I Caduti per la Patria della S.S. Lazio

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Elevato fu il contributo di sangue che gli Atleti biancocelesti versarono per la Patria. In occasione dei 150 anni dell'Unità d'Italia e dei 111 anni della S.S. Lazio, LazioWiki li vuole ricordare.

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Conflitto Caduto
I Pionieri Caduti nella Prima Guerra Mondiale: Alberto Canalini - Orazio Gaggiotti - Rodolfo De Mori - Enrico Laviosa - Valerio Mengarini - Arnaldo Ausenda
Pietro Nazari - Florio Marsili - Luigi Kustermann - Pier Italo Rivalta - Gaetano Chiesa - Camillo Monetti - Lorenzo Gaslini
I Caduti della Guerra Coloniale: Ugo Ciabattini
I Caduti nella Seconda Guerra Mondiale: Giorgio Scalia - Attilio Friggeri - Manlio Cappellani - Ezio Varisco - Ilaico Nicolò Mazzon - Federico Tedeschi
Mafalda di Savoia



Alberto Canalini
Sulla targa che ricorda i caduti in guerra posta in via Andrea Doria a Roma figura il nome di Alberto Canalini
Un altro particolare della targa commemorativa

I Pionieri Caduti nella Prima Guerra Mondiale:


Alberto Canalini [modifica | modifica sorgente]

Pioniere – Caduto a Jamiano sul Carso (GO) il 27 maggio 1917 - Disperso - La scheda di Alberto Canalini

Nato a Roma il 1 settembre 1882, di Domenico e Carolina Zanasi. Abitante in Via Valadier n° 26. Deceduto in guerra e considerato disperso il 27 maggio 1917 nella battaglia di Jamiano. Statura: m. 1,65. Torace: cm 88. Tipografo e falegname.

E' ricordato come uno dei soci fondatori della Società Esperia, dai colori biancoverdi, nata in Prati in via Orazio 13, che fu assorbita dalla Società Podistica Lazio. Di mestiere falegname, aveva la bottega adiacente alla sede della Lazio, in Via Valadier dove lavorava con il fratello minore Giuseppe. Le prime notizie che si hanno risalgono al 2 ottobre 1905 quando gioca una partita tra due formazioni della Lazio che si incontravano tra loro per mancanza di avversari. Praticava moltissimi sport con ottimi risultati. Sappiamo inoltre che, grazie al suo mestiere, è colui che, in assoluto, costruì le prime porte da calcio a Roma a Piazza d'Armi. Essendo, oltre che atleta, anche socio della Società, incoraggiò tanti giovani ad aderire alla società biancoceleste.

Nel 1914 fu anche segretario della sezione Ciclismo. Questa sua opera di proselitismo permise un grande incremento dei tesserati. La sua vicenda sportiva si confonde spesso con quella di suo fratello Giuseppe, anch'esso socio della Lazio. Dalla I Guerra mondiale Alberto Canalini non fece ritorno perché cadde eroicamente in combattimento a Jamiano sul Carso il 27 maggio 1917, come è ricordato sulla lapide in memoria dei Caduti del quartiere Trionfale situata ancor oggi in via Andrea Doria. Si presume che Alberto Canalini, potente e veloce, giocasse da difensore anche se, in quei tempi, i giocatori si alternavano nei diversi ruoli. Fu anche affidabile arbitro. Il 19 ottobre 1919 la Lazio, in occasione della nuova inaugurazione dello stadio della Rondinella, che durante il conflitto era stato trasformato in orto di guerra, organizzò un torneo in onore di Alberto, vinto proprio dalla Società organizzatrice.


Una foto del Monte Pecinka

Orazio Gaggiotti [modifica | modifica sorgente]

Pioniere – Caduto sul Monte Pecinka il 1° novembre 1916 - La scheda di Orazio Gaggiotti

Nato a Roma il 13 novembre 1891, da Enrico e Giuseppa Servili. Statura: m. 1,68, torace: cm 89, capelli neri, lisci. Occhi: neri. Colorito: pallido. Studente.

Soldato volontario nel 2° Reggimento Bersaglieri nel 1911. Bersagliere Allievo Ufficiale nel 1912. Ascritto 1^ categoria. Caporale e poi Sergente allievo. Inviato in licenza illimitata in attesa della nomina con il grado di Sottotenente di complemento di Fanteria. Effettivo per mobilitazione al Deposito Bersaglieri in Roma ed assegnato all'XI Reggimento Bersaglieri per il prescritto servizio di prima nomina il 26 gennaio 1913. Muore sul monte Pecinka (v. foto) a quota 308, il 1° novembre 1916. Era divenuto Capitano con nota del 6 maggio 1916.

