Colloquio con Marcello Lefevre, nipote del fondatore Giulio Lefevre

Da LazioWiki.

Marcello Lefevre nella sua casa di Viale delle Milizie – Settembre 2011
Marcello Lefevre

La scheda di Giulio Lefevre


Roma, 27 settembre 2011

I luoghi dell'anima, i luoghi della memoria. La storia che compie innumerevoli giri nello spazio e nel tempo, ma poi torna a noi per farci meditare sul senso delle cose e della vita. E spesso si rimane con i perché irrisolti e si prende atto che tutto accade senza che possa essere trovata una spiegazione razionale a certi misteri, a certe suggestioni. Si tenta allora di sollevare il coperchio che copre l'incognito non più con la logica, ma con i sensi, con le emozioni, con l'opera del cuore. Percepiamo così aliti di verità ma è come afferrare l'aria: la sentiamo fluire ma quando apriamo il pugno esso è vuoto.

Marcello Lefevre, ingegnere urbanista in pensione, è nato a Roma nel 1936. Nipote diretto di uno dei nove Fondatori della S.P. Lazio, Giulio Lefevre, Marcello è un uomo colto, elegante e pieno di interessi. Porta magnificamente i suoi 75 anni, con leggerezza e disincanto. Marcello svolge un ruolo importante per la comprensione di certe vicende legate alla genesi della Lazio. Con quasi assoluta certezza, ma LazioWiki seguita ad indagare, è l'unico nipote vivente fra tutti quelli dei Fondatori ed ha frequentato suo nonno paterno Giulio, deceduto nel 1953, fino all'età di 17 anni. I suoi ricordi, quindi, sono chiari e consapevoli anche se, naturalmente, non del tutto completi.

Giulio Lefevre nasce a Roma il 31 marzo 1876, figlio di Luigi e Rosa Andreani. Insieme ai fratelli Angelo, Guglielmo, Ferdinando e Zenaide è residente alla nascita in Via Bocca della Verità, in pieno centro storico. Percorrendo a ritroso le generazioni si risale all'ascendenza francese dei Lefevre. Il capostipite Pietro, francese di Limoges, nel 1793 giunse in Italia al seguito del generale Gioacchino Murat e si stabilì a Napoli quale capotornante della Reale Fabbrica di porcellane. Successivamente la famiglia si trasferì a Roma, dove si dedicò alla manifattura artistica di vasellame pregiato e all'arte orafa. Giulio diviene geometra nel 1895 e inizia a lavorare al Catasto di Roma. E' uno dei tanti giovani che, influenzati dalle gare delle prime Olimpiadi moderne di Atene 1896, si dedica allo sport con passione e dinamismo. Sulle sponde del Tevere si cimenta in gare di nuoto, ma è il podismo ad interessarlo particolarmente e si allena su varie distanze prendendo spunti e suggerimenti dai numerosi testi, particolarmente francesi e inglesi, che vengono pubblicati in quegli anni. Nel frattempo si era trasferito con la famiglia in Via Montesanto e abitava in un villino che fu poi demolito in una fase successiva di urbanizzazione del rione Prati. La sua abitazione era situata ai margini della Piazza d'Armi che fu luogo d'eccellenza per la pratica sportiva a Roma.

Il 31 ottobre 1898 è chiamato alle armi come allievo ufficiale nel X Reggimento dei Bersaglieri, diviene sottotenente di complemento al Deposito Bersaglieri di Roma e assegnato al V Reggimento. In seguito raggiungerà il grado di capitano. Tornato alla vita civile, si accentua il suo amore per lo sport. Sulle sponde del Tevere, in Piazza d'Armi, negli ampi spazi liberi che saranno poi occupati dai grandi caseggiati di Prati, i giovani si ritrovano per dare vita a gare polisportive di ogni tipo. Si gioca anche al foot-ball, un nuovo sport di squadra importato a Roma da un italo-francese, Bruto Seghettini. Giulio fa amicizia con i fratelli Luigi e Giacomo Bigiarelli. Il primo è un Bersagliere, scampato al massacro di Adua, che si distingue per carisma e vigore atletico. Insieme ad essi e con altri sei valorosi sportivi, Venier, Balestrieri, Aloisi, Mesones, Grifoni e Massa, Giulio forma una nuova società sportiva dai colori biancocelesti: la S.P. Lazio.

