 65' Fuser, 80' Fuser.

Note: espulso Balleri al 24' per un pugno dato a Nedved. Ammoniti Nesta e Pancaro per gioco falloso, Marchegiani per comportamento non regolamentare. Luca Marchegiani ha parato un calcio di rigore battuto da Montella. Calci d'angolo: 4-3.

Spettatori: 27 mila circa dei quali 7.165 paganti per un incasso di Lire 302.380.000 ed abbonati 19.146 per una quota di Lire 424.676.660.

Il tocco di Vladimir Jugovic, al primo minuto di gioco...
... vale l'immediato vantaggio biancoceleste
Vladimir Jugovic festeggiato dai compagni dopo la marcatura
Pavel Nedved scocca il tiro del raddoppio
L'esultanza del centrocampista ceco
La rete dello 0-3 ad opera di Diego Fuser
L'esultanza del centrocampista biancoceleste
Il calcio di rigore parato da Luca Marchegiani
La rete del definitivo 0-4 sempre di Diego Fuser
Un altro fotogramma della quarta rete laziale
Ritorno al passato per Roberto Mancini che saluta la curva doriana
Giuseppe Signori in maglia blucerchiata
Il biglietto della gara

L'uragano Lazio soffia nel secondo tempo e sradica quel che rimane di una Sampdoria sbagliata: sbagliata da Boskov, che pensa di marcare Mancini, arretrato sulla linea dei centrocampisti, con Mannini e soprattutto che pensava essere possibile la coesistenza in attacco tra Montella e Signori; sbagliata dall'ineffabile Enrico Mantovani, il presidente che dopo una campagna acquisti (e soprattutto cessioni) assai poco equilibrata, ha scelto la settimana tra la quarta sconfitta consecutiva (a San Siro con il Milan) e la quinta (ieri) per incontrare Luciano Spalletti, tecnico dell'Empoli, ufficializzandone di fatto l'ingaggio per la prossima stagione. In un organismo di psicolabilità molto sviluppata, come quello doriano, questi sono episodi che non possono transitare senza lasciare effetti. Infatti, una squadra già sulle ginocchia sul piano fisico (eppure si diceva che Boskov, una volta preso il posto di Cesar Luis Menotti, aveva rifatto la preparazione atletica) non può anche permettersi di giocare in inferiorità numerica per 65 minuti (l'imbelle Balleri), essendo sotto di un gol fin dal primo minuto (Jugovic, di destro in area, su assist dal fondo di Gottardi). La Lazio è stata convincente nella ripresa: essenziale e chirurgica. Il contrario di ciò che era sembrata nel primo tempo. Eriksson temeva la Sampdoria più di quanto fosse lecito. Questa preoccupazione si desumeva dal 4-5-1 schierato in campo dal tecnico svedese - Boksic unica punta sostenuta dagli inserimenti di Fuser, Jugovic e Nedved - che, pur determinandosi spazi nei quali sarebbe stato facile pedalare in discesa, veniva frenato da stranissimi pudori.

Dire che lo 0-1 del primo tempo fosse fittizio e ingannevole non è certo azzardato: sia perché la fine è nota; sia perché la Samp ha esercitato una qualche pressione solo al 9' con Montella (anticipo su Marchegiani, salvataggio di Favalli). Il possesso di palla, poi, era sterile e confuso. Probabilmente la Sampdoria avrebbe perso anche con Balleri in campo. Diversamente, forse, sarebbe andata con Boghossian e Franceschetti in condizione e un Veron appena decente. Mihajlovic, impacciato e prevedibile nel ruolo determinante di libero, ha provocato il dispetto dell'intera tifoseria blucerchiata con punizioni e calci d'angolo carichi di velleità. Ma non è stata certo la cosa più grave. Riprovevole, dal punto di vista comportamentale, è stata la manata, proprio sotto gli occhi del quarto uomo, di Balleri a Nedved, dopo che quest'ultimo era rotolato a terra ringhiando insieme a Veron. L'arbitro Messina, opportunamente, avrebbe lasciato correre (il contatto tra i due giocatori era infatti in via di estinzione) se sul ceko non fosse piombato Balleri, letteralmente fuori di senno. Boskov, a fine partita, ha chiesto alla società di provvedere in modo esemplare. Mantovani non dovrebbe sorvolare. Da quel momento in avanti i doriani hanno cercato, prima che il riequilibro del risultato, il riequilibrio delle forze in campo, sperando nei falli di Nesta o di Pancaro che, già ammoniti, avrebbero dovuto finire fuori. Messina è stato bravo a non farsi turlupinare. Ma ad inizio di ripresa, quando ha pescato Nesta in netto ritardo su Montella, non ha provveduto al secondo cartellino giallo per il difensore laziale. Si era ancora sullo 0-1 e, in pura teoria, la partita sarebbe stata recuperabile dalla Sampdoria.

