Domenica 12 maggio 1974 - Roma, stadio Olimpico - Lazio-Foggia 1-0

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12 maggio 1974 - Campionato di Serie A - XXIX giornata - inizio ore 16.00

LAZIO: F.Pulici, Petrelli, L.Martini (50' Polentes), Wilson, Oddi, Nanni, Garlaschelli, Re Cecconi, Chinaglia, Frustalupi, D'Amico. A disposizione: 12 Avagliano, 14 Franzoni. Allenatore: Maestrelli.

FOGGIA: Trentini, Cimenti, Colla, Pirazzini, Bruschini (66' Golin), Scorsa, Fabbian, Valente, S.Villa, Rognoni, Pavone. A disposizione: 12 Giacinti, 14 Delneri. Allenatore: Toneatto.

Arbitro: Sig. Panzino (Catanzaro) - Guardalinee Sigg. Coletta e Frattini.

Marcatori: 60' Chinaglia (rig).

Note: giornata estiva, terreno in perfette condizioni. Presenti in tribuna il Presidente della Repubblica Giovanni Leone, il Ministro Malfatti, l'On. Corona, il presidente del P.C.I. Enrico Berlinguer e l'On. Bozzi. Gravi incidenti a Scorsa (3 punti di sutura alla fronte) e Martini (frattura della clavicola). Espulso Garlaschelli al 62' per fallo di reazione. Ammoniti: 48' Rognoni per fallo su Martini, 59' Colla e Bruschini per proteste, 71' Frustalupi per gioco scorretto. Calci d'angolo 9 a 7 per la Lazio (p.t. 6-1). Sorteggio antidoping negativo.

Spettatori: 60.494 paganti e 18.315 abbonati per un incasso di £. 261.898.900. Cancelli aperti alle ore 8.45 per consentire l'accesso della folla radunatasi fuori dallo stadio già dalle 6.00 del mattino. Alcuni tifosi, privi di biglietto, scavalcano le recinzioni d'ingresso in Curva sud e Tevere non numerata.

Chinaglia e Re Cecconi entrano in campo
L'entrata in campo delle squadre e il giro d'onore di Umberto Lenzini
Luigi Martini in una fase di gioco
Luciano Re Cecconi in azione
Il tabellone con i risultati parziali delle gare
Proteste foggiane contro Panzino
Il rigore decisivo realizzato da Giorgio Chinaglia
Trentini è spiazzato dal tiro di Chinaglia
Tommaso Maestrelli incredulo al fischio finale
La pagina di Momento Sera
L'ingresso delle squadre visto dalla curva nord
Impazza la festa sulle strade
Panzino espelle Garlaschelli
(Gent.conc. Famiglia Vespasiani)
Una panoramica dello stadio Olimpico in festa
Il referto arbitrale della gara - parte I - Gentile dono dei Sigg. Francesco e Massimiliano Panzino
Il referto arbitrale della gara - parte II - Gentile dono dei Sigg. Francesco e Massimiliano Panzino
Il titolo de La Gazzetta dello Sport del 13 maggio 1974 sulla conquista del tricolore
Un momento dei festeggiamenti
Un momento dei festeggiamenti
Grazie al sig. Fabrizio Iovino

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La settimana trascorsa prima di questa gara non è stata uguale alle altre. Tutti sentivano che il traguardo era lì, a soli 180 minuti dalla fine di un Campionato logorante che aveva visto la Lazio battagliare su tutti i campi. Nei giorni precedenti l'incontro, la sede di Via Col Di Lana era stata invasa da tifosi in cerca di biglietti; le richieste pervenivano anche dal Canada, dall'Australia e dal Brasile. Nessuno voleva mancare all'appuntamento con la storia. Già all'alba lo stadio è pieno: intere famiglie a riempire prima le gradinate poi il parterre, ognuno con la sua bandiera, tanto da far tremare le squadre all'ingresso in campo in un oceano tutto biancoceleste. Stracolma anche la collina di Monte Mario e la "Madonnina" dove numerosi laziali, privi di biglietto, bivaccano sugli alberi muniti di cannocchiale. Umberto Lenzini, alle 15.30, fa il suo consueto giro d'onore, tra il tripudio della sua gente. Alle 16.00, poi, entrano le squadre in campo. La Lazio gioca con la formazione tipo mentre il Foggia deve almeno pareggiare per non retrocedere: ne deriva un incontro teso e poco spettacolare, anche a causa del caldo. Alla Lazio tremano le gambe ed il Foggia ne approfitta con Pavone che, di testa, impegna Pulici in una parata non difficile. E' poi la volta di Chinaglia che impensierisce Trentini con una punizione parata in tuffo. I rossoneri ci provano da calcio d'angolo, ma sterilmente. L'ex di turno Re Cecconi dà una mano in difesa, ma è pronto a ripartire in contropiede. Il primo tempo finisce così, senza che le due squadre abbiano fatto un'azione degna di rilievo. Maestrelli, negli spogliatoi, cerca di far ragionare i suoi ragazzi e tenta calmarli da quell'adrenalina che portano dentro sin dall'ultima giornata del Campionato precedente. Si accorge, però, che non viene ascoltato, non per mancanza di rispetto nei suoi confronti, ma perché i giocatori hanno la testa alla vittoria finale e non vedono e sentono altro.