Decorato con la Medaglia d'Argento al Valor Militare. Questa la motivazione per l'assegnazione del riconoscimento: "Alla testa della sua compagnia, la guidava arditamente all'assalto di forti posizioni nemiche, conquistandole. Cadeva quindi colpito a morte."

Attaccante e podista. Forte atleta, nelle file della podistica vinse diversi trofei. Nel 1908 giocava in 3^ squadra. Nel 1910 è in prima squadra.


Rodolfo De Mori [modifica | modifica sorgente]

Pioniere – Caduto il 26 agosto 1915 - La scheda di Rodolfo De Mori

Podista. Nato a Roma, da Stefano e Sofia Ascensi, il 1° giugno 1892. Partito militare per la Prima Guerra Mondiale con il grado di sottotenente del 1° Reggimento dei Bersaglieri, cadde in combattimento al fronte il 26 agosto 1915 a Santa Lucia di Tolmino. La notizia della sua morte fu annunciata il 27 novembre 1915. Medaglia d'Argento al Valore Militare.

E' stato uno dei migliori podisti della Lazio e vinse importanti gare di livello nazionale. Fu anche recordman nazionale sugli 800 metri piani. Insieme ad Ancherani, Giottiga e Smailer forma la staffetta biancoceleste che si aggiudica per ben 6 volte la Targa Masini negli anni intorno al 1910. Nel 1913 fa registrare un tempo (ufficioso) di 10 secondi e 4/5 sui cento metri.


Una foto del fiume Livenza

Enrico Laviosa [modifica | modifica sorgente]

Pioniere - Caduto in guerra sul fiume Livenza nel novembre 1917 - La scheda di Enrico Laviosa.

Nato a Bologna il 2 ottobre 1893, da Vittorio e Clelia Ferrini. Statura: m 1,79. Capelli: biondi, lisci. Occhi: castani. Colorito: roseo. Studente. Via di Porta Salaria, 29. Giunto alle armi ed inserito in qualità di Allievo Ufficiale nel 13° artiglieria il 31 dicembre 1914. Sottotenente di complemento di Artiglieria. Caduto in combattimento sul fiume Livenza nei pressi del Monte Vodice nel novembre 1917. Il suo Reggimento si distinse nelle battaglie sul Col di Lana, sul Monte Grappa e sul fiume Livenza.

Attaccante e centrocampista. Gioca nella seconda squadra della Lazio nel campionato del 1911, ma va in campo come titolare rarissime volte. Nel 1915 è in prima squadra in alcuni incontri.


La promozione a tenente di Valerio Mengarini

Valerio Mengarini [modifica | modifica sorgente]

Pioniere – Caduto in guerra il 27 agosto del 1917 - La scheda di Valerio Mengarini

Nato a Roma il 20 luglio del 1894, di Arnaldo. Atleta podista di mezzo fondo della S.P. Lazio e, sporadicamente, calciatore della stessa società. Fu anche valente nuotatore del C.C. Aniene. Partito volontario militare per la Prima Guerra Mondiale e arruolato nei reparti di Artiglieria Campale, cadde in combattimento, dopo 26 mesi di permanenza al fronte, il 27 agosto del 1917 in un'ambulanza chirurgica nei pressi di Vallerisc. Matricola n. 34012.

Decorato con Medaglia d'argento al Valor Militare con questa motivazione: "Mortalmente colpito da una bomba a mano, incurante di sè, incitava i compagni a proseguire l'opera e spirava col nome della madre sulle labbra".

Era allievo studente di Ingegneria e, giovanissimo, aveva raggiunto il grado di Tenente del Genio. Fino ad alcuni anni orsono un campo di calcio situato sotto il viadotto di Via Lanciani era a lui intitolato.


Soldati nei pressi di Chiusaforte nelle Alpi Giulie

Arnaldo Ausenda [modifica | modifica sorgente]

Pioniere – Morto a Chiusaforte il 1° febbraio 1916 - La scheda di Arnaldo Ausenda

Nato a Sestri Ponente (GE) il 21 aprile 1895, da Giuseppe ed Emilia Auselda. Statura: m. 1,74. Capelli: neri, lisci. Occhi: castani. Colorito: bruno. Studente.