E' il 9 gennaio 1900. Tutti i giovani fondatori, cui nel giro di poco tempo si uniranno un gran numero di atleti attratti dall'organizzazione e dalla serietà di intenti, sono accomunati dal desiderio di migliorare le loro qualità fisiche e morali. Essi sono diversi per ceto sociale e cultura, ma la visione egualitaria dell'etica sportiva consente loro di essere amici e leali compagni di squadra, tesi soltanto a far trionfare i colori sociali nelle tante gare organizzate a Roma e nel Lazio. La prima corsa ufficiale a cui partecipano podisti della Lazio si disputa a Roma l'11 marzo 1900, in occasione dell'inaugurazione del monumento al re Carlo Alberto. Vince la gara il campione torinese Gila che precede il concittadino Cerutti. Al terzo posto arriva Giulio Lefevre che precede tutti i concorrenti romani e i suoi stessi compagni. La S.P. Lazio, grazie al piazzamento dei suoi atleti, vince la Coppa di S.M. il Re a squadre. Il destino fa di Giulio colui che, primo in assoluto, maggiormente contribuisce al successo della S.P. Lazio in una competizione.

Le gare si susseguono a ritmo continuo e Lefevre è sempre tra i protagonisti. Il rione Prati segna territorialmente e sentimentalmente la vicenda umana e sportiva di Giulio. E' un rapporto inscindibile con un tessuto urbano che ha come segno distintivo la presenza di maglie biancocelesti. Posto tra Tevere e collina di Monte Mario, delimitato da Ponte Milvio e San Pietro, ha sempre raccolto e accolto testimonianze di chi ha per colori sociali quelli del cielo. Altri giovani formidabili accorrono, inarrestabili, per vestire quei colori: Masini, Bitetti, Ancherani, i fratelli Corelli e Saraceni, Coraggio, Consiglio, Bona, Fioranti, Mengarini, Dos Santos, Canalini, Tofini e mille altri ancora portano sempre più in alto il vessillo sociale. Storie di epiche imprese, strazianti sconfitte, magnifici risultati, brucianti disillusioni.

Giulio seguita a gareggiare con passione. Gli impegni lavorativi al Catasto sono pressanti. Un geometra, in quei tempi di grande sviluppo urbano, ha il suo daffare. Alterna pratica sportiva e lavoro. Nel 1906 si sposa con Giuseppina Torchio, sorella di due formidabili podisti e nuotatori della Lazio, Alfredo e Umberto Torchio. Il biancoceleste si infonde sempre più negli affetti più cari del fondatore. Nel 1907 nasce il primo figlio, Lamberto, nel 1909 il secondo, Carlo. Questi è il padre di Marcello, che narra a LazioWiki le imprese umane e sportive di Giulio Lefevre.

Pur seguendo con affetto le vicende della sua Lazio, progressivamente Giulio dirada le sue performances sportive. La famiglia, i figli, il lavoro, l'età non più verde, il dolore per la notizia della morte a Bruxelles nel 1908 del grande Luigi Bigiarelli, pongono infine termine all'impegno agonistico. Rimane il ricordo di anni esaltanti in cui il cuore sembrava battere in sintonia con la voglia di vivere, di vincere, di onorare quella maglia bellissima e sempre amata. Probabilmente Giulio collabora nell'organizzazione societaria e fa proselitismo. Altri giovani atleti si battono sui campi d'Italia in nome della Lazio. La società nata in Prati e propagatasi in tutta Roma, conosciuta e stimata in Italia e fuori.

