Domenica 29 novembre 1992 - Roma, stadio Olimpico - Lazio-Roma 1-1

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29 novembre 1992 - 2542 - Campionato di Serie A 1992/93 - XI giornata - calcio d'inizio ore 15.00

LAZIO: Fiori, Bonomi, Favalli, Bacci (69' Stroppa), Gregucci, Cravero (49' Bergodi), Fuser, Doll, Winter, Gascoigne, Signori. A disp.: Orsi, Sclosa, Neri. All. Zoff.

ROMA: Zinetti, Bonacina, Carboni (8' Tempestilli), Aldair, Benedetti, Comi, Mihajlovic, Hassler, Carnevale (80' Salsano), Giannini, Rizzitelli. A disp.: Fimiani, Petruzzi, Muzzi. All. Boskov.

Arbitro: Sig. Luci (Firenze).

Marcatori: 48' Giannini, 86' Gascoigne.

Note: Carboni riporta un grave infortunio al ginocchio sinistro; ammoniti Gregucci, Bonomi, Giannini, Tempestilli, Gascoigne. Antidoping: Cravero, Neri, Fimiani, Salsano.

Spettatori: 75.000 circa con 43.235 paganti per un incasso di £. 2.026.735.000; abbonati 30.269 con una quota di £. 789.467.000. Incasso complessivo di £. 2.816.202.000.

Il biglietto (giallo) in "Curva Nord"
Il biglietto (rosa) in "Curva Sud"
Gascoigne in azione
La rete di Gascoigne
Gascoigne corre verso la Curva Nord dopo la rete
Il pianto dirotto di Paul alla fine della partita
Gazza sommerso dagli abbracci dei compagni
Il goal di Gazza
Monica Vitti in tribuna
Gascoigne dopo la rete del pareggio

Un lampo di Gascoigne, fantasma che all'improvviso prende consistenza e, proprio in pieno psicodramma laziale, ricostituisce il quinto 1-1 consecutivo nel "povero derby" miliardario, come se questo calcio romano sapesse ormai spartire solo i propri guai. Certo, vincono ancora le contrapposte coreografie, quell'Olimpico camuffato da astronave per galassie immaginarie, dove chi entra può anche pensare a un "great event", almeno prima di memorizzare la stracittadina terra terra. Che nessuno gioca davvero lungo 45 minuti desolanti, pieni di botte o impedimenti distruttivi uomo sopra uomo, con fraseggi giallorossi comunque meno penosi, causa oppositori attorcigliati dentro ingiustificate paure. Zoff fuma senza racimolare neppure idee rettificanti. E lasciato fuori Riedle, bloccata dietro consegne capovolte la parte creativa del suo invidiabile potenziale, assiste imperturbabile al liquefarsi di Signori, unico avanguardista incapsulato tra Benedetti-Comi, stracciato verso palle marce, mentre Aldair decentra Doll, costringendolo a saltabeccare tra fumose girandole centrocampistiche. Invereconda rappresentazione, subito grondante scorrettezze, subito farcita di scontri e ossa scricchiolanti. Bacci addosso a Giannini, Winter sulle caviglie di Mihajlovic, Bonacina coi randelli per Gascoigne, Gascoigne e Gregucci picchiatori vaganti. Qua l'arbitro Luci sembra stralunato. Qua Carboni, che Winter aggancia col recupero purchessia, finisce prima di cominciare, dopo appena una manciata di minuti. Devono portarlo via in barella (grave infortunio, lesione al legamento crociato anteriore del ginocchio sinistro) e tocca a Tempestilli l'incarico di bloccare Fuser, unico scattista esterno capace di saltuari cambi di marcia. Troppo poco pure davanti all'attuale convento "boskovita" avaro d'accensioni, che Giannini e Hassler rincuorano ad ogni modo, oltre le amnesie biancoazzurre, oltre un Gascoigne appesantito che conta i suoi passi. Cambierà ? Tre segnali manda la Roma nel grigiore collettivo: un'incursione. Bonacina quale supporto dell'esecutore Hassler, poi l'ostinazione di Carnevale apripista (rifinisce Mihajlovic, Rizzitelli anticipa l'imbacalito Bonomi, ma sbatte accanto al palo); poi la folata Hassler-Carnevale-Tempestilli che evapora di poco distante dall'obiettivo. Derby svalutato. Derby che, scavalcate le meditazioni di ogni intervallo, prende quota grazie ad un rigurgito di girar palla laziale, che il solitario Hassler frantuma, accentrandosi per dettare l'assist verticale. Qui si scopre che la Lazio è davvero abitata dalle streghe: difatti s'avventano in tre e Carnevale, rispetto alle sentinelle Cravero-Gregucci, appare attardato. Però Cravero manca l'intervento, mentre Gregucci si squaderna quanto può col risultato di compromettere Fiori a mezza via. Fiori respinge giusto per facilitare l'accorrente Giannini, che deposita nella porta spalancata. Ecco: raggiunta la meta provvisoria, i "boskoviti" si suggestionano al punto di non esercitare più l'acquisito diritto di vincere. Essi si afflosciano, squassati dalle avanzate di Fuser o di qualche altra anima sensibile allo sgomento raggelante dei prevalenti innamorati biancoazzurri sugli spalti. Intendiamoci: la carica dell'orgoglio, che attiverà Gazza a quattro passi dallo sfascio, non contiene messaggi futuristi in senso meramente calcistico. Sostituito Cravero ammaccato, cancellato Bacci per dar via libera ai piedi accettabili di Stroppa, la Lazio scopre cugini vulnerabili, sguinzagliando al rischiatutto l'estro di alcuni solisti. Toh, tratteggia la prima proposta in profondità lo stesso Gascoigne e Signori pianta Comi, salvo delegare Doll, meglio appostato, per la botta riequilibrante. Nossignori, piombato a dovere prima di Aldair, il tedesco pregusta forse ad occhi socchiusi la semplice realizzazione, mirando troppo angolato. Disdetta insopportabile. Disdetta che accresce lo smarrimento dei perdenti, quando con procedura contropiedistica tanto Mihajlovic quanto Rizzitelli e Hassler potrebbero arrotondare. Fiori oppone mani che non tremano. Sono gli attimi degli accorati capovolgimenti di fronte, saltate parecchie marcature. Sono gli attimi mal gestiti da due reparti arretrati egualmente difettosi. E Fuser, siluro da trenta metri, centra la traversa. Rimbalza sulla riga di porta la palla, anzi forse tutta dentro, chissà. Non c'è tempo per rimasticare. Tempestilli travolge Fuser in fuga. Punizione di Signori agli sgoccioli. E Gazza s'arrampica su, più su di Benedetti, eliminando gli incubi. Poi piange lacrime di derby.

