Mihajlović Siniša: differenze tra le versioni
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► Sinisa e Roby per sempre. Insieme cambiarono la storiadella Lazio. |
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Se n’è andato via proprio come aveva vissuto, dal primo all’ultimo giorno, lottando contro tutto e contro tutti e sempre senza paura. Sì, perché Sinisa non ha mai avuto paura di niente, non ha avuto paura delle bombe a Belgrado e di confessare che aveva dato del negro a Vieira, non ha avuto paura di una curva che lo sfidava e di una malattia che non lo aveva mai messo in ginocchio, fino a qualche ora fa. Stavolta ha dovuto affrontare un nemico che non si poteva schiacciare, è rimasto in trincea e lo ha combattuto a viso aperto, come faceva con gli avversari più veloci di lui, che [[Eriksson Sven Goran|Eriksson]] trasformò in un difensore capace di intuire prima che cosa avrebbe fatto il suo avversario. Non era rapido? E chissenefrega, spesso lo anticipava o addirittura lo spaventava, perché era un duro e non tutti avevano il coraggio di affrontarlo. Della Lazio era diventato un simbolo, un’icona, un’immagine vincente, anche se poi avrebbe scelto l’[[Inter]] per chiudere una carriera ricca di successi: fu invitato ad andarsene da Roma e il desiderio di seguire l’amico del cuore, Roby come lo chiamava lui, è stato più forte dell’amore per una squadra che gli era entrata nel cuore. Ogni volta che Mihajlovic è tornato a Roma, è stato accolto come un grande amico, mai come un nemico. Sotto la Nord, a mani giunte, per ringraziare la sua gente che oggi lo ricorda come [[Maestrelli Tommaso|Maestrelli]], come [[Chinaglia Giorgio|Chinaglia]], come [[Lovati Roberto|Bob Lovati]] e [[Re Cecconi Luciano|Re Cecconi]], come [[Wilson Giuseppe|Wilson]], [[Pulici Felice|Pulici]] e [[Governato Nello|Governato]], come tutti i campioni scomparsi con la maglia biancoceleste sulla pelle. |
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Sinisa era arrivato nell’estate del [[1998|‘98]], qualche mese dopo [[Mercoledì 6 maggio 1998 - Paris, stade Parc des Princes - Lazio-Inter 0-3|il crollo della Lazio a Parigi]], nella finalissima di [[Coppa Uefa]] contro l’[[Inter]] di Ronaldo. Fu proprio [[Mancini Roberto|Mancini]] a suggerire prima a [[Eriksson Sven Goran|Eriksson]] e poi a [[Cragnotti Sergio|Cragnotti]] l’acquisto del difensore della [[Sampdoria|Samp]], ancora prima di imporre l’arrivo di [[Simeone Diego Pablo|Simeone]] nell’operazione [[Vieri (I) Christian|Vieri]]. ''"Non siamo cattivi, non abbiamo la mentalità per vincere, una [[Coppa Italia]] non può bastare: presidente, porti Sinisa a Roma"''. Mihajlovic era stato un terzino della [[Roma]], ma nessuno osò ricordare il suo passato perché Sinisa era già proiettato nel futuro. Aveva un carisma che ti conquistava. Sbruffone, ma dolcissimo. Cattivo, ma onesto. Coraggioso, ma anche antipatico: se non entravi in sintonia con lui, non potevi capire le sue provocazioni, i suoi messaggi, le sue pretese ma anche le sue concessioni. Sinisa era tutto e il contrario di tutto, nel bene e nel male. Era talmente testardo nella difesa delle proprie idee, da interrompere per oltre un anno anche l’amicizia con [[Mancini Roberto|Mancini]], che invece era e sarà il suo amico per sempre. Non si erano capiti: Sinisa aggrappato come sempre alla sua Arianna, Roberto lontano da Federica per una dolorosa scelta di vita. Si sono ritrovati quando è comparsa la malattia, ma già avevamo intuito tutti che si sarebbero riabbracciati, come a Genova, come a Roma e come a Milano. Sempre l’uno accanto all’altro: Mihajlovic, in campo, per Roby era diventato un nuovo Vialli perché per vincere non bastava il talento, serviva qualcosa che non tutti i giocatori possiedono. |