Soldato di leva di 1^ cat. matricola n. 975 e 1936. Chiamato alle armi nel gennaio 1915 nel 10° Reggimento Artiglieria da fortezza. Il 24 ottobre 1915 è nominato Caporale Maggiore. Deceduto per infortunio subito per fatto di guerra a Chiusaforte (UD), il 1° febbraio 1916.

Forte podista di fondo della SP. Lazio tra il 1910 e 1915, si affermò in diverse gare di livello locale e nazionale.


La casa natale di Pietro Nazari

Pietro Nazari [modifica | modifica sorgente]

Pioniere – Caduto in guerra il 1° novembre 1916 - La scheda di Pietro Nazari

Nato a Roma il 3 settembre 1883 da Andrea e Ida Punti. Studente. Via de' Zingari (v. foto abitazione).

Capitano del 21° gruppo Artiglieria. Caduto in guerra, il 1° novembre 1916 a quota 174 sul Carso. Decorato con la Medaglia d'Argento al Valor Militare.

Nuotatore e podista di valore della Lazio.


Soci ed Atleti del C.C. Aniene nel 1915

Florio Marsili [modifica | modifica sorgente]

Pioniere – Caduto di guerra - La scheda di Florio Marsili

Nato a Viterbo il 23 marzo 1887 da Vincenzo e Annunziata De Santis. Statura: m. 1,73. Capelli: castani, lisci. Occhi: castani. Colorito: bruno. Studente.

Soldato di leva di 1^ Cat. Lasciato in congedo illimitato il 19 giugno 1907. Chiamato in seguito alle armi nel Reggimento di Fanteria e inserito nei corsi per Allievo Ufficiale nel 2° Reggimento Bersaglieri il 31 gennaio 1908 con il grado di Sergente e poi di Sottotenente di complemento. Richiamato per mobilitazione al Deposito Bersaglieri di Livorno e assegnato al 9° Reggimento il 24 gennaio 1909. Richiamato per mobilitazione il 24 maggio 1915. Caduto in combattimento al fronte, in località Porpetto (UD), il 21 agosto 1916. Il 28 giugno 1916 fu decorato con la Medaglia d'Argento al Valor Militare.

Nuotatore di grande valore, militò nella Lazio e nell'Aniene. (Nella foto i soci e gli atleti del C.C. Aniene nel 1915).


Una bella vittoria di Luigi Kustermann. E' il 20 agosto 1908

Luigi Kustermann [modifica | modifica sorgente]

Pioniere – Caduto di guerra - La scheda di Luigi Kustermann

Nato a Roma il 5 giugno 1893 da Emanuele ed Emma Cugiani. Fu uno dei più forti nuotatori della S.P. Lazio del secondo decennio del '900. Nel 1912 era nella formazione titolare di Pallanuoto. Era anche un ottimo podista come dimostrato dal piazzamento ottenuto nel 1914 nella gara Tiberis. Precedentemente gareggiava per la società Cristoforo Colombo. Cadde durante la prima guerra mondiale cui partecipò con il grado di Sergente del 1° Granatieri e il suo nome venne inciso sulla targa che la Lazio volle murare su una parete del rinnovato Stadio della Rondinella al fine di ricordare i propri Caduti.


Il Bollettino militare del 5 marzo 1916 riporta la notizia della promozione a tenente di Pier Italo Rivalta

Pier Italo Rivalta [modifica | modifica sorgente]

Pioniere – Deceduto in prigionia il 17 novembre 1918 - La scheda di Pier Italo Rivalta

Non si hanno notizie sull'attività agonistica di questo atleta inserito nei quadri biancocelesti.

Nato a Genova il 2 luglio 1892, di Giovanni Paolo. Partito militare per la Prima Guerra Mondiale, il 4 marzo 1916 fu promosso Tenente di Fanteria. Caduto prigioniero, mori in un campo di concentramento (forse Somorja) in Ungheria il 17 novembre 1918.


Il Monte San Gabriele (foto tratta dal sito www.14-18.it)

Gaetano Chiesa [modifica | modifica sorgente]

Pioniere – Caduto di guerra.

Podista. Nato a Lendinara (RO) il 14 settembre 1887. Di questo atleta non si conosce con assoluta certezza neanche il nome di battesimo. Viene citato nel libro di Pennacchia, "Lazio Patria Nostra" a pag. 71, come Caduto durante la Prima Guerra Mondiale e decorato con la medaglia d'argento al Valor Militare.