In precedenza (al 30' del primo tempo) sospetto pure un tocco di mano in area di Gottardi, in difficoltà nel domare di petto una rovesciata di Veron. Se tutto ciò non depone a favore del completo recupero di Messina a un mese e mezzo dal disastroso Juve-Roma, sinceramente poco entra nel merito del risultato. Perché la Lazio, accelerando il minimo come nei primi venti minuti della ripresa, ha segnato con Pancaro (gol annullato al 4'), raddoppiato con Nedved all'8' (contropiede quattro contro tre: Gottardi-Boksic-Mancini-Nedved) e triplicato con Fuser (punizione defilata: squagliata la barriera doriana). Straordinario, il centrocampista, nella ripartenza palla al piede per la quarta rete. Avvilente Montella quando, sullo 0-3, ruba il tiro dal dischetto a Signori (designato da Boskov), a seguito del rigore generosamente elargito da Messina. E' a quel punto che lo stadio esplode in una pesantissima contestazione ai propri giocatori. Con la stessa ferocia, la Lazio si avventa sulla Juventus: quattordicesimo risultato utile consecutivo in campionato, otto punti recuperati ai bianconeri di Lippi dal 6 dicembre a oggi. Nient'altro da aggiungere.


Solo un uomo passa alla cassa. Come nella vita: a chi tutto e a chi nulla. Il destino si è voltato da una parte, quella di Roberto Mancini, e lo ha baciato in fronte. Nessuna benevolenza per Giuseppe Signori, nessuna magnanimità, nessun gesto generoso, fosse pure parzialmente riparatore. In un angolo, atterrato dai ricordi e più ancora dal presente, l'ex capitano della Lazio ha sentito tutta l'enormità del peso del suo errore, rassegnato ormai all'idea di aver scommesso su un cavallo perdente. Mancini ha portato via tutto. Lo ha fatto con una voracità infinita. Ora dice con un filo di voce: "Da sabato fino al fischio di chiusura dell'arbitro è stata una festa che non si potrà mai dimenticare. Ringrazio tutti: mi hanno fatto vivere un giorno magnifico". Il pubblico sampdoriano ancora accecato da questa figura simbolica, la Lazio che ne fa quattro, la Juve che pareggia e vede dimezzato il vantaggio in classifica sui biancocelesti: è questa, a volte, la giornata perfetta. Ed è esattamente questo, e non di più, ciò che Mancini poteva immaginare nelle lunghe ore dell'attesa. Non poteva lasciare neanche le briciole. Non a Signori, comunque. Chiedono a Eriksson se ha mai pensato di lasciar fuori Roberto per questa partita e lo svedese risponde con il sorriso: "Sarebbe stata un'offesa anche soltanto pensarlo".

E lui, il Mancini tornato a casa per il giorno di festa, prova a non infierire, mentendo sapendo di mentire: "Il gol "mangiato"? Non l'ho sbagliato apposta. Ho solo aspettato troppo. Però sia chiaro: sono felice di non aver segnato alla Samp". Mancini è entrato prima. Prima degli altri. Mancava mezz'ora all'inizio e lui è andato a incassare quanto dovuto. Un applauso interminabile, di tutto lo stadio. Un mazzo di fiori dalla tribuna, uno striscione che diceva: "Noi ti ricordiamo così: campione". Dall'altra parte, invece, il silenzio. Non era la "sua" partita, almeno non come per Mancini. Eppure Signori deve aver sofferto quest'indifferenza del suo vecchio pubblico, di quei tremila tifosi che sono saliti fino a Genova senza manco omaggiarlo di un saluto. Mancini non ha voluto segnare alla Samp, Signori ha fatto lo stesso con la Lazio. Ma stava perdendo tre a zero, non era proprio la stessa cosa. Signori ha lasciato il rigore a Montella e non è stata una scelta felice. Né lo sarà, per Beppe, quella che prenderà Boskov domenica prossima. "Siamo arrivati a un punto - ha detto infatti Vujadin - che non ci possiamo più permettere di giocare con due punte davanti". Un disastro. Mancini se n'è andato a metà del secondo tempo. Non ha mai esultato ai gol della Lazio, è rimasto di ghiaccio quando ha visto sul tabellone luminoso che il Napoli, grazie al suo amico Protti, aveva pareggiato a Torino. Finita la partita, si è slacciato la sciarpa blucerchiata dal collo e l'ha sventolata a lungo sotto la sua vecchia curva. Signori chissà dov'era.


La Gazzetta dello Sport titola: "Lazio cinica, bella, esagerata. La Samp, subito in svantaggio, resta in dieci e alla fine viene travolta. Partita segnata dal gol di Jugovic e poi dall'espulsione di Balleri. La Lazio va a rete anche con i centrocampisti. Mancini gioca in punta di piedi".

