Il primo scudetto











Eureka!
Ogni entusiasta contiene un falso entusiasta, ogni amante un falso amante, e ogni uomo di genio un falso uomo di genio. Potremmo aggiungere – nello strano caso dello "scudetto 1901" evocato da un sito laziale "biancazzurro" – che ogni primo scudetto contiene un falso primo scudetto. Ma illustriamo bene la quaestio, giacché non tutti i lettori possono essere consapevoli dei dettagli minuti e controversi riguardanti le scaturigini della ultracentenaria Società Sportiva Lazio. Noi di LazioWiki, non molto tempo fa, abbiamo accertato, con discreta documentazione, la primogenitura del cosiddetto "emblema 1905": lo scudo svizzero a "strisce bianco-celesti" (secondo la dizione originale di Ballerini) con aquila e cartiglio azzurro. Rimarchevole esemplare araldico che compare sul berretto di Bruto Seghettini in una foto scattata a Villa Borghese il primo ottobre del 1905. Emblema dapprima forgiato in metallo, da appuntarsi come spilla sulla stoffa, e poi planato su una delle più antiche carte da lettere intestate della Podistica; un documento conservato all’Archivio Storico Capitolino e datato 17 marzo 1906. Incunabolo prezioso rinvenuto per via delle virtù benedettine del consocio Impiglia, probabilmente anche lui inseribile a pieno titolo nelle ambigue riflessioni notturne di Paul Valery.
La novità dello scudetto 1901 bianco e azzurro, generosamente regalata alla Polisportiva nel giorno del suo centoventunesimo compleanno, consiste in una "perizia fotocolorimetrica" effettuata su una delle più famose fotografie dei pionieri: quella che ritrae i "quattro podisti" in posa davanti a un edificio, e due di loro hanno la canotta bianca con ricamata la scritta "Lazio" e uno scudettino applicato sul torso. L’analisi segue gli standard scientifici più moderni: l’algoritmia della scala dei grigi secondo la metodologia "deep learning" sperimentata alla Berkeley University of California. Tutto ciò, a prima vista, è abbastanza impressionante. Il risultato dell’analisi – lo stemmino pare proprio non sia biancoceleste – ha spronato a una pubblica esultanza che definiremmo di tipo pickwickiano: l’illustrissimo e panciuto Samuele Pickwick, P.G. M.C.P., che si alza imperiosamente sulla seggiola, pieno di vita e di slancio, per annunciare la scoperta rivoluzionaria al mondo intero: "La Lazio è nata azzurra... ve l’avevo detto io!!" "Tonalità turchese intenso" – per l’esattezza. E qui già potremmo argomentare che la differenza tra il color turchese e il color "celeste acceso" è minima. Ma riprenderemo quest’aspetto più in là. Qui ci preme piuttosto sottolineare un errore di base nella teoria pickwickiana: l’immagine dei "quattro podisti" non è del 1901, bensì dell’estate del 1906.
Fu presa davanti alla Casina dell'Uccelliera di Villa Borghese, a quei tempi ribattezzata Villa Umberto. Da quell’anno, infatti, la Casina prospiciente il recinto sportivo Parco dei Daini era la nuova sede sociale, ottenuta grazie alle conoscenze del presidente Fortunato Ballerini. LazioWiki ha svolto il suo studio particolare sulla foto, senza per questo scomodare gli algoritmi del Berkeley, ed è giunta alla sua affidabile conclusione. Lo "scudetto 1901" va, dunque, riposizionato un bel tratto più avanti nella timeline. D’altronde, due tra le immagini più importanti della fase pionieristica – quella del maggio 1904 posata a piazza d'Armi e l’altra dell’ottobre 1905 a Villa Borghese – non presentano l’emblema pickwickiano suddetto, e questo suona un bel po’ strano, no? Non un cambiamento da poco, lo slittamento dello "scudetto 1901" al 1906, giacché lo rende meno antico rispetto all’emblema 1905. Che non per niente la SS Lazio Generale ha brevettato e adotta ufficialmente. Lo sappiamo che sembra che stiamo parlando della Sacra Sindone, ma tant’è... Le domande che ora si dovrebbero porre sono le seguenti (le facciamo noi perché il tombarolo disattento che ha gridato Eureka! non ha ritenuto di porle). 1) Perché lo stemmino misterioso apparve a metà del 1906 sulle divise dei podisti? 2) Per quanto tempo ci rimase? E soprattutto: che valore riveste nella storia araldica della SSL?