Probabilmente morì il 6 settembre 1917 sul Monte San Gabriele.

(Su questo Caduto sono in corso ulteriori ricerche).


All'interno della Chiesa torinese della Gran Madre di Dio vi è l'accesso all'ossario dove riposa Camillo Monetti

Camillo Monetti [modifica | modifica sorgente]

Pioniere – Caduto di guerra - La scheda di Camillo Monetti

Atleta della S.P. Lazio deceduto durante la Prima Guerra Mondiale. Nato a Ronco Scrivia (GE), fu Sergente Maggiore del 122° Reggimento Fanteria nel 1° Battaglione. Il 17 agosto del 1916 già era stato gravemente ferito in combattimento. E' sepolto a Torino nel Sacrario Gran Madre di Dio.

Il suo nome era tra quelli incisi sulla targa marmorea che la Lazio volle apporre su di una parete dello stadio della Rondinella nel maggio 1925.


Lorenzo Gaslini (in maglia scura)

Lorenzo Gaslini [modifica | modifica sorgente]

Pioniere – Morto nel 1919 per malattia contratta in guerra - La scheda di Lorenzo Gaslini

Nato a Milano il 2 marzo 1890. Discendente da famiglia nobile e con il padre famoso agronomo fondatore della celeberrima Latteria Lombarda.

Proveniente dal Milan, fu preso dalla Lazio mentre svolgeva il servizio militare a Roma e giocò nel ruolo di portiere dal 1912 al 1913. Partecipò alla finale nazionale contro la Pro Vercelli nel 1913.

Partito per il fronte come Sergente del 1° Granatieri, fu poi impegnato come pilota di aerei. Morì, in seguito a malattia polmonare contratta durante la Prima Guerra Mondiale, il 7 gennaio 1919. E' sepolto nel cimitero di Sesto San Giovanni (MI).


La targa posta nell'atrio dell'I.T. "G. Galilei" di Roma

Caduto nella Guerra Coloniale:


Ugo Ciabattini [modifica | modifica sorgente]

Caduto in Africa Orientale, a Mai Edagà T. 13, il 4 marzo 1936 - La scheda di Ugo Ciabattini

Attaccante, nato a Roma, di Francesco. Disputa 2 stagioni in maglia biancoceleste. Nella stagione 1931/32 è nella Ster di Roma. Nell'ottobre 1932 gioca con la Avieri Ciampino. Con la Lazio colleziona 2 presenze in Campionato a partire dal 1929/30. Sergente Maggiore aviatore, muore in guerra in Africa orientale il 4 marzo 1936.

E' sepolto nel Sacrario Militare di Massaua. Una lapide posta nell'atrio dell'Istituto Tecnico "Galileo Galilei" di Roma lo ricorda tra i Caduti, in quanto ex studente della scuola. Il campo sportivo di Passo Corese (RI) è a lui intitolato.


Un ritratto dell'atleta
Giorgio Scalia vincitore dei 100 m. dorso nei Giochi Littoriali del 1937
La targa stradale che ricorda l'atleta al quartiere Balduina di Roma

Caduti nella Seconda Guerra Mondiale:


Giorgio Scalia [modifica | modifica sorgente]

Caduto nel Canale di Sicilia il 10 gennaio 1941 - La scheda di Giorgio Scalia

Nuotatore. Nato a Roma il 18 aprile 1917. Morto in combattimento durante la Seconda Guerra Mondiale il 10 gennaio 1941 nel canale di Sicilia. Campione nazionale di nuoto con la S.S. Lazio, conseguita la licenza liceale entrò all'Accademia Navale di Livorno e nel 1939, al termine dei regolari corsi, conseguì la nomina a Guardiamarina.

Promosso Sottotenente di Vascello nel gennaio 1940, ebbe assegnata la M.O.V.M. con la seguente motivazione: "Stando imbarcato sulla torpediniera Vega, con la quale entrò in guerra, il 10 gennaio 1941 partecipò all'azione che vide l'unità impegnata, nelle acque del Canale di Sicilia, in un audace attacco contro soverchianti forze navali inglesi. Nel combattimento che ne seguì, essendo l'unità colpita irrimediabilmente dal fuoco nemico, immobilizzata ed in procinto di affondare, cooperò serenamente nell'operazione di salvataggio dell'equipaggio. Altruisticamente donava il proprio salvagente a marinaio inesperto del nuoto ed immolava la sua giovane vita, scomparendo negli abissi con la nave sulla quale sventolava ancora la Bandiera da combattimento".

