La trattativa per la cessione della società a Riva

Da LazioWiki.

Da l'Unità del 26 maggio 1973
Umberto Lenzini
Antonio Sbardella
Riccardo Riva

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La crisi economica investe i Lenzini[modifica | modifica sorgente]

Appena ritornata in Serie A nell'estate 1972, la famiglia Lenzini si ritrova con le solite problematiche: i conti in rosso della Società. Purtroppo la crisi economica, che si sarebbe accentuata l'anno seguente con la crisi petrolifera, ha fatto sì che l'economia ristagnasse coinvolgendo anche il settore l'edilizia. Un grande comprensorio edilizio a Pomezia, costruito dal presidente della Lazio con i propri fratelli, rimane così invenduto facendo andare in rosso anche i conti della società edile di famiglia. Questa notizia arriva alle orecchie dell'Avvocato Gianni Agnelli che da tempo ha messo gli occhi sull'attaccante biancoceleste Giorgio Chinaglia. Il magnate della Fiat propone di rilevare il comprensorio di Pomezia e di pagare l'attaccante un miliardo di Lire, in contanti. Una cifra spropositata per l'epoca. Sia il direttore generale Antonio Sbardella, sia i fratelli Aldo ed Angelo, esortano il Presidente ad accettare l'offerta.

Contro la trattativa si oppone una forte campagna stampa contraria alla cessione di Chinaglia e che accusa i vertici societari di volersi ridimensionare ancora una volta. Lenzini alla fine non cede, timoroso per le reazioni della piazza e forte del netto rifiuto di Chinaglia di andare a Torino. L'attaccante è chiaro: "O rimango alla Lazio, o smetto di giocare." Questa vicenda crea una forte frizione fra il Presidente e Sbardella e tra lo stesso ed alcuni consiglieri, tra cui Riccardo Riva da poco entrato nel consiglio della società biancazzurra. Riva, settantenne, originario del Friuli, è un industriale e proprietario di alcune scuderie ippiche, nonché azionista delle società che gestiscono gli ippodromi romani di Tor di Valle e Capannelle.


Dissidi e strane manovre[modifica | modifica sorgente]

La conferma dell'allenatore Maestrelli porta molte tensioni a livello dirigenziale. I più vedono in Scopigno la guida giusta per una salvezza quanto mai ardua, ma i risultati della squadra cambiano le carte in tavola. Ad un certo punto si prende atto di avere una squadra che sta lottando alla pari con i club di vertice e che si sta giocando buone chances per portare a casa qualcosa di più che la permanenza nella massima serie. Nell'inverno tra il 1972 e il 1973 cominciano a circolare strane voci su un imminente accordo fra Sbardella e Gaetano Anzalone, presidente della Roma, per il passaggio del dirigente in giallorosso. La faccenda crea parecchio rumore fra i tifosi e non piace a Umberto Lenzini. L'accordo a un certo punto salta, ma crea una frattura insanabile fra il Presidente e il Direttore Sportivo. Lenzini comincia ad accentrare il potere su di sé e su Maestrelli relegando ad un angolo Sbardella.


Verso la cessione del pacchetto di maggioranza[modifica | modifica sorgente]

Sbardella comunque continua il suo lavoro con diligenza e serietà mentre si fa sempre più seria l'ipotesi di una cordata capitanata dal neo consigliere Riccardo Riva per rilevare le quote di maggioranza dalla famiglia Lenzini. Il ruolo del Direttore Generale non è tuttavia chiaro, ma la trattativa parte, favorita sempre di più dalla crisi che investe la società edile dei Lenzini. Intanto la squadra lotta per vincere il Campionato e questo ne accresce il valore di mercato. I fratelli del Presidente vedono di buon occhio la cessione mentre Umberto è più titubante. La strategia di Riva è semplice: rilevare la Società e capitalizzare la vendita di Chinaglia con l'acquisto di giovani emergenti affidandoli alla guida di un giovane allenatore già campione di calcio: Nils Liedholm a quel tempo tecnico della Fiorentina.


Improvviso dietrofront e le dimissioni di Sbardella[modifica | modifica sorgente]

Tutto sembra quindi andare verso la logica conclusione della cessione. Intanto la squadra, perso il Campionato all'ultimo minuto dell'ultima giornata, vola verso gli Stati Uniti per disputare alcune amichevoli. Giovedì 24 maggio 1973 si riunisce il consiglio d'amministrazione senza però arrivare a nulla di fatto. La sera stessa Riva rilascia dichiarazioni da presidente presso un ristorante. Ma il mese successivo qualcosa cambia. I Lenzini si rialzano dalla crisi e riescono a vendere alcuni importanti immobili ricavando denaro da investire a Brescia, dove spostano parte dell'attività edilizia. A questo punto il Presidente Umberto Lenzini decide di far saltare la trattativa non ritenendo più Riva un valido successore. Qualcuno avanza l'ipotesi che fosse stato lo stesso Riva a tirarsi indietro o che forse la cordata non fosse mai esistita. Un'indiscrezione, poi risultata vera, afferma che Riva avrebbe pagato la quota di maggioranza della società con cambiali in scadenza triennale (1976). Alcune settimane dopo Antonio Sbardella, ormai separato in casa, rassegna le dimissioni e se ne va, accusato da Lenzini di aver svolto un ruolo poco chiaro in questa vicenda. Riva rimarrà nel consiglio ancora per qualche tempo per poi eclissarsi.