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Proprio per questo [[Mancini Roberto|Mancini]] lo aveva consigliato alla Lazio, dove Sinisa diventò un comandante. C’era il clan dei sampdoriani e c’era il clan degli argentini, nella squadra con cui Mihajlovic ha vinto uno [[scudetto]], una [[Coppa delle Coppe]], una [[Supercoppa Europea]], 2 [[Coppa Italia|Coppe Italia]] e due [[Supecoppa Italiana|Supercoppe]] scrivendo pagine indimenticabili della storia biancoceleste: ricordava la Lazio del [[1974|‘74]] per gli umori e per gli amori. C’erano moltissimi campioni di cui potevano innamorarsi i bambini che andavano accompagnati dai genitori allo stadio. Di Padre in Figlio per sempre, ricordò [[Wilson Giuseppe|Pino Wilson]] nella storica notte in cui riempì lo [[Olimpico|stadio Olimpico]] riunendo generazioni di laziali vincenti e perdenti: e non sapete quanti amavano, tra quei bambini, uno come Sinisa, che quando sorrideva senza sfidarti diventava tenero e irresistibile. Ti poteva regalare una maglia all’improvviso (rigorosamente la numero 11), oppure incazzarsi perché non credevi al suo pensiero. Nello stadio del [[Chelsea]], lo Stamford Bridge, Mihajlovic segnò un gol storico, [[Mercoledì 22 marzo 2000 - London, Stamford Bridge stadium - Chelsea FC-Lazio 1-2|regalando alla Lazio una vittoria indelebile]]; il [[13 dicembre]] del [[1998]] [[Domenica 13 dicembre 1998 - Roma, stadio Olimpico - Lazio-Sampdoria 5-2|realizzò tre gol consecutivi su punizione]] contro la sua vecchia [[Sampdoria|Samp]], conquistando un record storico e forse imbattibile in eterno. Ma Sinisa ha anche calpestato Mutu e offeso Vieira, ha minacciato [[Nedved Pavel|Nedved]] e consigliato a Boskov di lanciare Francesco Totti, con cui si sarebbe ritrovato nella Questura di San Vitale nella notte in cui il [[derby]] del [[2004]] [[Domenica 21 marzo 2004 - Roma, stadio Olimpico - Lazio-Roma 0-0 (sospesa al 73' per motivi di ordine pubblico)|venne sospeso per questioni di ordine pubblico]]: erano i capitani della Lazio e della [[Roma]] e dovevano rivelare i contenuti dei loro colloqui con gli ultrà in mezzo al campo. Mihajlovic era un angelo e anche un diavolo, ma non abbastanza cattivo da battere l’ultimo nemico, talmente infame da non sfidarlo pubblicamente: altrimenti avrebbe vinto Sinisa. |
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Versione delle 21:35, 18 dic 2022

Foto Getty Images
Difensore serbo, nato a Vukovar (Croazia) il 20 febbraio 1969 e deceduto a Roma il 16 dicembre 2022.
Milita nel Vojvodina, nella Stella Rossa Belgrado (con cui vince una storica Coppa dei Campioni), poi nella Roma AS per due stagioni. Viene acquistato nel 1998 dalla Sampdoria e disputa successivamente 6 stagioni in maglia biancoceleste. Con la Lazio colleziona 126 presenze e 20 reti in Campionato. Nel 2004 passa all'Internazionale FC dove chiude la carriera da calciatore. Campione d'Italia nella stagione 1999/2000, ha segnato il primo storico gol della Lazio in Coppa dei Campioni - Champions League. Ottimo difensore - dopo gli esordi da ala, di qui il numero 11 sulle spalle, poi conservato per il resto della carriera - Sinisa è stato un calciatore dotato di grande visione di gioco che sapeva unire a un marcato agonismo, copriva bene gli spazi e grazie ad una tecnica sopraffina e a un calcio preciso e lungo sapeva ribaltare velocemente il versante di gioco. Mancino naturale, è stato uno dei migliori specialisti di tutti i tempi nel tirare i calci di punizione. Sapeva, infatti, unire la potenza al colpo d'effetto che conferiva alla palla traiettorie imprevedibili.