Una strada del quartiere romano della Balduina è stata intitolata a suo nome. Nel 1934 fu Campione Italiano nella Staffetta 3 x 100 misti insieme a Benuzzi e Lisardi.


La tomba di Attilio Friggeri al Cimitero Verano di Roma
La targa stradale nel quartiere Balduina di Roma

Attilio Friggeri [modifica | modifica sorgente]

Caduto a Slebic il 3 giugno 1942 - La scheda di Attilio Friggeri

Nuotatore della Polisportiva Lazio, nato a Roma il 1 giugno 1915, morì in combattimento durante la Seconda Guerra Mondiale il 3 giugno 1942. Una strada del quartiere romano della Balduina è stata intitolata a suo nome. Anche l'Ospedale Militare del Celio porta il suo nome.

Gli fu conferita la Medaglia d'Oro al Valore Militare con questa motivazione: "Ufficiale medico di provata capacità professionale, animato da vibrante spirito combattivo e patriottico, a seguito di un violento attacco, condotto di sorpresa da rilevanti gruppi nemici contro un nostro posto avanzato, si offriva volontariamente ed otteneva di partecipare all'azione di soccorso. Durante gli aspri combattimenti che ne seguirono, visto cadere un comandante di plotone ed intuendo la crisi che si sarebbe determinata nel reparto e che avrebbe messo in grave situazione l'intera compagnia duramente impegnata, ne assumeva il comando e, rinfrancandone con l'esempio lo spirito combattivo, lo guidava nuovamente all'assalto. Colpito a morte, prima di spirare ordinava ai pochi granatieri che gli erano intorno di non curarsi di lui e di proseguire tenacemente l'azione. Esempio sublime di alte virtù militari ed assoluto sprezzo della vita. — Slebic - Slovenia, 3 giugno 1942".


Manlio Cappellani [modifica | modifica sorgente]

Caduto a Ponte a Ema (FI) il 14 agosto 1944 - La scheda di Manlio Cappellani

Portiere, nato a Tripoli l'11 giugno 1917. Milita nella Lazio Allievi nella stagione 1933/34. L'anno seguente è posto in lista di trasferimento. Era stato notato da osservatori biancocelesti in un torneo studentesco. Più tardi si dedicò al nuoto, sempre nella Lazio, alla Pallacanestro, all'Atletica leggera nel salto triplo e nel salto in lungo e, con ottimi risultati, al Pentathlon moderno. Morì a Bagno a Ripoli nella frazione di Ponte a Ema (FI) il 14 agosto 1944 in combattimento mentre, da tenente paracadutista, si batteva contro i nazifascisti e guidava una colonna italiana del famoso Squadrone F (Folgore) che aveva avuto dagli Alleati l'onore di entrare per prima nel capoluogo toscano. Un monumento di Bagno a Ripoli (FI) ricorda il sacrificio di Cappellani. E' sepolto nel cimitero del Verano.


Ezio Varisco [modifica | modifica sorgente]

Caduto nel cielo della Libia il 24 novembre 1942 - La scheda di Ezio Varisco

Cestista, nato a Trieste il 26 aprile 1914, figlio di Ermenegildo. Negli anni '30 militò per due anni nella Lazio Pallacanestro. Giocò nella Nazionale e partecipò alle Olimpiadi di Berlino (vedi box). Maresciallo pilota aerosiluratore e poi sottotenente ottenne una Medaglia d'argento, una di bronzo e una Croce di guerra. Morì in azione di guerra nel cielo della Libia il 24 novembre 1942.

E' sepolto a Bari nel Sacrario Militare Caduti "Oltremare".


Ilaico Nicolò Mazzon [modifica | modifica sorgente]

Deceduto per fatto di guerra il 9 novembre 1943 - La scheda di Ilaico Nicolò Mazzon

Portiere, nato a Roncade (TV) il 14 gennaio 1923.

Nelle giovanili della Lazio alla fine degli anni '30 e fino alla stagione 1941/42. Morì in seguito a fatto di guerra all'ospedale militare di Cagliari il 9 novembre 1943. Medaglia d'argento al Valor Militare.