Chiariamo subito come siamo arrivati alla datazione 1906, da noi effettuata col metodo del carbonio 14, dell’immagine dei "quattro podisti". Ci è bastata una conoscenza quasi calligrafica della carriera sportiva del più rilevante personaggio ritratto: Pericle Pagliani. Il grande storico bolognese Marco Martini, nella sua monumentale Storia dell’atletica italiana maschile, lo definisce "il primo atleta vero della Lazio". Nativo di Magliano in Sabina, Pagliani si tesserò alla SPL nel 1904, in automatico per l’assorbimento della Società Esperia dalla quale proveniva. Corridore di mezzofondo e fondo, stabilì un bel numero di record e vinse diversi titoli nazionali. Fu, unitamente a Dorando Pietri, il nostro più valido maratoneta fino ai primi anni ’20; orgogliosamente tesserato sempre alla Lazio, a parte una parentesi con la Colombo e un breve periodo da professionista. Abbiamo molte immagini di Pagliani, quasi tutte tratte da giornali coevi. Esaminiamone alcune. Nel 1904, allorché, il 12 maggio, giunge secondo in una gara di 30 km a Milano, Pagliani indossa una maglia bianca girocollo; un numero copre il petto, ma un disegno sulla La Gazzetta Dello Sport lo ritrae senza scritta. Un’altra immagine del Pagliani atleta concerne il primato dell’ora stabilito a Piazza di Siena il 30 dicembre del 1905. Nell’occasione, la "rosea" pubblica una foto di repertorio, e qui il campione sabino ha la canotta bianca con la scritta, ma senza lo scudetto. Il 25 marzo 1906, il nostro vince il Premio Lazio, prova nazionale sui 20 km bandita annualmente dalla SPL. Il 31 dello stesso mese, nell’ambito delle selezioni a Roma per formare le squadre da mandare alle Olimpiadi Straordinarie di Atene, trionfa nella gara delle cinque miglia, e non sappiamo che tipo di maglia abbia usato quel giorno.
Tuttavia, sulla scorta del fatto che la Podistica occupa la Casina dell’Uccelliera solo il primo maggio del 1906, va da sé che la foto dei "quattro podisti" non possa essere stata posata prima; a nostro avviso, essa va collocata in piena estate, considerando i costumi e l’abbronzatura. La foto è di quelle mai apparse sui giornali, giunta a noi direttamente da album familiari. Potrebbe essere stata scattata ad agosto, alla vigilia della partenza di Pagliani per la maratona Arona-Pallanza, dove si ritirò a pochi chilometri dal traguardo quand’era in testa. Ad ogni modo, è certo che nella stagione 1906-1907 Pagliani gareggia, quando la temperatura lo consente, esibendo la canotta con la scritta e lo scudettino biancazzurro che lo identifica, agli occhi degli spettatori, come un esponente della "Lazio" di Roma. Esiste una famosa foto posata su una terrazza di Villa Borghese, il Pericle con la fascia tricolore a tracolla conquistata ai campionati nazionali UPI 25 km svolti a Torino nel settembre del 1906. Immagine che abbiamo trovata ripubblicata sul giornale Gli Sports nel 1910, quando già era passato nelle file della Cristoforo Colombo. Non ci sono distorsioni della canotta, per cui si vede meglio la forma dell’emblema, poco abbinabile a uno "scudo svizzero" e piuttosto riconducibile a uno "scudo sagomato".
Nel 1908, il 21 giugno, Pagliani fissa, sulla pista in carbonella di Piazza di Siena, il record italiano della mezzora di corsa. Una stupenda istantanea ce lo mostra in piena azione, con la canotta bianca di nuovo priva dello stemmino. Lo scudetto in questione – a nostro parere – fu fatto in casa. Il colore turchese-azzurro, quello dell’algoritmo, non ci disturba più di tanto. All’epoca, non si era precisi sulla tonalità: la Canottieri Aniene, nata gialloceleste a strisce orizzontali, sciorinava divise e costumi di gara che variavano dal cilestrino all’azzurro marino. I nuotatori della Rari Nantes Roma, pure, avevano stemmi celesti o azzurri, digradanti nelle varie sfumature: un cliché fiumarolo. Uno stemma ufficiale della Rari Nantes Waterpolo 1901, un altro dello Sporting Club Roma, sono simili a quello applicato sulle loro canotte nel 1906 dai due podisti laziali: Pagliani e Mariani. Ciò che importa veramente è sapere il motivo per cui non venne utilizzato lo stemma della SPL, che campeggiava sui documenti già da diversi mesi in quell’estate del 1906. Semplice: era troppo complesso da realizzare. La Lazio non disponeva delle finanze per produrlo in un laboratorio tessile o in sartoria. Che lo "scudetto 1901" sia stato un qualcosa di estemporaneo, rapportabile a un’iniziativa di singoli non dettata dalla dirigenza, lo si evince dal fatto che se ne sia poi perduta la memoria; almeno fino alle attuali discussioni.