Continua la "rosea": La Lazio disinnesca con assoluta tranquillità la mina Samp e trasforma una giornata rischio in una giornata trionfale. Ha travolto i doriani con una perentorietà da grande squadra e alla fine ha avuto dal Napoli il dono inatteso di due punti rosicchiati alla Juve. Del trio di testa i biancazzurri erano quelli attesi dall'impegno più difficile, alla fine sono la squadra che ha raccolto di più: una vittoria per goleada, grandi consensi e una classifica che si sta facendo entusiasmante. Considerando le due grandi sfide che domenica prossima attendono le rivali (la Juve a Parma e l'Inter alle prese con il Milan), per la Lazio si accende l'ipotesi addirittura di un sorpasso, assolutamente impensabile solo qualche settimana fa. A Marassi non c'è stata partita. Dopo neanche un minuto Jugovic aveva già risolto il problema del gol girando a rete un perfetto invito all'indietro di Gottardi che aveva bruciato sullo scatto Mihajlovic; dopo 24' uno scellerato intervento di Balleri che ha colpito con un pugno Nedved finito a terra con Veron, ha lasciato senza difese la Samp. In dieci contro undici (e che undici!) e già in svantaggio gli uomini di Boskov sono andati incontro al loro destino ormai segnato. C'era soltanto da stabilire quando la Lazio avrebbe affondato i colpi per chiudere definitivamente la partita. C'è da dire che la Samp è stata encomiabile nel ritardare l'esecuzione.

Ha giocato per l'intero primo tempo quasi alla pari con un avversario comunque di categoria superiore. Boskov ha lasciato centrocampo e attacco immutati, ha semplicemente fatto a meno del terzino destro, allargando Hugo sulla fascia e tenendo indietro così quattro invece di cinque difensori. Chiaramente ciò comportava un dispendio di energie enormi specie per i centrocampisti che dovevano impostare e tornare a proteggere una difesa più esigua, ma anche per i difensori che, molto alti (la Lazio si era chiusa sorniona davanti a Marchegiani), dovevano correre come matti per inseguire quei laziali che di volta in volta partivano in contropiede. Da tutta la spinta prodotta in avanti dai padroni di casa non è scaturito nulla di veramente pericoloso per Marchegiani in tutto il primo tempo. Signori ci metteva l'anima, si spostava ovunque, toccava molti palloni ma arrivava al tiro solo dopo essere finito in fuorigioco; Montella tentava proibitive incursioni palla al piede nel vivo di una difesa avversaria che proprio al centro esibisce il meglio. Eriksson intanto aveva mutato un po' la posizione di Nedved e Fuser: il primo piazzato al centro e il secondo spostato a sinistra, visto che Gottardi andava bene a destra. Jugovic pilotava il tutto facendo anche la guardia a Veron. E Mancini, si chiederanno in molti? Ha giocato in punta di piedi, quasi cercando di non far notare la sua presenza al pubblico del cuore e di incidere in partita il giusto. Che significa l'avvio dell'azione del primo gol, lo splendido assist per Nedved al 9' della ripresa: poteva tirare lui stesso dopo essere stato liberato a sinistra da Boksic, ma non se l'è sentita, sentenziavano in molti. In realtà era più logico girarla a Nedved perché in questo caso anche Ferron, uscito su di lui, veniva tagliato fuori. E lui è specialista in questi cambi di situazione. Per il resto ha provato anche a tirare, ma dopo il 2-0, quando la Samp si è bloccata come fulminata, nel fisico e nel morale e a questo punto la Lazio raccoglieva frutti maturi come se piovesse.

Ne ha raccolti due Fuser, il primo su punizione da sinistra con palla sul primo palo, che è in gran parte sulla coscienza di difensori e portiere, e il secondo con una volata iniziata a metà campo con palla conquistata di slancio e finita in porta dopo un dribbling vincente su Ferron. Ma potevano essere tanti (e inutili) i gol della squadra di Erikkson solo se il tecnico non avesse pensato alla gara di coppa Uefa di martedì e alla prossima partita con il Piacenza, nella quale mancheranno Nesta e Pancaro squalificati. Ed ecco quindi sostituzioni a getto continuo e mirate a provare la nuova difesa con Grandoni e Lopez accanto a Negro e Favalli. Poteva però segnare anche la Samp quando nell'unica occasione limpida da rete costruita in tandem da Signori e Montella, quest'ultimo veniva chiuso nella morsa tra Lopez e Favalli e cadeva a terra in piena area di rigore laziale. Batteva il rigore Montella, nonostante gli ultimi errori, per incrementare la classifica cannonieri. Ma si vede che il giovane ha perso completamente le coordinate: tiro di piatto sinistro abbastanza centrale e fiacco, uno scherzo per Marchegiani intuire e bloccare. E così diventavano 4 gli errori dal dischetto, mentre Signori si mangiava le mani. Come si capirà, non c'è stata partita. Perché questa Lazio è in forma smagliante e sa essere cinica (nel primo tempo ha effettuato un solo tiro in porta, quello del gol) ed esagerata, attendista e scatenata, comunque sempre padrona del campo: poi quando i 4 gol vengono segnati tutti dai centrocampisti, pur con quel fior fiore di attaccanti che si ritrova, si capisce perché la squadra di Eriksson ha risorse sconosciute a tutte le altre rivali. La Samp è stata danneggiata sicuramente da Balleri. In inferiorità numerica non ci potevano essere speranze per una formazione che ora è alla quinta sconfitta consecutiva contro un avversario che di consecutivo ha messo insieme undici vittorie e tre pareggi. Impressionante!