Terminata la carriera di calciatore, diviene allenatore in seconda dell'Inter di Roberto Mancini. Dal novembre 2008 allena il Bologna, ma viene esonerato nell'aprile 2009. A dicembre 2009 viene assunto dal Catania ma si dimette alla fine del campionato e va ad allenare la Fiorentina nella stagione 2010/11. Confermato nella stagione seguente, il 7 novembre 2011 viene tuttavia esonerato. Dal 21 maggio 2012 diviene Commissario Tecnico della Nazionale Serba. Il 21 novembre 2013 assume la guida tecnica della Sampdoria che nel frattempo ha esonerato il precedente allenatore Delio Rossi. L'esordio sulla panchina blucerchiata avviene proprio nella gara disputata dai liguri contro la Lazio. Nella stagione 2015/16 passa sulla panchina del Milan AC dove viene esonerato a poche giornate dalla fine dopo aver conquistato l'accesso alla finale della Coppa Italia. Diventa poi allenatore del Torino AC per la stagione 2016/17 e viene confermato per la stagione successiva 2017/18 ma è esonerato a gennaio 2018. A giugno 2018 assume la carica di tecnico dello Sporting Lisbona (Portogallo), ma dopo nove giorni viene sollevato dall'incarico.
A gennaio 2019 viene ingaggiato del Bologna, in lotta per la retrocessione, al posto di Filippo Inzaghi e centra l'obiettivo della salvezza con una giornata d’anticipo pareggiando 3-3 contro la Lazio. Il 13 luglio 2019 annuncia in conferenza stampa di abbandonare momentaneamente la guida della compagine felsinea per sottoporsi a cure mediche, a causa di una forma acuta di leucemia. A tre anni e mezzo dal suo incarico come allenatore degli emiliani, Sinisa - che combatteva ancora contro una recidiva ripresentatasi nel corso della primavera del 2022 - il 6 settembre viene esonerato dal Bologna a causa di un deludente avvio di campionato della squadra rossoblù. Nel novembre 2022 un'ulteriore recidiva lo costringe a pesanti cure alla Clinica Paideia di Roma. Nonostante tutti i tentativi dei medici e la sua forza d'animo, spira nella tarda mattinata del 16 dicembre 2022 nella struttura sanitaria di Roma nord.




Vasta eco e profondo dolore hanno caratterizzato la notizia della prematura scomparsa di Sinisa Mihajlovic nella giornata del 16 dicembre 2022. Gli articoli seguenti, tratti da vari organi di stampa, ci aiutano a ricordare e ci raccontano ulteriormente la figura del grande Campione biancoceleste.
• Dal Corriere dello Sport del 17 dicembre 2022:
Sinisa così fa troppo male. È morto ieri, a 53 anni, sconfitto dalla malattia. Si è battuto a lungo per ogni piccolo momento di felicità, sostenuto dal grande amore per il calcio. L’omaggio silenzioso dei tifosi, il dolore degli amici del figlio. La famiglia: "Morte ingiusta e prematura". A luglio del 2019 aveva annunciato di avere la leucemia.
► Roberto Mancini se ne va dalla clinica Paideia alle sette e mezzo di sera, da solo, guidando una 500 Abarth dopo essere rimasto un bel pezzo appoggiato a una parete, a vegliare l’amico scomparso. Sinisa Mihajlovic ha lasciato tutti, i figli, la moglie, la madre, il fratello di campo, all’inizio del pomeriggio. Alle 15.08 lo annuncia l’agenzia Ansa con un comunicato della famiglia: "Una morte ingiusta e prematura". A 53 anni è certamente prematura, e ingiusta come tutte le morti del mondo. Soprattutto, una morte testarda: ha inseguito Mihajlovic fino a sfinirlo, facendogli credere per un po’ di averla seminata, raggiungendolo quando era distratto e probabilmente felice. Leucemia mieloide acuta, sta scritto sulle scartoffie che i medici portano avanti e indietro lungo i corridoi della clinica romana. Siamo foglie al vento e fogli di carta. Mihajlovic aveva conosciuto la malattia a metà del 2019, se n’era liberato grazie a un trapianto di midollo osseo ricevuto da un donatore statunitense, era tornato a dialogarci qualche tempo fa. Diciamo pure a combatterci, anche se la storia del guerriero che non si arrende fa più settimo sigillo che storia reale di un uomo concreto qual era Sinisa. Che infatti poco la sopportava. Combatteva, ma per conquistare quel passo in più di terreno quotidiano: la partita da seguire in panchina, l’allenamento personale da portare avanti, un chilometro da aggiungere piuttosto che uno da sottrarre.