La lapide che ricorda i Caduti italiani nel cimitero di Suzdal'
Una parte della lista dei prigionieri italiani deceduti nel campo di Suzdal'. Si legge il nome di Tedeschi

Federico Tedeschi [modifica | modifica sorgente]

Deceduto il 25 marzo 1943 - La scheda di Federico Tedeschi

Nato a Napoli il 29 aprile 1903, fu dirigente della Lazio dagli inizi degli anni '30 fino al 1940. Nel 1932 ricoprì anche la carica di Segretario Generale della società biancoceleste. Fu anche Presidente del Comitato regionale del Lazio della FIGC. Istituì inoltre a Roma una sezione dell'U.L.I.C. e divenne Presidente della gloriosa Virtus Goliarda, Sezione libera della S.S. Lazio, che vinse il titolo italiano Ragazzi dell'U.L.I.C. nella stagione 1927/28.

Partito per la guerra nel 1940 come capitano della Divisione Torino, fu dichiarato disperso in Russia dopo il dicembre 1942. Solo diversi anni dopo i suoi resti furono trovati e si riuscì a stabilire la data di morte, il 25 marzo 1943. Probabilmente morì nel campo di prigionia di Suzdal'. Riposa nel cimitero militare italiano di questa città della Russia centrale europea.



Un francobollo commemorativo
Il 29 gennaio 1933, nell'intervallo della partita Lazio-Bologna, viene consegnata a Mafalda la tessera della Lazio
La principessa Mafalda con i figli

Mafalda di Savoia [modifica | modifica sorgente]

Deceduta nel campo di concentramento di Buchenwald il 28 agosto 1944 - La scheda di S.A.R. Mafalda di Savoia

Mafalda di Savoia, principessa, nata a Roma il 19 novembre 1902, era la secondogenita di Vittorio Emanuele III. Nel 1925 sposò il principe tedesco Filippo d'Assia. Nel 1943, dopo la firma dell'armistizio, i tedeschi organizzarono l'arresto di tutti i Savoia. Mentre il Re riuscì a fuggire a Brindisi, altri componenti della dinastia, fra cui Mafalda, non riuscirono a salvarsi. Anche il marito della principessa fu catturato. I loro figli, invece, rimasero nascosti in Vaticano protetti dal cardinal Montini, futuro Papa Paolo VI. Mafalda, catturata con un tranello organizzato dal criminale nazista Herbert Kappler, venne trasferita prima a Monaco, poi a Berlino e infine nel lager di Buchenwald , dove morì 42 enne, il 28 agosto 1944. Vivace e appassionata sostenitrice biancoceleste, era spesso presente alle partite casalinghe della squadra di cui conosceva personalmente i giocatori. Era socia della S. S. Lazio sin dal 1933.

Mafalda Maria Elisabetta Anna Romana di Savoia, Langravia d'Assia, secondogenita di re Vittorio Emanuele III e della Regina Elena del Montenegro, nasce a Roma il 19 novembre 1902. Il nome era stato scelto da Vittorio Emanuele, ricordando Matilde di Savoia, figlia di Amedeo III, il crociato fondatore dell'abbazia di Altacomba, e sorella di Umberto III il Beato. Matilde sposò nel 1146 Alfonso di Borgogna, primo re del Portogallo ed ebbe una figlia che chiamò Mafalda (in lingua portoghese Mahalda): promessa ad Alfonso II d'Aragona, la principessa preferì il monastero alle nozze, morendo poi in odore di santità ed è tuttora venerata a Cascia (Perugia). Un'altra Mafalda di sangue blu, ma non di Savoia, fu regina di Castiglia, beatificata da papa Pio VI.

Mafalda cresce in un ambiente più familiare che nobiliare. Quando nel 1900, all'assassinio di Umberto I, Vittorio ed Elena salirono sul trono, cambiano radicalmente la vita di corte. Il Quirinale fu la loro prima dimora, ma scelsero di vivere nell'ala detta "della Palazzina", la zona più raccolta e per ubicazione e per struttura, per poi andare ad abitare a Villa Savoia. Il temperamento di Mafalda era allegro e brillante: estroversa e socievole, trascorse una giovinezza felice, grazie alla forte unione familiare, alla presenza costante e dolce della regina Elena, all'affetto di Vittorio Emanuele III, all'affiatamento con il fratello Umberto e le sorelle, in modo del tutto speciale con la principessa Giovanna. Di indole docile ed ubbidiente, ereditò dalla madre il senso della famiglia, i valori cristiani, la passione per l'arte e la musica. Amava il ballo e in particolare la musica classica, soprattutto le opere di Giacomo Puccini, il quale le disse che proprio a lei avrebbe dedicato la Turandot. Trascorse infanzia e giovinezza divisa fra Roma e le località di villeggiatura: Sant'Anna di Valdieri, Racconigi, San Rossore.