In un altro articolo il quotidiano sportivo racconta la particolare domenica di Roberto Mancini che torna a Marassi da avversario:

L'umano pomeriggio di gioia di un umanissimo campione. Una storia di cuore. Di sentimenti che nessuno ha avuto voglia, o bisogno, di nascondere. Si può essere avversari (nemici no) e volersi bene. Dirselo. Farlo capire in mille modi. Salutarsi, fare il proprio dovere, e poi salutarsi di nuovo. Sampdoria e Mancini, è stato un pomeriggio di normale umanità. Di sovrumano, semmai, c'è stato lo sforzo di tanti, dalla gradinata alla tribuna, soprattutto in tribuna stampa, di interpretare in qualche modo, sempre sul piano psicologico e delle emozioni, ogni gesto, ogni espressione, ogni calcio di quel "numero 10" che da tanto mancava da Marassi. E continuerà a mancare. I tifosi, a Genova, gli vogliono ancora bene. Qualcuno, soprattutto quelli più vicini alla società, che in qualche modo si è sentita tradita dal vecchio capitano, gliene vuole un po' meno. Tant'è vero che nella gradinata sud qualche discussione, e anche qualcosa di più, c'è stata. Ma era fatale che il nuovo incontro, il primo a Marassi dopo il doloroso addio, diventasse un festival. Un amarcord in piena regola. Condito, va detto, da tante altre piccole e grandi storie personali. Storie di ex. Montella che bacia Eriksson. Poi, la processione di tanti blucerchiati davanti alla spugna dell'amatissimo Viganò. Qualche saluto, timidino a dire il vero, di Signori all'indirizzo del suo vecchio mondo. Mentre dalle gradinate, dopo l'incoraggiante "Signori facci un gol...", risuonava il più nostalgico dei cori.

E lui, Mancini, ha compiuto un piccolo capolavoro. Di equilibrio, s'intende. Non si è sottratto ai festeggiamenti, anzi, è sembrato parteciparvi di gusto. Ha risposto, all'inizio, ai saluti. Poi, ha messo lo zampino nei primi due gol laziali. Senza gioire vistosamente. Non si è dannato l'anima, non era il caso, non ha commesso falli vistosi. Non ha giocato male, ma neppure benissimo. Pure, in un paio di occasioni, è sembrato graziare Ferron... "vedi, non ha voluto far gol!". Macché. Lui ha sempre fatto così, meglio l'assist del tiro diretto, ci ha costruito una carriera su questa sua generosità e ha pure contribuito alla carriera di tanti altri che hanno avuto la fortuna di giocargli vicino. E' inutile la psicanalisi. Si sa che Mancini non si è mai tolto il "pigiama blucerchiato", né mai potrà toglierselo. Si poteva immaginare che riuscisse a trovare il giusto equilibrio fra il vecchio amore e i nuovi doveri. L'ha fatto, come del resto hanno saputo farlo, prima e durante i novanta minuti, i sampdoriani, complimentosi con lui, ma mai abbastanza da dimenticare che la vera Sampdoria stava (e soffriva) dall'altra parte. Nemmeno quando, a partita ormai decisa, si sono avvicinati in massa alla panchina per chiedergli autografi, che non ha lesinato attraverso la rete, e consegnargli una sciarpa blucerchiata, che il Mancio ha indossato con piacere sopra i colori laziali. Per sventolarla (è sembrato con altrettanto piacere) nella passerella finale sotto la sud, mentre i suoi amici e i suoi compagni (quasi tutti, insomma) stavano avviandosi alle docce.

E mentre Veron e Franceschetti rispettavano le precedenze, a una ventina di metri, prima di avvicinarsi a loro volta per il rito del lancio della maglia. Qualcuno, molti, devono aver sofferto, ieri a Marassi, pensando a ciò che è stato e a ciò che non potrà più essere. Enorme e doloroso, infatti, è stato il contrasto fra il trionfo personale del Mancio nel pieno del piccolo-grande dramma blucerchiato: uno 0 a 4 impietoso, la quinta sconfitta consecutiva.... vien da pensare che un po' abbia sofferto anche lui, se, salutando, prima di attraversare nel buio una folla osannante all'uscita del Ferraris, ha detto: "Io gioco per la Lazio, ma son contento di non aver segnato alla Samp". No, non le ha segnato, ma un po' di male, pur senza volerlo, è riuscito a farglielo ugualmente. Perché il riaprirsi di una ferita morale mai del tutto rimarginata ha di certo influito sull'entità della rabbia sampdoriana, esplosa nel dopopartita contro tutti e contro tutti. Rabbia comprensibile, ma pericolosa. Perché quella che deve togliersi dai guai, quali che siano le ragioni e le responsabilità del doloroso addio, è la Samp senza Mancini.