La serata a parlare in pubblico di calcio e di ciò su cui il calcio secondo lui si fondava, intelligenza, qualità e, in questo caso sì, voglia di vincere contro qualsiasi speranza. Per la lotta, lasciava fare alla medicina. Meno di tre settimane fa era alla presentazione di un libro di Zdenek Zeman, con il sorriso di chi si sente bene e al posto giusto. Domenica scorsa per un improvviso aggravamento era dovuto tornare alla Paideia, la clinica dove si era sempre curato sin dall’inizio del periodo alla Lazio. Stava vicino a casa sua, poi si è spostata nella sede attuale. Un candido poliedro regolare spezzato da cornicioni orizzontali, con i muri interni rivestiti di materiale azzurro. All’esterno, pannelli luminosi attraversati da nevicate di luce ricordano che è quasi Natale. Dentro, le stanze somigliano a camere d’albergo spaziose e comode. Ma sempre stanze d’ospedale sono. Odorano di medicinali e disinfettante. Mihajlovic era nella numero 326, al terzo piano. Ieri riposava, infine, con il viso segnato dall’infezione che lo aveva colpito, proprio nel momento in cui le sue difese non reagivano. Hanno visto i figli seduti in terra intorno al letto, la moglie Arianna accanto a lui, la madre sul divano del salottino attiguo alla camera. Un dolore intenso, composto ma non represso, non distante. E Mancini appoggiato alla parete.
Pochi amici della vicenda recente di Mihajlovic - come Massimo Ferrero, tuttora proprietario della Sampdoria, e dirigenti della Lazio di una volta - si sono avvicinati alla salma, mentre in tanti erano andati a salutare l’amico nei giorni scorsi, quelli della lotta finale per un respiro, per qualche parola. E in tanti torneranno oggi se, come sembra, la camera ardente verrà allestita nella stessa clinica in forma privata. Per domani è allo studio un omaggio pubblico in Campidoglio e il funerale è programmato per lunedì alle 11 nella basilica di Santa Maria degli Angeli, in Piazza della Repubblica a Roma. C’erano i tifosi, però. Qualcuno. Intimidito, discreto, rispettoso di un dolore che là, sotto il poliedro candido, si poteva soltanto intuire. A tarda sera in tre hanno tentato di portare una maglia della Lazio alla famiglia. Non li hanno lasciati entrare. Se ne sono andati senza protestare. Non erano lì per sé stessi, bensì per rendere omaggio alla memoria di un giocatore che li aveva glorificati e di un allenatore che ha tentato di glorificare altri ma sempre rivendicando, con pacato orgoglio, la sua specificità: non ho nulla contro la Roma AS e ovviamente contro nessuno, diceva, però io mi sento profondamente laziale. E diceva anche: nella vita serve coraggio e bisogna avere personalità.