Giulio è un uomo tranquillo, ottimo padre e marito, lavoratore onestissimo. La Lazio '’ha ben forgiato e del Laziale ha tutti i tratti morali. Eleganza, raffinatezza, educazione, lealtà, senso del dovere. Seguita a vivere nel rione Prati. Le sue strade e le piazze fanno tornare nella sua mente il ricordo di travolgenti vittorie, il clamore degli applausi, immani fatiche sportive. Eppure il quartiere è cambiato: Piazza d'Armi non esiste più, occupata ormai da caseggiati enormi che hanno preso il posto delle effimere costruzioni dell'Esposizione del 1911. Rimane il suo leggendario perimetro viario: Viale Carso, Lungotevere Oberdan, Viale delle Milizie, Viale Angelico. Tremilaottocentoottantaquattro metri che erano il luogo dell’'allenamento, della gara, degli scherzi tra amici, dell'improvvisata e irriverente sfida. E mille precisi sono i metri dall'inizio di Viale delle Milizie a Viale Angelico. Ottima misura per testare tempi su questa classica distanza.

Dolci ricordi che vengono lacerati dalla brutalità della guerra. Giulio viene richiamato e spedito nelle trincee del micidiale Costone di San Michele. Niente di più tragico la mente può immaginare. Affetti lontani che si teme di perdere per sempre, il ricordo del placido e rassicurante Tevere che contrasta con il sanguinoso Isonzo. Il biancoceleste che sembra una bestemmia tra i colori della morte. Ma Giulio fa il suo dovere di soldato. Disegna mappe, partecipa agli assalti, decide il destino di uomini. Ma soprattutto si chiede il perché di un inquietante quesito che lo perseguita e lo angoscia. Perché quella sera nella casamatta del comando, mentre è in riunione con gli altri ufficiali, gli viene chiesto di andare a prendere una mappa e lui esce per cercarla? Si assenta per un minuto e in quei sessanta secondi una granata austriaca centra il manufatto uccidendo tutti. Perché un suo parigrado gli consiglia un movimento in trincea per aiutarlo e viene centrato in fronte dal cecchino nemico? Perché durante l'assalto cadono i due suoi compagni a lui vicini e lui sopravvive? Perché la sera si raccolgono centinaia di morti e lui non è mai tra questi?

Si sente un miracolato, ma non sa darsi risposte. Arriva ad avere quasi un senso di colpa per essere sopravvissuto alla barbarie. Nei territori di guerra muoiono tanti atleti laziali, altri sono orribilmente feriti, altri ancora si ricoprono d'onore. Giulio si merita una Medaglia d'Argento al Valor Militare sul campo. Alla fine del conflitto, forse per un errore di trascrizione, gli viene tramutata in due Medaglie di Bronzo. La moglie Giuseppina va su tutte le furie per l'ingiusta decisione, Giulio non fa una piega, è stato un magnifico atleta e sa capire il senso delle cose e quindi anche dell'ingiustizia. Non è un simbolo che potrà consolarlo di un orrore durato tre lunghi anni. Dalla guerra Giulio ritorna con il tormento ricorrente di non saper spiegare perché lui viva ancora. E' un uomo sensibile che non riesce a dimenticare e che scoppia in pianti dirotti ad ogni passaggio dei Bersaglieri. Tutto il suo mondo precedente ha ormai i contorni labili, serrato dal filo spinato delle trincee. Troppo tremenda l'esperienza bellica.