La Repubblica titola: "Jugovic-Fuser: micidiali anche la Samp s'inchina".

L'articolo prosegue: Unanimità alla fine: gran bella Lazio. Ma unanimità anche nell'intervallo: è tutta qui la Lazio? Il risultato non dice tutto, la Lazio di gol poteva anche farne otto per come si è subito messa la partita. Giusto un minuto, va via Gottardi sulla destra, lascia sul posto Mihajlovic, cross dal fondo per la deviazione lieve e precisa di Jugovic. Una pacchia per una squadra che fa del contropiede un'arte. Invece la Lazio pensa solo a fare muro, dopo 9' Nesta sbroglia una situazione critica su Montella, e solo la Samp a fare gioco. Dopo quattro partite perse senza segnare (con questa saranno cinque, e dodici gol sul groppone) è anche normale che sia così. Il tempo di pareggiare c'è, la voglia anche, il gioco no. Gioco a strappi, in frenesia, i soli tiri (sbagliati) verso Marchegiani li fa Mihajlovic su punizione. E si arriva al 24', quando Nedved e Veron rotolano fuori campo dopo un contrasto, finendo sotto gli occhi del quarto uomo. Preso da chi sa quale raptus (i raptus vanno a prendere quasi sempre gli stessi giocatori) Balleri va a dare una manata in faccia a Nedved, che sta a terra, e poi si stupisce quando Messina lo espelle. E che altro doveva fare? Anche con un uomo in più, la Lazio sta abbottonata. Davanti ha solo Boksic. Boskov dopo l'espulsione di Balleri deve cambiare assetto alla difesa. Mannini, che stava su Mancini centrocampista aggiunto, lo lascia per Boksic. Hugo è dirottato a destra, dove trova ora Mancini ora Nedved. Il centrocampo è in affanno, Veron non ne azzecca una, gli attaccanti combinano poco.

Mai vista una Samp così sgangherata. L'impressione è che il limbo della classifica non stimoli gli estri collettivi e porti verso il grigio. La Samp sta perdendo l'Europa ma non rischia la B. E, come aveva strillato Boskov alla vigilia, la sindrome Grand Hotel (Montella andrà qui, Mihajlovic andrà là) rende meno lucida qualche testa. Invece la Lazio è lucida, la Lazio è in corsa su tre fronti, scudetto compreso, e ha un centrocampo fantastico, infatti tutti i suoi gol li segnano i centrocampisti. La sfida Mancini-Signori in pratica non esiste, sembra di ascoltare una vecchia canzone di Charles Trenet: que reste-t-il de nos amours. Due fotografie virate seppia, color lontananza. I due sentono molto la partita del presente contro il passato, ed è la partita che non sente loro due. Signori si attorciglia in grovigli da cui esce regolarmente senza palla, Mancini si defila con nobile distacco dagli avvenimenti del sabato. Però dà a Nedved la palla del 2-0 che chiude la partita. Poi arrotonda Fuser su punizione e Montella si fa parare un rigore (non lampante il fallo di Favalli). Con tanti saluti a Boskov che aveva deciso in settimana: il rigorista è Signori. Il 4-0 di Fuser, galoppata laziale in quattro contro uno, palla sempre tra i piedi di Fuser, Ferron scartato, toglie ai tifosi di casa anche la voglia di fischiare. Anzi, applausi per Mancini che va sotto la curva per un bagno d'affetto.

Il secondo tempo della Lazio è stato micidiale e, forse ancor più sottolineata dai velleitari solisti doriani, s'è vista una dote che è solo delle grandi squadre: tutti giocano per tutti. E la condizione atletica, nonostante i tanti impegni ravvicinati, pare ottimale. Boksic, pur non segnando, ha sempre tenuto impegnati almeno due uomini, ma la forza vera è il centrocampo, attualmente il migliore del campionato. A turno, Fuser, Jugovic e Nedved sanno interrompere l'azione altrui e rilanciarsi con grande energia e pericolosità sotto rete. Siccome gli automatismi funzionano bene, non si creano mai buchi davanti alla difesa, per altro non eccelsa sui fianchi. La regolarità di rendimento (questo è il ventesimo risultato utile consecutivo, sui tre fronti) è la conseguenza del buon lavoro di Eriksson certamente ma anche delle scelte chiare della società. Se ci fate caso, alla Lazio da un po' non si lamenta nessuno. Tante grazie, coi risultati a favore è più facile, ma credo sia anche il segno di una raggiunta e non effimera maturità.