Per esempio, Guido De Angelis racconta di quando Mihajlovic e Stankovic fuggivano in macchina dai bombardamenti in Serbia e Stankovic piangeva e Sinisa gridava: che cavolo piangi? E casualmente tutto finì trasmesso direttamente in radio. Per questo e per il resto, Mihajlovic era un personaggio verticale e trasversale. Divisivo nella misura in cui voleva esserlo, per pura onestà sentimentale e intellettuale. Da pomeriggio a notte, immerso in un’umidità sempre più cattiva, ha stazionato sul marciapiede opposto a quello dell’ingresso della Paideia un gruppetto di ragazzi. Guardavano verso la finestra della camera di Sinisa, da cui di tanto in tanto qualcuno ricambiava gli sguardi e i gesti. Tifosi anche loro, certo, ma senza bandiera. I più della Lazio, qualcuno della Roma AS. Tifosi per caso. Erano gli amici di Nicholas, uno dei figli lasciati da Mihajlovic. Non aspettavano alcuna resurrezione, neppure concettuale, di un idolo calcistico che aveva completato il suo percorso terreno, aveva vinto e perso, gridato e rotto serrande nei momenti di insofferenza, consolato e sostenuto in quelli di pedagogia, e Mihajlovic ne viveva perché sentiva di avere visto molto e di averne di cose da insegnare. No, quei ragazzi aspettavano soltanto che scendesse Nicholas, per incoraggiarsi insieme ad andare avanti. Nel frattempo, lo spiazzo davanti alla clinica si era svuotato. Sull’asfalto umido si riflettevano le scritte dei pannelli natalizi e la neve di luce continuava a cadere.
► "Ho perso un fratello". "Io e Mihajlovic abbiamo condiviso quasi trent’anni di vita insieme: lo portai alla Samp con un anno di ritardo, perché la Roma AS riuscì ad anticiparci. Grazie a lui ho fatto il gol più bello della mia carriera".
Non trova le parole, perché è tutto così difficile. Lo aveva capito da giorni che avrebbe perso il suo amico del cuore, ma poi è successo e anche se ti sei preparato non sai come affrontare il dolore e la nuova vita senza Sinisa. "Pochi giorni fa, prima che lo ricoverassero, avevamo visto insieme una partita del Mondiale. Ridendo e scherzando, stava abbastanza bene, era uno di quei momenti in cui non pensi a quello che stai affrontando e vivi come se nulla fosse". Roberto Mancini è sconvolto, non si era allontanato da Roma per stare accanto ad Arianna e ai suoi figli. "Sono cresciuti con i miei, abbiamo percorso tutte le tappe della nostra vita insieme, almeno quelle più importanti. Per me era un fratello, sì ho perso un fratello perché siamo andati oltre l’amicizia. Inevitabile quando condividi tante emozioni l’uno accanto all’altro". Niente sarà come prima. Tanti anni fa, Mancini pianse per la morte di Paolo Mantovani, un presidente-padre. Era il 1993 e Roberto con la Samp aveva vinto uno scudetto e perso una finale di Coppa dei Campioni contro il Barcelona a Wembley scrivendo la storia blucerchiata. L’anno successivo alla scomparsa del padrone della Samp, arrivò a Genova proprio Mihajlovic e non per caso. Lo rivela proprio l’attuale ct della nazionale italiana, che iniziò a fare mercato per i suoi club molto prima di arrivare a Roma e di collaborare con Sergio Cragnotti.
Decisivo, nel ‘99, quel consiglio al finanziere della Lazio: "Se deve cedere Vieri a Moratti, prenda Simeone perché ci farà vincere lo scudetto". Anche a Genova, molto più giovane, ebbe la vista lunga e oggi il ricordo assume un valore emotivo diverso. "Vidi Mihajlovic giocare con la Stella Rossa Belgrado l’anno in cui vinse proprio la Coppa dei Campioni, consigliai alla Samp di acquistarlo subito. Si trattava di un giovane di vent’anni che giocava come un veterano e in più aveva un sinistro da favola. La Roma AS fu più brava di noi e ce lo portò via, ma due anni dopo finalmente riuscimmo a prenderlo. Da quel momento è iniziata la nostra grande avventura". Quasi trent’anni insieme, anche se le rispettive carriere di allenatori li aveva separati dal punto di vista logistico. Mihajlovic aveva cominciato al fianco di Mancini all’Internazionale FC, come vice, ma aveva una personalità prorompente e un’ambizione pari a quella da giocatore per lavorare in coppia. Da solo iniziò nel novembre del 2008 a Bologna, guarda caso la società e la città in cui Roberto aveva iniziato a giocare. "Era inevitabile che le strade si dividessero, ma insieme abbiamo condiviso tanti anni con la Samp, con la Lazio e con l’Internazionale FC. Abbiamo vinto molto, quasi tutto, in un percorso condiviso. Il nostro non era un clan, era un grande gruppo di amici. Difficile catalogare i ricordi, come sarebbe mai possibile? Ce ne sono a centinaia, difficile anche fare una scelta".