Lo "scudetto americano"
Ricapitolando, la Podistica Lazio sorge bianca all’orizzonte del 1900. Nella tarda estate del 1904 inaugura una bandiera a strisce biancocelesti verticali (ma forse orizzontali, in omaggio alle leggi dell’araldica) e, come panoplia, nel 1905 aggiunge uno scudo svizzero che include un’aquila; arma che si compone di un cartiglio azzurro con la scritta "S. Podistica Lazio" e ha come smalti sette strisce bianche e celesti; di un "celeste acceso" – sarebbe stato puntualizzato in seguito negli statuti. In particolare, fa testo lo Statuto e Regolamento Generale edito dalla SPL nel 1923, laddove, all’articolo 66, si legge: "In genere, il bianco-celeste in tutte le gare sportive dovrà ritenersi come il distintivo della "Lazio"". Dopo attenta analisi, questo impagabile documento, che la SS Lazio Generale custodisce in formato digitale, è stato archiviato come autentico dallo storico dello sport Marco Impiglia. E stiamo parlando del più accreditato studioso dello sport romano, scopritore della prima partita di calcio giocata dalla Lazio e del cosiddetto "scudetto di d’Annunzio". Sciocche e pretestuose appaiono le proteste di chi vorrebbe che il suddetto documento sia un sofisticato falso. Il bianco-celeste, dunque, fu l’abbinamento di colori scelto dalla Lazio: il bianco originario cui si aggiunse il celeste dei footballers. E qui ci riportiamo, con la nostra speciale Macchina del Tempo, al sabato del 14 maggio 1904. Nella dimora del loro capitano, Sante Ancherani, i pionieri laziali, aiutati dalle loro donne, "compongono" la prima divisa: un’elegante camicia di flanella metà bianca e metà celeste, comparabile a quella bianconera sfoggiata dai rivali della Virtus. Quel medesimo giorno, in un appartamento poco distante, il poeta Rainer Maria Rilke scriveva: Le mie mani cercano amore...
A partire dall’autunno del 1904, e lungo svariate stagioni, i podisti si cimentano invece con maglie e canotte sia bianche, con la classica scritta azzurra "Lazio", sia biancocelesti (ad esempio, Romano Zangrilli il 18 giugno del 1905 a Vercelli, quando si aggiudica il campionato italiano di marcia 30 km). Nel 1906 appare lo "scudetto Pagliani" (così ci piace chiamarlo, in onore del più glorioso rappresentante della sezione atletica leggera), che serve a segnalare gli smalti sociali. Non avendo un carattere ufficiale, può essere azzurro invece che celeste: dov’è lo scandalo? Nel novembre del 1908, poco dopo le Olimpiadi di Londra – dove pure Pagliani gareggia nella individuale six miles e nella prova a squadre delle tre miglia – le divise dei podisti presentano una ulteriore novità: al Cross Country Nazionale disputato a Roma, tre dei sei iscritti corrono con una maglia bianca a maniche corte che reca sul davanti, in posizione centrale, un vistoso simbolo: uno scudo francese moderno a strisce verticali. Anche in questo caso, gli "amateurs" laziali non fanno che adeguarsi – secondo il loro estro e liberi nella scelta – alla moda imperante, quella diffusa dagli atleti sui campi olimpici. Nel mondo, i più eccelsi cultori del track and field esibiscono uno stemma nazionale cucito all’altezza del plesso solare sulle maglie rigorosamente candide.
I tre col nuovo stemma rispondono ai nomi di Augusto Cocca (che si classificò secondo), Arnaldo Steffenini (terzo) e Felice Mariani (ottavo). I due restanti componenti del sestetto nella storica immagine, pubblicata sul bollettino della Federazione Ginnastica, sono: Olindo Bitetti (abbracciato da Pagliani, e che non sembra avere lo stemma) e Filippo Brunner (con la vecchia maglia "Lazio", ma senza lo stemmino 1906). Pagliani, dal canto suo, non si esibì quel giorno con la nuova maglia molto fica. Si riteneva oramai talmente riconoscibile dalla gente da permettersi di indossare un’anonima girocollo bianca. Esattamente come era accaduto per la casacca creata in casa dai calciatori, e che aveva funto da volano per determinare i colori del vessillo (estate 1904) e dello stemma sociale (estate 1905), è lo spirito di emulazione a guidare i tre podisti della SPL. Ragazzi di modesta levatura agonistica che gradiscono avere sulle loro divise – nell’occasione di un evento speciale come un campionato italiano a squadre – un "emblema di appartenenza" pareille a quello dei super-atleti internazionali. Star come lo statunitense Melvin Sheppard, vincitore di tre medaglie d’oro a Londra e del quale leggevano, ammirati, le imprese sui giornali. A noi di LazioWiki, tuttavia, lo "scudetto americano" pare proprio di un bel celeste acceso. Attendiamo fiduciosi, in merito, l’analisi pickwickiana. E voi, che ne dite voi? Sono, i sei vincitori della Coppa Duca di Sparta 1908, dei campioni "biancazzurri" o "biancocelesti"?
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Romano Zangrilli, campione italiano di marcia di resistenza, foto apparsa sul settimanale La Stampa Sportiva del 2 luglio 1905
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Pagliani alla partenza del cross country nazionale "Coppa Duca di Sparta" disputato a Roma l’11 novembre 1908
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Il sestetto laziale vincitore della Coppa Duca di Sparta; immagine pubblicata sul bollettino Il Ginnasta
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Arnaldo Steffenini con la maglia dello "scudetto 1908" che, in effetti in questa versione, ripete i modi dell’emblema americano a tredici strisce verticali. La dedica è per il mezzofondista torinese Massimo Cartasegna
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Melvin Sheppard vince i 1.500 metri ai Giochi Olimpici di Londra del 1908; è verosimile che lo stemma americano sia stato preso a modello da Steffenini
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