Tratte dal quotidiano romano, alcune dichiarazioni post-gara:

A questo punto Eriksson è costretto ad ammetterlo: "Il momento più bello della mia carriera da quando sono in Italia. Solo col Benfica ed a Goteborg ho lottato su tre fronti sino alla fine. Ma qui è molto più difficile e quindi molto più bello". Si scioglie per un attimo ma è esemplare per compostezza. La Lazio recupera due punti alla Juventus in una giornata che sembrava sfavorevole ed Eriksson non fa una piega: "Le sorprese nel calcio ci sono sempre. In questo periodo ci sta andando proprio tutto bene. Speriamo che continui". Sull'andamento di una partita tutta in discesa il tecnico evita superlativi: "Nel primo tempo abbiamo sofferto nonostante l'espulsione di Balleri. Poi, dopo il secondo gol, ci siamo sbloccati. E' curioso vedere come la mia squadra faccia sempre meglio nella ripresa". Applaude i tifosi della Sampdoria: "Sono stati esemplari, cantavano anche sullo 0-4" e si coccola Mancini: "Vuole bene alla Samp ma in questo momento ne vuole ancora di più alla Lazio. Non dubitavo che avrebbe fatto una gran partita". La parola scudetto resta un tabù: "Non voglio nominarla, e non voglio che la nominino i miei giocatori. Cragnotti? Lui è il padrone, non posso contraddirlo". Anche Mancini cerca di non scomporsi troppo di fronte agli eventi. Come al solito dispensa pillole di buon senso e moderazione: "La Juventus ha rallentato, ma in classifica continua a precederci. Chi insegue come noi non può permettersi mai di sbagliare. Comunque, non abbiamo nulla da perdere. Siamo sereni, l'ottimismo c'è sempre stato, anche quando le cose non andavano così lisce. Le Coppe in questo senso ci hanno molto aiutato. Ed ora pensiamo all'Auxerre. In questo momento, è più che mai fondamentale concentrarci su un impegno alla volta".

C'è anche chi si accosta al Grande Sogno con un minimo di sincera incredulità. E' il caso di Diego Fuser: "Onestamente non abbiamo ancora raggiunto la consapevolezza delle situazioni che stiamo vivendo. In fondo non abbiamo ancora vinto nulla e questo ci impedisce di essere felici al cento per cento". Di suo è felice per una doppietta che rimanda idealmente a Cesare Maldini: "Credo di essere il centrocampista che ha segnato più gol in Italia. Sono arrivato a quota 52 e penso che di questo si debba tenere conto". I Mondiali sono alle porte e per Fuser il biglietto da visita non potrebbe essere migliore. Vladimir Jugovic, invece, ha realizzato la sua prima rete su azione in questo campionato, ma è una rete pesantissima: "Ci ha permesso di affrontare la partita nel modo che ci è più congeniale, cioè sfruttando al massimo il contropiede. Sono contento anche se segno poco. Gioco per la squadra, nel secondo tempo mi sono sacrificato in marcatura su Veron". Jugovic parla di prova di maturità, sorride sornione, si capisce lontano un miglio che allo scudetto comincia a credere davvero, sebbene non voglia ammetterlo: "Lo scudetto è ancora lontano. L'importante è continuare a stare così bene. Sono sincero. Non mi aspettavo che la Juventus pareggiasse. Meglio così. Anche stavolta abbiamo dimostrato di essere maturi, gestendo la partita in modo esemplare senza mai perdere la testa".

In casa sampdoriana scatta invece l'allarme. Questa volta Boskov se la prende soprattutto con Balleri: "In occasione della sua espulsione l'arbitro ha fatto il suo dovere, adesso toccherà alla società prendere i provvedimenti necessari. Ma quel gol dopo appena 25 secondi aveva già condizionato la partita". Il raddoppio della Lazio, poi, è risultato fatale. "Le disgrazie non arrivano mai da sole - commenta Boskov - noi lo abbiamo dimostrato sbagliando un altro calcio di rigore. Nel primo tempo avevamo dominato". Lusinghiero il giudizio del tecnico blucerchiato sulla Lazio: "Mi sono piaciuti moltissimo, soprattutto gli inserimenti da dietro dei centrocampisti. La Lazio è un ottimo collettivo".


Dalla Gazzetta dello Sport:

Il viso è disteso. Quel giro del campo, del suo Marassi, a fine partita è servito a scaricare le tensioni. Ora Roberto Mancini si offre in pasto a microfoni e taccuini dopo una settimana di comprensibili silenzi. E lo fa alla sua maniera, con schiettezza e sincerità, quella che non avrebbe potuto garantire nelle dichiarazioni della vigilia. "E' tutto finito - sospira - ed è stato tutto bellissimo. Dall'arrivo di venerdì pomeriggio ad ora tutto è stato stupendo, indimenticabile. Un grazie di cuore a tutti. Agli strepitosi tifosi della Samp. E un pensiero affettuoso va anche a quelli della Lazio. Loro ora hanno tutti i diritti per sognare. Noi invece dobbiamo restare concentrati e continuare così". Con un Mancini così disponibile meglio andare subito al sodo, cioè all'occasione da gol fallita clamorosamente sul 3-0, solo davanti a Ferron: "Ho aspettato a tirare, poi alla fine mi sono allungato troppo la palla. Ma sono contento di aver sbagliato". Evviva la sincerità. I sampdoriani hanno applaudito. I laziali capiranno, perché hanno visto la differenza che il Mancio riesce a far pesare in campo dall'alto della sua immensa classe. Ieri, tra l'altro, al di là di quell'occasione, Roberto è anche tornato al tiro: "Già, non mi capitava da tempo. Vuol dire che è un segnale positivo in vista della partita di Auxerre, dove sarebbe importantissimo riuscire a fare un gol. Un mio gol. Adesso dobbiamo concentrarci sulla difficilissima partita in Francia. Non è vero che siamo favoriti, perché sarà una gara piena di insidie. Non ultima la stanchezza, che solo la soddisfazione per questi successi riesce a mitigare un po'. L'Auxerre è squadra molto ostica per noi". Ieri sera Roberto è rimasto a Genova, per passare una serata con gli amici più intimi.

Un piccolo regalo di Eriksson, che cerca sempre di dare la possibilità ai suoi giocatori di scaricare la tensione. Visto poi quali sono i risultati in campo. E in questa Lazio alla quale è stato vietato pronunciare il termine scudetto, Mancini comunque parla da grande leader, senza nascondere ambizioni: "Noi ci abbiamo sempre creduto. Ricordate che dopo il pareggio di Bergamo avevo detto che l'importante era restar calmi? Quel giorno scivolammo indietro a 6 punti dalla vetta, oggi sono già ridotti a 2. Anche in settembre eravamo ottimisti, quando le cose non andavano benissimo. Anzi, proprio il positivo inizio nelle Coppe faceva intendere delle grandi potenzialità. Ma è inutile illudersi. Perché la Juve ha fatto un passo falso ed è ancora in testa. A chi insegue invece non è consentito sbagliare una partita. Ecco perché bisogna restare concentrati su ogni incontro. Altrimenti basta un nonnulla, una distrazione, per veder svanire tutto. E poi ci sono i rischi derivanti da squalifiche e soprattutto infortuni. Perché con questo ritmo di partite non c'è tempo di recuperare". Roberto, un'ultima cosa: cosa ti piace ricordare di questo ritorno a Genova ? "Tutto, proprio tutto. E' andato tutto in maniera splendida. Prima di arrivare ero teso. Lo confesso, avevo un po' timore di qualche nota stonata. Invece sono stati eccezionali. Poi in partita ero emozionato. Tanto emozionato Ma ora non mi chiedete più nulla. Perché questi ricordi saranno conservati per sempre nel mio cuore". E se ne va con il suo scrigno di sensazioni forse irripetibili. Comunque fortissime. Quando è partito da Genova, l'anno scorso, si parlò dell'ultima bandiera ammainata. Oggi più che mai, a 33 anni e con la voglia di giocare di un ragazzino, Roberto Mancini è diventato la bandiera di un calcio diverso. Un calcio capace ancora di guardare ai sentimenti e infischiarsene delle apparenze. Si, perché si è ancora più campioni dicendo: "Sono contento di aver sbagliato quel gol".

Il capitano arriva impettito in sala stampa, e ha motivo di esserlo dopo la splendida doppietta realizzata. Da una settimana il capitano della Lazio è Diego Fuser. Lo è da quando Beppe Favalli - ragazzo sensibile e mai sopra le righe - ha capito alla vigilia del derby che al compagno avrebbe dato uno stimolo enorme giocare con quella fascia al braccio. Diego ha apprezzato il gesto e lo ha subito onorato. "Spero che in tv facciano vedere sin dall'inizio l'azione del quarto gol. Perché ho fatto metà campo di corsa, senza perdere lucidità nella conclusione. Lo avesse realizzato un attaccante di fama, quel gol lo avremmo visto anche sui disegnini dei giornali sportivi. E poi anche quel gol diretto su punizione non era male. Ma io mi chiamo Fuser...". C'è quasi una punta di amarezza in questo ragazzo piemontese che ha segnato oltre 50 gol in serie A. Gol dedicati anche al ct Maldini: "Sono tante queste reti per un centrocampista e spero che abbiano un peso". Diego sarebbe sorpreso da un'esclusione dei 22 azzurri per il Mondiale? "Sinceramente sì. Ma ora voglio pensare solo a questa Lazio. Siamo compatti, consapevoli che siamo vicini a grandi risultati e ci sentiamo maturi per un grande traguardo. A Genova, nonostante la stanchezza, siamo entrati in campo carichi. Perché sappiamo che in campionato non dobbiamo fare passi falsi. Però sarebbe sbagliato oggi pensare allo scudetto. Non possiamo essere felici, perché ancora non abbiamo vinto niente".