Nessun rimpianto, se non quello di averlo perso per sempre. "Ma solo dal punto di vista fisico, perché Sinisa è sempre stato accanto a me e lo sarà anche adesso che non c’è più". C’è un lampo negli occhi di Mancini in una giornata così triste e devastante. Un pensiero improvviso, come se volesse allontanare il dolore o il pensiero che Mihajlovic non c’è più. "Sinisa mi ha fatto fare il gol più bello della mia carriera, come potrei avere dei rimorsi? Di tacco ne avevo fatti tanti altri, ma quello resta unico". Era il 17 gennaio del 1999, Parma-Lazio al Tardini: angolo di Sinisa, magia di Roberto, palla all’incrocio dei pali e abbraccione con Bobo Vieri, incredulo di fronte a tanta bellezza. "Oggi posso dire che è il più bello davvero" sussurra il ct che rende onore all’amico appena perso. C’era anche il gol di Napoli, al San Paolo, con la maglia della Samp ma l’emozione è diversa. "Non è giusto che una malattia così atroce si porti via un ragazzo di 53 anni. Sinisa ha lottato come un leone fino all’ultimo istante, come faceva in campo. Lo ricorderò per sempre così, tosto e coraggioso, le qualità per cui l’ho sempre voluto accanto a me".
► Sinisa e Roby per sempre. Insieme cambiarono la storiadella Lazio.
Se n’è andato via proprio come aveva vissuto, dal primo all’ultimo giorno, lottando contro tutto e contro tutti e sempre senza paura. Sì, perché Sinisa non ha mai avuto paura di niente, non ha avuto paura delle bombe a Belgrado e di confessare che aveva dato del negro a Vieira, non ha avuto paura di una curva che lo sfidava e di una malattia che non lo aveva mai messo in ginocchio, fino a qualche ora fa. Stavolta ha dovuto affrontare un nemico che non si poteva schiacciare, è rimasto in trincea e lo ha combattuto a viso aperto, come faceva con gli avversari più veloci di lui, che Eriksson trasformò in un difensore capace di intuire prima che cosa avrebbe fatto il suo avversario. Non era rapido? E chissenefrega, spesso lo anticipava o addirittura lo spaventava, perché era un duro e non tutti avevano il coraggio di affrontarlo. Della Lazio era diventato un simbolo, un’icona, un’immagine vincente, anche se poi avrebbe scelto l’Internazionale FC per chiudere una carriera ricca di successi: fu invitato ad andarsene da Roma e il desiderio di seguire l’amico del cuore, Roby come lo chiamava lui, è stato più forte dell’amore per una squadra che gli era entrata nel cuore. Ogni volta che Mihajlovic è tornato a Roma, è stato accolto come un grande amico, mai come un nemico. Sotto la Nord, a mani giunte, per ringraziare la sua gente che oggi lo ricorda come Maestrelli, come Chinaglia, come Bob Lovati e Re Cecconi, come Wilson, Pulici e Governato, come tutti i campioni scomparsi con la maglia biancoceleste sulla pelle.