Durante la Prima Guerra Mondiale seguì, con le sorelle Jolanda e Giovanna, la madre nelle frequenti visite negli ospedali ai soldati feriti e collaborando agli innumerevoli atti di carità verso i sofferenti ed i poveri della Regina Elena, donna dall'altissimo profilo spirituale della quale è già introdotto il processo di canonizzazione. Conobbe in seguito il langravio Filippo d’Assia (1896-1980), principe tedesco, giunto in Italia per i suoi studi di architettura. Le nozze si celebrarono a Racconigi il 23 settembre 1925. Vittorio Emanuele III per la fausta occasione donò alla figlia un piccolo casale romano situato fra i Parioli e Villa Savoia. Alla casa venne dato il nome di Villa Polissena, in memoria della principessa Polissena Cristina d’Assia-Rotenburg, seconda moglie di Carlo Emanuele III di Savoia. Dalla loro felice unione nacquero quattro figli: Maurizio d’Assia (1926); Enrico d’Assia (1927-1999), Ottone (1937-1998) ed Elisabetta (1940).

La principessa di Savoia fu donna coraggiosa che non misurava il rischio quando si tratta di intervenire per gli altri, così come avvenne durante la Seconda Guerra Mondiale. Con l'armistizio dell'8 settembre 1943, Hitler progettò la sua vendetta ai danni della famiglia reale italiana e come vittima da immolare indicò proprio la consorte del principe d'Assia. Mafalda partì per Sofia per stare accanto alla sorella Giovanna, il cui marito, Boris III re di Bulgaria, era morto per avvelenamento il 28 agosto 1943. La principessa di Savoia non fu messa al corrente dell'armistizio e venne informata soltanto a cose fatte alla stazione ferroviaria di Sinaia, in piena notte, dalla Regina di Romania, mentre stava tornando in Italia. Tuttavia, dimentica di sé, decise di fare ritorno a Roma per congiungersi con i suoi figli e con la sua famiglia d'origine (il marito era prigioniero di Hitler in Germania, alla sua insaputa): era convinta che i tedeschi l'avrebbero rispettata in quanto moglie di un ufficiale tedesco. Con mezzi di fortuna, il 22 settembre raggiunse Roma e scoprì che il re, la regina ed il fratello Umberto avevano lasciato la capitale. Riuscì a rivedere, per l'ultima volta, i figli Enrico, Ottone ed Elisabetta (Maurizio era arruolato in Germania), custoditi da monsignor Giovanni Battista Montini, futuro Paolo VI, nel proprio appartamento.

La Gestapo, che aveva aperto su di lei un vero e proprio Dossier, fece scattare l'"Operazione Abeba": cattura e deportazione di Mafalda di Savoia. Arrestata a Roma il 22 settembre 1943, venne imbarcata su un aereo con destinazione Monaco di Baviera, fu poi trasferita a Berlino ed infine deportata nel Lager di Buchenwald e rinchiusa nella baracca n. 15, sotto il falso nome di Frau von Weber. Le venne vietato di rivelare la propria identità e per scherno i nazisti la chiamavano Frau Abeba. Occupò una baracca insieme all'ex deputato socialdemocratico Rudolf Breitscheid ed a sua moglie, e le venne assegnata come badante la signora Maria Ruhnau, alla quale Mafalda, in segno di riconoscenza, le regalerà l'orologio che portava al polso. La dura vita del campo, il poco cibo (che divideva con coloro che reputava avessero più bisogno di lei) ed il glaciale freddo invernale, deperirono ulteriormente il già gracile e provato fisico di Mafalda. Nell'agosto del 1944 gli anglo-americani bombardarono il lager e la sua baracca venne distrutta. La principessa riportò gravissime ustioni e contusioni su tutto il corpo.