Domenica prossima contro il Piacenza saranno squalificati Nesta e Pancaro e non a caso ieri nel finale Eriksson ha tolto i due per dargli un po' di riposo in vista di Auxerre e per provare la prossima probabile linea difensiva in campionato, con Grandoni a destra e Lopez in mezzo. Aspettando il recupero del miglior Chamot, che ieri ha perso un'occasione per rientrare. Ma della difesa della Lazio piace sottolineare l'imbattibilità in campionato di Marchegiani, che sale a 505'. Imbattibilità che il portiere laziale ha difeso alla grande parando a Montella un rigore, il terzo neutralizzato in campionato dopo quelli di Tramezzani, a Piacenza, e Leonardo, all'Olimpico col Milan. Una Lazio grandi numeri che non sorprende Jugovic, altro ex blucerchiato, che ha realizzato il gol più pesante, il primo su azione della stagione: "Sono contento che sia stata una rete importante. Ma io preferisco sacrificarmi in un lavoro di copertura, perché questa Lazio ha tanta gente capace di arrivare in zona-gol. Nella ripresa, ad esempio, mi sono dedicato solo a marcare Veron e sono arrivate tre reti. Speravo ed ero convinto che potessimo vincere a Genova, quello che non mi aspettavo è il pari della Juve. Non so se sono in crisi, noi dobbiamo restare concentrati sulle nostre cose. Alla fine tireremo le somme". E i numeri in questo momento parlano a favore di una Lazio capace di vincere 27 partite delle 40 stagionali. Nessuno ha saputo far tanto.

Non si ferma più questa Lazio. In campionato allunga la sua serie positiva a 14 turni: 11 vittorie e 3 pareggi. Nessuno ha fatto meglio in questa stagione. E anche per il club biancoceleste in A è la miglior serie di sempre, un piccolo fiore all'occhiello di Cragnotti. Proprio nel giorno in cui il mix sentimenti (da ex) e stanchezza (da stress) poteva tirare un brutto scherzo, la squadra di Eriksson sovverte i pronostici e dimezza il distacco dalla Juve, ridotto a 2 punti. In queste ultime 14 giornate sono 13 i punti in più dell'Inter e 8 quelli rosicchiati alla capolista. Il tecnico svedese fa fatica a trattenere gli entusiasmi. Pensa già al ritorno a Roma, a Formello e dice: "Sarebbe stato meglio partire subito per la Francia". Sì, l'entusiasmo è alle stelle, e Svennis è quasi imbarazzato per tutti i riflettori che questa Lazio ha addosso e che non riuscirà più a staccare da qui alla fine della stagione. Teme un po' per la concentrazione della squadra. "Bellissimo stare in ballo su tre fronti. Mi era riuscito nell'82 a Goteborg, vincendo scudetto, coppa Uefa e di Svezia. Al Benfica mi riuscì la doppietta, perdendo però la Uefa nel '91. Non abbiamo vinto ancora niente, ma in Italia e in questi anni è diventato molto più difficile riuscire a conquistare successi in tre manifestazioni".

Gli si fa notare che diversi giocatori si sono abbracciati in campo, quando è rimbalzata da Torino la notizia del pareggio del Napoli, tra l'altro per opera di un ex affezionato, Igor Protti. Eriksson la butta sul ridere, ma c'è una filosofia dietro i suoi discorsi: "I ragazzi possono fare quello che vogliono, basta che non ne parlino fuori". Ecco l'importanza di uno spogliatoio solido, che non vuol far proclami. Chi invece non si trattiene, a parole, è Sergio Cragnotti: "Difficile imporgli di non parlare di scudetto. Lui è il padrone... Ma per fortuna non è nella rosa". Quattro pari consecutivi, fra campionato e coppe, questa Juve sembra in difficoltà: "Magari! Io non ci credo", dice Eriksson, che non vuol certo far calare la tensione proprio nel momento in cui la rimonta è a un passo dall'essere conclusa. Poi il tecnico fa una disamina della gara: "Due episodi decisivi nel primo tempo. Il nostro gol all'inizio, molto bello. Poi l'espulsione di Balleri, che ci metteva in difficoltà con le sue incursioni. Nonostante la superiorità numerica però abbiamo sofferto nel primo tempo, quando la Samp ha giocato meglio. Alla fine però avremmo potuto realizzare anche più di quattro gol. La cosa più importante è che stiamo bene fisicamente. E' strano, ma giochiamo meglio nella ripresa, da un po' di partite. Vuol dire che abbiamo bisogno di più tempo per carburare. Questa squadra sa rimanere calma nei momenti difficili: la Samp ha avuto poche occasioni da rete, e noi abbiamo colpito appena c'è stata la possibilità". L'ultimo pensiero è per Mancini. "Chiaro che lui voglia bene alla Samp e fosse emozionato. Ma io in settimana non ho mai parlato del "giocare non giocare". Sarebbe stato offensivo per Roberto".




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