Sinisa era arrivato nell’estate del ‘98, qualche mese dopo il crollo della Lazio a Parigi, nella finalissima di Coppa UEFA contro l’Internazionale FC di Ronaldo. Fu proprio Mancini a suggerire prima a Eriksson e poi a Cragnotti l’acquisto del difensore della Samp, ancora prima di imporre l’arrivo di Simeone nell’operazione Vieri. "Non siamo cattivi, non abbiamo la mentalità per vincere, una Coppa Italia non può bastare: presidente, porti Sinisa a Roma". Mihajlovic era stato un terzino della Roma AS, ma nessuno osò ricordare il suo passato perché Sinisa era già proiettato nel futuro. Aveva un carisma che ti conquistava. Sbruffone, ma dolcissimo. Cattivo, ma onesto. Coraggioso, ma anche antipatico: se non entravi in sintonia con lui, non potevi capire le sue provocazioni, i suoi messaggi, le sue pretese ma anche le sue concessioni. Sinisa era tutto e il contrario di tutto, nel bene e nel male. Era talmente testardo nella difesa delle proprie idee, da interrompere per oltre un anno anche l’amicizia con Mancini, che invece era e sarà il suo amico per sempre. Non si erano capiti: Sinisa aggrappato come sempre alla sua Arianna, Roberto lontano da Federica per una dolorosa scelta di vita. Si sono ritrovati quando è comparsa la malattia, ma già avevamo intuito tutti che si sarebbero riabbracciati, come a Genova, come a Roma e come a Milano. Sempre l’uno accanto all’altro: Mihajlovic, in campo, per Roby era diventato un nuovo Vialli perché per vincere non bastava il talento, serviva qualcosa che non tutti i giocatori possiedono.
Proprio per questo Mancini lo aveva consigliato alla Lazio, dove Sinisa diventò un comandante. C’era il clan dei sampdoriani e c’era il clan degli argentini, nella squadra con cui Mihajlovic ha vinto uno scudetto, una Coppa delle Coppe, una Supercoppa Europea, 2 Coppe Italia e due Supercoppe scrivendo pagine indimenticabili della storia biancoceleste: ricordava la Lazio del ‘74 per gli umori e per gli amori. C’erano moltissimi campioni di cui potevano innamorarsi i bambini che andavano accompagnati dai genitori allo stadio. Di Padre in Figlio per sempre, ricordò Pino Wilson nella storica notte in cui riempì lo stadio Olimpico riunendo generazioni di laziali vincenti e perdenti: e non sapete quanti amavano, tra quei bambini, uno come Sinisa, che quando sorrideva senza sfidarti diventava tenero e irresistibile. Ti poteva regalare una maglia all’improvviso (rigorosamente la numero 11), oppure incazzarsi perché non credevi al suo pensiero. Nello stadio del Chelsea, lo Stamford Bridge, Mihajlovic segnò un gol storico, regalando alla Lazio una vittoria indelebile; il 13 dicembre del 1998 realizzò tre gol consecutivi su punizione contro la sua vecchia Samp, conquistando un record storico e forse imbattibile in eterno. Ma Sinisa ha anche calpestato Mutu e offeso Vieira, ha minacciato Nedved e consigliato a Boskov di lanciare Francesco Totti, con cui si sarebbe ritrovato nella Questura di San Vitale nella notte in cui il derby del 2004 venne sospeso per questioni di ordine pubblico: erano i capitani della Lazio e della Roma AS e dovevano rivelare i contenuti dei loro colloqui con gli ultrà in mezzo al campo. Mihajlovic era un angelo e anche un diavolo, ma non abbastanza cattivo da battere l’ultimo nemico, talmente infame da non sfidarlo pubblicamente: altrimenti avrebbe vinto Sinisa.
Palmares
- 1
Scudetto nel 1999/00 - 1
Coppa Italia nel 1999/00 - 1
Coppa Italia nel 2003/04 - 1
Supercoppa Italiana nel 1998 - 1
Supercoppa Italiana nel 2000 - 1
Coppa delle Coppe nel 1998/99 - 1
Supercoppa Europea nel 1999 - 1
Trofeo di Amsterdam 1999
- Galleria di immagini
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Siniša Mihajlović
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Pilastro e simbolo della Jugoslavia
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Ai tempi della Stella Rossa
Foto Getty Images -
Il giorno della presentazione
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Con il Presidente Dino Zoff
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Protagonista in Champions League
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Siniša nel 2000
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Saluta Eriksson dopo un cambio
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Si carica Couto sulle spalle
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Un duro dentro e fuori dal campo
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Ultima stagione a Roma
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Esulta per un gol da capitano
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Facce preoccupate in barriera...
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L'arte di Sinisa: rincorsa...
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... carica il tiro...
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... l'impatto secco sul pallone...
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... che parte carico di effetto...
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... grazie a una mirabile coordinazione
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Tecnico della Sampdoria
-
Durante la malattia riceve l'affetto dei laziali

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