Zoff si lamenta, dice che la Lazio meritava la vittoria. I giallorossi accusano Gascoigne di essere un provocatore. Il derby si anima nel dopo-partita. Ciarrapico è infuriato: "Sì, ho sentito le invettive urlate dalla curva Nord. Se Cragnotti li avalla, significa che non ha stile: la nostra curva ha dimostrato più signorilità, l'educazione è la nostra filosofia di vita". E lui, il presidente biancoazzurro, non si tira certo indietro: "Il gol di Fuser c'era tutto", giura adeguandosi alle lamentele della squadra sulla traversa colpita dal centrocampista a una manciata di minuti dalla fine. Sulla contestazione al suo tecnico aggiunge: "Non si discute. Dovremmo prendere un sostituto che non esiste". Insomma, chi si aspettava frasi alla camomilla dopo un pareggio che sembrava accontentare tutti, si è sbagliato di grosso. E Boskov ad aprire il fuoco di fila dei rimpianti e delle recriminazioni: "Il risultato è giusto", esordisce andando contro corrente rispetto al "collega". "Loro hanno avuto occasioni più nitide, noi abbiamo messo spesso in difficoltà Fiori, che è stato bravo in parecchi momenti. La Roma può lamentarsi solo per la rete subita quando mancava poco alla fine, ma la colpa è tutta nostra: una grande squadra non si fa chiudere in difesa, non rischia di subire calci di rigore e punizioni, cerca di spingersi in avanti e di chiudere la partita". E sul pianto di Gascoigne in occasione del pareggio, Boskov è pesantissimo: "E un debole di morale". Sarà per i primi, infuocati minuti di gioco. Sarà perché i suoi giocatori non hanno risparmiato l'inglese. Fatto sta che il tecnico romanista sembra voler condannare senza scampo il suddito di Sua Maestà. Tempestilli è serissimo: "Dalle tribune non lo potete capire, ma dice "fuck off". Provoca e bisogna essere molto calmi per non rispondere". Comi è ancora più duro: "L'inglese ha cercato di fare il furbo, ha provocato, cercava sempre la rissa. Ma non gli andrà bene: prima o poi tutti i nodi vengono al pettine". E Zoff? E' scuro in volto, il sorriso non lo accompagna. "I cori contro di me? Li ho sentiti ma non dico nulla". Sul risultato non ha dubbi: "Se andiamo a vedere come è maturato, è quasi bugiardo. Quel tiro di Fuser quasi dentro, le tante occasioni che abbiamo avuto nel secondo tempo. Prima del riposo è stata una battaglia: non è il tipo di gioco che fa per noi, siamo più "tecnici". E anche un fuoriclasse come Gascoigne ne ha risentito, anche se poi ha segnato la rete del pareggio". Tutti contro tutti, dunque, in attesa del ritorno, il derby delle rivincite.