Da l'Unità del 26 maggio 1973:

Con l'avvento di Riva più forte il general manager biancoazzurro. Sbardella vuole cedere Chinaglia al Milan in cambio di Bigon. Le "confidenze" di don Antonio a una cena conviviale giallorossa. Lenzini presidente ancora per un po' ma il vero padrone della Lazio è già Riva.

Dopo il valzer degli allenatori, ora è il momento del valzer dei presidenti. Ad aprire le... danze però non è toccato a Buticchi o Anzalone come si pensava, ma è stato il presidente della Lazio, Umberto Lenzini, che praticamente ha passato la mano all'industriale Riccardo Riva, pur se ancora l'operazione non è stata completata in tutti i dettagli (ma dovrebbe esserlo a breve scadenza). Per ora Riva ed i suoi amici (tra i quali i fratelli del presidente Aldo e Angelo Lenzini) hanno acquistato il 55 per cento delle azioni e stanno perfezionando le operazioni bancarie per sostituire Lenzini in tutte le altre esposizioni: quando sarà terminata questa fase, Riva verrà nominato consigliere delegato ma sarà il vero padrone della Lazio perché Lenzini pur restando presidente ancora per qualche tempo avrà solo un 45 per cento di azioni, per un valore di 237 milioni venendo rimborsato di tutte le altre somme anticipate (per oltre un miliardo).

Per la verità Umberto Lenzini ha detto alla fine della riunione del C.D. di giovedì sera che non è successo niente di importante. Ed anche ieri Lenzini ha precisato che l'affare non è ancora andato in porto (forse alludendo al fatto che le operazioni finanziarie non sono state perfezionate), dimostrandosi anzi molto irritato con i giornali che hanno dato l'operazione per scontata. Ma se Lenzini smentisce, a far pensare che la sostituzione sia imminente c'è invece l'atteggiamento di Riva che da parte sua si è presentato ai giornalisti (riuniti in un ristorante annesso al "Gianni Sport" su iniziativa di ex dirigenti giallorossi) come il vero presidente della Lazio. Ha esordito dicendo di essere una recluta del calcio, ma promettendo di fare esperienza al più presto, assicurando che la Lazio sarà in grado di competere testa a testa con le "grandi" del Nord e, infine, facendo proposte di amicizia alla Roma (diplomaticamente inevitabili data la circostanza).

Settantenne, industriale, settentrionale ma da tempo trapiantato a Roma, Riva è anche proprietario di scuderie ippiche, azionista delle società che gestiscono gli ippodromi di Tor di Valle e Capannelle. Con l'avvento di Riva sembra essersi molto rafforzata la posizione di Sbardella (il quale ha firmato un contratto fino al 1976, anziché per un anno come aveva proposto Lenzini) perché è stato proprio l'ex arbitro a portare Riva alla Lazio: e Riva ha piena fiducia in Sbardella, più di quanta ne avesse Lenzini. Allora abbiamo tentato di capire cosa vuol fare Sbardella, approfittando della confidenza che si era determinata nell'atmosfera conviviale. E abbiamo saputo che Sbardella non ha più molta pazienza né verso Chinaglia né verso Maestrelli. Chinaglia insiste nel tirare la corda, continuando a fare dichiarazioni polemiche ("Voglio che la squadra torni a giocare per me") non avendo capito che le simpatie dei tifosi per lui sono in ribasso e che quindi non è più in grado di dettare condizioni.

Non ci sarebbe da stupirsi perciò se la Lazio finisse per accettare l'offerta del Milan per Chinaglia (Bigon più qualche centinaio di milioni, secondo le confidenze che abbiamo raccolto) anche perché Bigon è ritenuto da Sbardella un centro avanti più adatto al gioco della Lazio. Maestrelli dal canto suo continua a difendere a spada tratta Chinaglia: per questo non essendo ancora garantita la conferma di Chinaglia, ancora non ha firmato il contratto, a sua volta, facendo irritare don Antonio Sbardella il quale ha promesso che da ora in poi con solleciterà più il trainer a metter nero su bianco. "Dovrà venire lui ora a cercarci; e adesso saremo noi a rinviare e a fargli perdere tempo fino a che ci sembrerà opportuno". Insomma con queste premesse può succedere di tutto: per il momento però si può dire solo che alla Lazio è in corso un giro di vite. Se son rose...

Nella stessa occasione si è parlato anche della Roma soprattutto per quanto riguarda un possibile cambio della guardia al vertice: l'impressione generale è che Anzalone non lascerà, deciso com'è a riscattare questa brutta stagione. Comunque dopo Marchini ed Evangelisti anche l'ex vicepresidente Franco Sensi si è dichiarato pronto ad accorrere in aiuto della Roma se questo aiuto verrà richiesto. Sensi proporrebbe in tal caso di affidare la presidenza ad un funzionario tipo Stacchi, assistito da un consiglio finanziario forte e il più largo possibile. Sempre sul conto della Roma da aggiungere che Anzalone sta cercando di arrivare ad uno scambio Bet-Prati con il Milan. Infine si è appreso che Cordova come si temeva, è affetto da una lesione al menisco: probabilmente dovrà essere operato al più presto.



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