Domenica 22 ottobre 2000 - Verona, stadio Bentegodi - Verona-Lazio 2-0

Da LazioWiki.

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22 ottobre 2000 - 2913 - Campionato di Serie A 2000/01 - III giornata

VERONA: Ferron, Oddo, Laursen (65' Apolloni), Gonnella, Cvitanovic, G.Colucci, Italiano (71' Camoranesi), Mazzola, Salvetti, Gilardino (57' Bonazzoli), Mutu. A disposizione: Doardo, Ferrarese, Adailton, Seric. Allenatore: Perotti.

LAZIO: Peruzzi, Negro (76' Pancaro), Nesta, Mihajlovic, Favalli, Baronio (63' Salas), Simeone, Nedved, Veron, C.Lopez, Crespo (63' S.Inzaghi). A disposizione: Marchegiani, Sensini, Fernando Couto, Lombardo. Allenatore: Eriksson.

Arbitro: Sig. Trentalange (Torino).

Marcatori: 53' Favalli (aut), 78' Mutu.

Note: espulso Mazzola al 41'. Ammoniti: Simeone, Mutu, Mazzola, Italiano, Favalli, Ferron. Mihajlovic ha fallito un calcio di rigore. Recuperi: 1' p.t., 5' s.t.

Spettatori: paganti 8.534, incasso 299.285.000 lire, abbonati 9.927, quota-gara 249.536.000 lire.


Il biglietto della gara
L'autorete di Giuseppe Favalli per il vantaggio scaligero
Il raddoppio di Mutu

I "buuuh" stavolta hanno ferito le sue orecchie, forse più del pesantissimo 2-0 finale, dal primo pallone toccato a quello spedito contro uno dei pali di Ferron, su rigore, a partita e speranze ormai scadute. "Buuuh" per Sinisa Mihajlovic, simbolo di una Lazio che non sa ritrovarsi, rovesciati dalla curva-polveriera del Bentegodi, lo stadio dove i biancocelesti avevano perso anche sette mesi fa, prima di lanciarsi nella rimonta-scudetto partita da meno 9, e dove ieri hanno visto sbriciolarsi il sogno di riproporsi subito padroni del campionato.

Due sconfitte nell'arco di duecento giorni in questa Verona fatale e beffarda: allora c'era la Juve da inseguire disperatamente, oggi la propria forza smarrita. "Buuuh" sferzanti per Mihajlovic e per una squadra sbandata, superata sul campo e in classifica da un'avversaria costruita con un decimo dei miliardi spesi per Crespo: due prodezze di Mutu, romeno qui parcheggiato (e già rimpianto?) dal generoso Moratti, la prima con la collaborazione straordinaria di Favalli, la seconda con scatto e destro da bomber doc, e Lazio inchiodata alla sua attuale impotenza.

Dietro quel sinistro ululare sulla testa del "serbo di strada", come Mihajlovic ama definirsi, non c'era certo solidarietà per il nero Vieira, quanto l'astio incontenibile nei confronti di chi ha dominato su tutti e ora non ne sembra più capace. Scosso, nervoso, tesissimo, Sinisa li ha incassati con rabbia, prima cercando disperatamente brandelli di sé stesso in tutti i palloni sui quali far esplodere il suo micidiale sinistro, poi chiuso assieme a tutti i suoi compagni nel silenzio che la società ha imposto per protesta contro i mezzi d'informazione sbattuti sul banco degli imputati anche dagli ultrà saliti fin quassù. "Le vostre critiche, le nostre vittorie", urlava uno striscione steso nella curva riservata ai mille e passa ospiti laziali. Bastassero le critiche, a trascinare questo gruppo nuovamente al successo, Eriksson sarebbe già un bel passo avanti.

Ma è invece malinconicamente evidente che non bastano, anzi che non c'entrano affatto. La Lazio si è sbriciolata come un grissino nell'impatto col piccolo gioiello che, passando dalle mani di Prandelli a quelle di Perotti, commosso dalla prima vittoria ottenuta in serie A, pare non voler più smettere di brillare: quello di ieri è il 18° risultato utile di fila della fantastica ciurma che ormai non perde in campionato dal 29 gennaio. Nesta e soci sono sembrati capaci, in modi diversi, di fare la partita per i primi e per gli ultimi dieci minuti. In avvio li ha spinti la voglia di recuperare smalto e fiducia, nel finale la rabbia cieca per la nuova caduta su questo campo disseminato di trappole. Non hanno avuto mira e cinismo con Crespo (8'), né fortuna di lì a poco con Simeone, chiuso alla grande da Ferron.

Molto più in là, è stato Oddo a cacciare via dalla linea il sinistro di Salas (19'), ancora Ferron a opporsi a Nedved (38'), il tandem Colucci-Salvetti ad alzare il muro su Inzaghi (39'), il palo a raccogliere il rigore calciato da Mihajlovic, su gentile concessione dello sciatto Trentalange. Tardi, troppo tardi. Perché in mezzo a quell'arruffato arrembare c'è stato solo il Verona con la sua corsa, le sue sovrapposizioni, i suoi affondi, i suoi giovinastri scatenati: dal diciottenne Gilardino, finché non s'è infortunato, al ventenne Colucci, ennesimo prestito (per ironia della sorte, arrivato dalla Roma) di un gruppo costruito davvero con due lire. Inutili i tentativi di un Eriksson, che a sua volta è parso in confusione, di rovesciare l'esito di una sfida segnata.

Inutile tornare a schierare una sola punta - quel Crespo che è ancora un'ombra - sostenuta da un centrocampo più fitto, impreziosito (si fa per dire) dall'evanescente presenza di Claudio Lopez, tristemente defilato sulla sinistra. Inutile buttarne nuovamente due nella mischia (i più vivaci Simone Inzaghi e Salas), restituendo l'unico giocatore all'altezza della sua fama, Nedved, all'amata corsia mancina. Il Verona ha sempre avuto una marcia in più, ha chiuso ed è ripartito micidiale in contropiede, anche quando ha perso per strada due dei protagonisti migliori, il rapidissimo Gilardino e il danese Laursen, autentico dominatore della difesa, o quando, espulso Mazzola, è rimasto addirittura in dieci. La Lazio non c'era, la Lazio non c'è mai stata. Se non per raccogliere a capo chino, assieme a Mihajlovic, i "buuuh" di uno stadio come sempre senza pietà per i grandi che cadono.

Fonte: Corriere della Sera