Sabato 17 aprile 1999 - Roma, stadio Olimpico - Lazio-Juventus 1-3

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17 aprile 1999 Campionato di Serie A 1998/99 - XXIX giornata

LAZIO: Marchegiani, Lombardo, Okon (72' Lombardi), Fernando Couto, Favalli, Sergio Conceicao (46' R.Mancini), Almeyda, Stankovic (48' De La Peña), Nedved, Salas, Vieri. A disp. Ballotta, Baronio, Crovari, Gottardi. All. Spinosi - DT Eriksson.

JUVENTUS: Peruzzi, Di Livio, Iuliano, Ferrara, Mirkovic, Henry, Davids, Tacchinardi (78' Deschamps), Conte (88' Birindelli), Amoruso, Inzaghi (54' Esnaider). A disp. Rampulla, Tudor, Blanchard, Pessotto. All. Ancelotti.

Arbitro: Bazzoli (Merano).

Marcatori: 34' Henry, 48' pt Amoruso, 56' R.Mancini, 64' Henry.

Note: pioggia per tutta la gara, terreno scivoloso. Ammoniti: Nedved, Conte, Stankovic, Mirkovic, Davids. Calci d'angolo: 4-4. Recuperi: 4' più 4'.

Spettatori: 65.000 circa.

Il biglietto della gara
Mancini contrastato da Davids
Stankovic cerca di sfuggire a Di Livio
La delusione dei giocatori della Lazio dopo il raddoppio di Amoruso

Due volte in meno di sei giorni. La Lazio si rompe ancora: nel derby era stata frantumata dalla Roma, contro la Juve si è sciolta tra i guantoni flaccidi di Luca Marchegiani, portiere non immune da giornate grame. Sotto la pioggia, come ieri, ci ricordiamo di averlo visto a Cagliari consegnare un doppio vantaggio alla Svizzera nell'esordio dell'Italia sacchiana alla qualificazione per Usa '94. Al contrario di allora, però, stavolta non c'è stato chi rimediasse per lui: ci ha provato Roberto Mancini all'11' della ripresa, girando, di testa, un angolo di Nedved. Poteva essere quello - anzi lo era di sicuro - il segnale di inversione della partita perché la Juve, pur in vantaggio di un gol, faticava nella riconquista della palla e nel mantenere le cadenze dell'avversario, fattesi per necessità molto frequenti. Non solo. Alla fine mancavano ancora 34' più 4 di recupero e un pareggio, per nulla disprezzabile vista la resa della Fiorentina a Bologna, era certamente alla portata della squadra di Eriksson per un motivo non trascurabile: la Lazio stava giocando una buona partita, assai più convincente, tanto per fornire un raffronto recente, di quella che disputò con il Milan, il sabato di Pasqua. Eriksson, poi, aveva corretto l'assetto all'intervallo. Stavolta l'inserimento di Mancini, per un tempo in panchina, era stato bilanciato dall'estromissione di Sergio Conceicao e con lo spostamento a destra di Stankovic, mentre Almeyda e Nedved completavano il centrocampo. Inoltre Mancini agiva, di fatto, da trequartista e non più da mediano centrale incontrista. Ovvio che così fosse sia per la situazione contingente (la Lazio schierava una sorta di 4-3-1-2), sia per le caratteristiche dell'ex doriano. Però, proprio nel momento di massimo sforzo, le mani di Marchegiani tornavano d'argilla e Thierry Henry diventava per la seconda volta il beneficiato. Nel primo caso, in verità, più che le mani era errata la posizione del portiere: su qualsiasi tiro, infatti, è necessario coprire il pallone con il proprio corpo. Marchegiani invece, oltre che prodursi con sufficienza, si lasciava superare prestando, letteralmente, il fianco. Sul 3-1, ancora di Henry, il portiere non cercava la deviazione in angolo, allargando la mano, ma un'improbabile presa bassa, assai ardua sia per la palla viscida, sia per la violenza punizione di Davids. Due errori oggettivamente gravi (più il primo del secondo, comunque) e situati in momenti cruciali. Come nel primo svantaggio la Lazio veniva da un primo tempo ricco di occasioni (il palo pieno di Vieri, più un gol sbagliato e uno annullato), così, dopo il gol di Mancini, stava andando incontro ad una ripresa piena di premesse. La traversa di Vieri, al 43', ha sintetizzato la giornata infelice. Solo sfortuna, allora? Non solo. Intanto, la Juve. Collaudata, solida e, ad ogni vantaggio, sempre più galvanizzata. Linearità di manovra e precisione sotto rete (esemplare, in questo senso, il raddoppio di Amoruso su assist di Tacchinardi nel recupero del primo tempo) hanno determinato la differenza. E la differenza, forse, una crisi.

Fonte: La Repubblica