Fu ricoverata nell'infermeria della casa di tolleranza dei tedeschi del lager, ma qui non venne curata. Dopo quattro giorni di agonia, sopraggiunse la cancrena al braccio sinistro che fu amputato con un interminabile e dissanguante intervento chirurgico. Ancora addormentata, Mafalda venne riportata nel postribolo e abbandonata, senza assistenza. Morì a 42 anni, il 28 agosto 1944. Il dottor Fausto Pecorari, radiologo internato a Buchenwald dichiarò che Mafalda era stata intenzionalmente operata in ritardo e l'intervento era il risultato di un assassinio sanitario avvenuto per mano di Gerhard Schiedlausky (poi condannato a morte dal tribunale militare di Amburgo e giustiziato per impiccagione nel 1948), come era già avvenuto per altri casi, soprattutto quando si trattava di eliminare "personalità di riguardo". La salma di Mafalda di Savoia, grazie al padre boemo Joseph Tyl, monaco cattolico dell'ordine degli Agostiniani Premostratensi, non venne cremato, ma fu messo in una cassa di legno, sepolta sotto la dicitura: 262 eine unbekannte Frau (donna sconosciuta). Trascorsero alcuni mesi e sette marinai italiani, reduci dai lager nazisti, trovarono la bara della principessa martire e posero una lapide identificativa.

Dallo studio dell'esistenza della principessa e della sua personalità, emerge la figura di una principessa briosa e mite, intelligente e colta, sempre dedita agli altri; una sposa ed una madre esemplare, di grandissima fede cattolica, sempre pronta alla carità per i più bisognosi e disagiati. Persona semplice, indulgente, benevola e amabile. Piuttosto cagionevole di salute affrontò ugualmente e con amore quattro gravidanze, di cui l'ultima a 38 anni. Donna di grande classe e finezza di tratti, era fortemente ancorata ai valori e ai principi evangelici. Il destino la segnò crudelmente, ma il martirio di Buchenwald non fu altro che l'epilogo di una vita perennemente spesa e protesa verso il prossimo: per vivere accanto all'amato marito, sopportò il rigido clima tedesco fino a quando non le venne impedito dai medici; accettò di occuparsi del "caso Montenegro" (restaurazione del trono Petrovich) per amore di suo padre e di sua madre non considerando che la Gestapo l'avrebbe pedinata; si recò al funerale del cognato per amore della sorella Giovanna, sebbene l'Europa vivesse giorni di ferro e fuoco; per sentire telefonicamente il consorte in Germania, cadde nella trappola predisposta dall'ufficiale tedesco Herbert Kappler, comandante del Servizio Segreto delle SS e della Gestapo a Roma.

Il sacrificio della breve vita è l'ultimo atto di una scena terrena occupata prioritariamente dalla presenza del Vangelo nella sua esistenza: anche nel campo di concentramento di Buchenwald non badò a se stessa, in cima ai suoi pensieri c'erano i figli, il marito, i genitori, gli internati del campo e in particolare agli italiani del lager, ai quali fece sentire tutta la sua vicinanza. Le sue ultime parole furono proprio dirette a loro: "Italiani, io muoio, ricordatemi non come una principessa ma come una vostra sorella italiana". All'esterno della neoclassica Villa Polissena, nella via oggi intitolata a Mafalda di Savoia, è collocato un piccolo altare composto da un rilievo della Vergine con il bambino (a cui Mafalda era molto devota) e da un busto della principessa, sul piedistallo del quale sono incise queste parole: "Alla memoria di Mafalda di Savoia, principessa d'Assia, nata a Roma il 19 novembre 1902, morta da martire a Buchenwald il 28 agosto 1944".

La martire Mafalda di Savoia riposa oggi nel piccolo cimitero degli Assia nel castello di Kronberg in Taunus a Francoforte-Höchst, frazione di Francoforte sul Meno. Più di centocinquanta vie, piazze, giardini pubblici intitolati a lei (anche in città tradizionalmente rosse come Forlì o Modena), un comune che porta il suo nome (in provincia di Campobasso), cippi e monumenti eretti in suo onore, diverse scuole italiane e club dedicati alla sua memoria le richieste di intitolazioni topografiche proseguono dal nord al sud d'Italia. Figlia ideale, madre ideale, moglie ideale, principessa dai connotati straordinariamente umani e cristiani, Mafalda rappresenta una vittima sacrificata sull'altare degli olocausti perpetrati in una guerra dove l'odio ha espresso le sue più turpi facce, in una guerra più ideologica che di conquista.

Dal sito Santi Beati Testimoni è possibile approfondire la figura di Mafalda di Savoia.

Per altri ulteriori approfondimenti: Cristina Siccardi, Mafalda di Savoia. Dalla reggia al lager di Buchenwald - Ed. Paoline.




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