Appena finito il conflitto, Giulio viene mandato in Friuli per determinare dal punto di vista della tecnica catastale i danni subìti dalle proprietà dei civili per fatti di guerra. Visita luoghi stravolti dalle bombe, paesi distrutti, campi incendiati, foreste annichilite. Fa stime di danni materiali, ma sente di dover portare con sé testimonianze dei combattimenti. Comincia a raccogliere residui bellici: elmetti, armi, gavette, brandelli di divise, insegne dei reparti, bossoli, bombe inesplose. Deve avere la prova che il suo incubo è stato purtroppo reale. Quando torna a Roma dona tutto il materiale raccolto al Museo dei Bersaglieri di Porta Pia. Ancora oggi sui cartellini di molti oggetti esposti si legge "Dono del Capitano Giulio Lefevre". Il dopoguerra serve a ritrovare un minimo di tranquillità. Il lavoro, i figli da crescere, la lettura. Il Fascismo lo trova indifferente. Una vita ordinata, serena esternamente, ma l'angoscia dei ricordi lo tormenta sempre. Nascono i nipoti, nasce Marcello nel 1936. '’uomo si addolcisce e si quieta. Poi la grande nefandezza della seconda guerra mondiale con i bombardamenti aerei, i lutti, la guerra civile, l'occupazione nazista. Di nuovo tutto finisce e si ricomincia daccapo facendo finta di dimenticare. Qualche anno di tranquillità e poi la malattia crudele, il morbo di Parkinson. La decadenza fisica progressiva, il tremore incontrollato e alla domanda del piccolo Marcello che chiede angosciato "nonno che hai?" la risposta è sempre uguale "in trincea sono stato per tre anni nel gelo e nel fango. Tutto deriva da ciò". Nel frattempo si era trasferito in un altro quartiere, Monteverde. La morte lo coglierà in Via Giacinto Carini n. 66, il 30 aprile 1953. Giulio riposa nella tomba di famiglia al Cimitero del Verano.

Marcello ricorda quando Giulio gli diceva "sai, insieme ad altri ho fondato la Lazio". E c’'era orgoglio nelle sue parole. Marcello è Laziale. E' sempre andato alle partite, accompagnato fin da bambino dallo zio Alfredo Torchio. Ricorda la Rondinella e ha visto il Grande Torino fermato allo stadio Nazionale da una splendida Lazio. Quando ci ha consegnato le foto inedite originali del nonno, nessuno possedeva una foto di Giulio e LazioWiki le ha pubblicate per prima in esclusiva, gli estensori di queste note hanno visto una piccola immagine a colori tra esse. Era una figurina della Lazio dello scudetto 1973/74. Marcello l'aveva conservata tra i ricordi più cari, le fotografie dell'amatissimo nonno Giulio. Quasi un segno di continuità perenne tra chi fondò quel miracolo chiamato Lazio e una splendida Lazio Campione d'Italia. L'ideale che non muore, insomma. Ci chiediamo perché la S.S. Lazio non faccia qualcosa per far conoscere Marcello Lefevre ai Laziali. Un invito allo stadio, una cerimonia, la consegna di una medaglia. Un piccolo ma significativo gesto. LazioWiki chiede almeno questo alla Lazio che sembra finalmente aver ritrovato il senso del suo legame con il passato più glorioso. Ma in realtà Marcello Lefevre dovrebbe essere nominato Presidente Onorario della sezione Calcio. Ne avrebbe diritto.

A proposito, Marcello Lefevre abita all'inizio di Viale delle Milizie. Non c'era alcun dubbio che il legame d'amore non si spezzasse. Ancora Prati, ancora il contorno di Piazza d'Armi, ancora il Tevere. La storia fa lunghi giri ma poi si ripresenta, anche dopo centoundici anni. E chi dice che è un caso non sa niente di Lazio e della sua malia. "Nonno, raccontami qualche tua gara". "E che ti devo raccontare? Una volta in Viale delle Milizie ero in testa nella gara di corsa. Vengo superato dal mio avversario in maglia giallorossa. Ma si stava facendo trasportare da un carretto a triciclo e ha vinto lui". "Ma nonno, non lo hai detto ai giudici?". "E a che serviva? Lui ha vinto la gara con l'inganno e stanotte non sarà contento. Io sono arrivato secondo con le mie forze e so chi è il più forte." E qualcuno ancora nega l'esistenza di un particolare modo di vivere la vita e lo sport: la Lazialità.



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