Hanno sottoscritto il risultato, Giannini e Gascoigne, ma la loro prestigiosa garanzia non ha salvato dalla svalutazione un derby travolto dal riflusso di una disarmante mediocrità. Il gol del primo ha scaraventato nel più profondo sgomento la sbrindellata brigata di Zoff; quello dell'inglese ha spento i sogni di un legittimo trionfo della diligente Rometta, che Boskov sta pazientemente riallestendo. Due leader, due modi opposti di proporsi, di guidare i compagni, di esibirsi nei ruoli loro assegnati. Saggio, sereno, ma caparbio il capitano giallorosso; bizzarro, irritante, sottilmente furbo il fuoriclasse britannico alla sua prima, seppur deludente, comparsa stracittadina. Due modi di porsi, di agire e di reagire. Marcato il gol dell'illusorio vantaggio, grazie alla disarmante benevolenza dei dissestati difensori laziali, Giannini ha tradito la sua apparente flemma, e sfilandosi la maglietta, gradi compresi, l'ha roteata festosamente sotto gli occhi degli esultanti fedelissimi della curva sud, pagando con una giusta ammonizione il suo fin troppo appariscente gesto d'amore, la sua pittoresca ma legittima euforia. "Val la pena, credetemi - ha confessato a bocce ferme - un gol alla Lazio, un gol che può decidere il derby di Roma val bene uno spogliarello. E prima di smettere quest'attività, mi auguro proprio di poterlo fare". Promessa che le brigate romaniste han presa per buona. Quando invece a segno è andato Gascoigne, improvvisamente riemerso da un irritante anonimato, la fuga verso la curva laziale è stata rabbiosa, sanguigna, suggerita, anzi imposta quasi dallo spirito liberatorio di un senso di colpa per via d'una prestazione anonima, grigia, lacunosa. E ha pianto. Sì, ha pianto, come un bambino, mentre i compagni lo sommergevano nel protocollare abbraccio collettivo. "E vero - precisa l'inglese quando la paura è passata - quella corsa, finita in un pianto, è servita per scaricarmi dalla gioia per aver evitato la sconfitta. Quando si esce da un incubo è lecito anche piangere, no?". E poi racconta ironizzando: "Confesso che già cominciavo a temere il peggio. Non vedevo via d'uscita, non credevo più in noi. Pensavo, credetemi, dove sarei potuto andare a cena dopo la partita. Sì, pensavo dove mi sarei andato a nascondere. E mi ha confortato soltanto la possibilità di farmi portare a casa la cena da un amico. Giuro, non sarei uscito per qualche giorno se non avessi fatto questa levata di testa". Bene, allora s'è capito perché il condottiero laziale venuto d'oltremanica abbia disputato in sordina il suo primo derby romano, impegolato com'era in ameni ragionamenti mentre le truppe se le davano di santa ragione. "Bella sfida - dichiara divertito - indimenticabile spettacolo per la coreografia offerta dalle tribune. Sì, noi tutti in campo abbiamo pareggiato, ma il pubblico ha vinto. Per me è stata forse la giornata più esaltante della mia carriera". E gli crediamo perché mai il fuoriclasse d'albione s'era esibito in una così enigmatica prestazione. Dedito più alle provocazioni che all'arte pedatoria che indubbiamente conosce, Gascoigne dopo aver maltrattato, anzi brutalizzato Carnevale e qualche altro rivale di giornata, è scomparso, per una buona oretta, ricordandosi d'essere abile calciatore quando ha sfoggiato un invitante suggerimento a Signori e Doll e poi quando è svettato più alto di tutti lasciando di stucco l'incolpevole Zinetti. Poco per un fuoriclasse al quale questa Lazio s'aggrappa disperatamente. "Abbiamo giocato male, siamo onesti, la Roma s'è battuta meglio. Ma alla fine abbiamo messo giudizio. E il pareggio, seppur acciuffato per i capelli, è meritato". Poi scompare inghiottito del tiepido applauso delle coorti biancoazzurre. Così, mister Gascoigne s'asciuga la lacrima sul viso.

Fonte: Corriere della Sera