La ripresa inizia con il grave infortunio a Martini che, cadendo, si rompe la clavicola, pregiudicando anche la convocazione per la Coppa del Mondo in programma Germania. Al 50' deve entrare Polentes in sostituzione del numero tre biancazzurro. Intanto Chinaglia ci riprova su punizione ma la difesa foggiana devia in angolo. E' troppo nervosa la Lazio, tanto da perdere quello smalto che l'ha accompagnata durante tutto il torneo. Fatto comprensibile perché è troppo alta la posta in palio e le gambe tremano al solo pensiero che una vittoria possa regalare il paradiso del gioco più bello del mondo e l'immortalità, che gli antichi greci credevano venisse donata ai vincitori dei giochi olimpici. Al 51' D'Amico sfiora la rete su un traversone da calcio d'angolo. La Lazio riprende ad attaccare come le conviene, ma la tensione taglia visibilmente le gambe. Al 58' l'episodio chiave: Garlaschelli scende sulla sinistra, crossa al centro e Scorsa, nel tentativo di deviare, stoppa la palla con la mano. Il direttore di gara indica subito il calcio di rigore e nelle tribune sono molti i tifosi colti da malore. I pugliesi protestano vivacemente con l'arbitro Panzino, mentre Chinaglia si avvicina per battere il penalty in uno stadio pietrificato dall'emozione. Pur non tirando bene, Long John riesce a segnare facendo esplodere la gioia di tutti i presenti. Il giocatore corre verso il centro del campo, i compagni riescono a malapena ad abbracciarlo, tutto intorno è una bolgia indescrivibile. Il nervosismo dilaga e a rimetterci è Garlaschelli, espulso dall'arbitro per un fallo di reazione su Cimenti: la Lazio giocherà gli ultimi 25 minuti in inferiorità numerica. Il Foggia attacca e si rende insidioso su punizione mentre dall'altra parte è D'Amico ad impensierire Trentini con un rasoterra dalla sinistra.

Chinaglia prende poi un pallone a centrocampo e, non vedendo compagni liberi, lo getta in tribuna Tevere: l'importante è far passare i minuti. D'Amico sfiora la traversa su un cross di Petrelli; Wilson ed Oddi non si muovono dalla difesa, mentre Frustalupi cerca di dare geometria ad un gioco in cui gli schemi sono ormai saltati. Anche Nanni non supera il centrocampo per paura di un contropiede foggiano e tutti sono attenti a mantenere la posizione assegnata. Passano così i minuti ed al 43' una punizione fischiata da Panzino viene capita dal pubblico come fischio finale tanto da derivarne una invasione di campo tale da far rischiare una sconfitta a tavolino. Fortunatamente il pubblico esce immediatamente dal rettangolo di gioco e la partita puà riprendere. Alle 17.45 finalmente l'arbitro decreta la fine della gara: La Lazio è Campione d'Italia 1973-1974, come recita il tabellone dell'Olimpico. La folla invade il campo ed i giocatori vengono denudati di maglie e calzoncini. Tommaso Maestrelli, Bob Lovati e Gigi Bezzi si guardano e si abbracciano commossi. E' l'apoteosi: è l'avverarsi del sogno, durato 74 anni, di vedere lo Scudetto sul petto delle maglie biancocelesti. Finalmente la Lazio ha vinto il Campionato. In tribuna, tra i molti vip, ci sono tantissime vecchie glorie biancazzurre con gli occhi gonfi di lacrime d'amore per questa Società. La festa si sposta negli spogliatoi dove lo spumante scorre a fiumi, mentre Piazza del Popolo è invasa dai tifosi in festa come mai Roma aveva avuto modo di vedere. Le scene di tripudio si spostano in tutte le strade della capitale congestionate dalle macchine fino a tarda notte. Alle cinque di mattina sono oltre 3.000 i tifosi assiepati davanti al night club Jackie'O, dove i giocatori sono andati a festeggiare, impedendogli di uscire. I giornali vanno esauriti in poche ore, con tirature record fino a quel momento. E' il giorno della Lazio, il giorno del suo primo trionfo in Campionato.


Il Messaggero titola: "Lazio campione d'Italia. Decisivo successo sul Foggia con un rigore di Chinaglia e molto nervosismo. I pugliesi hanno praticato un gioco durissimo: Martini ha riportato l'infrazione di una clavicola e Garlaschelli si è fatto espellere per reagire a un fallo".

Prosegue il quotidiano romano: Come era giusto, anche l'ultimo passo per impossessarsi finalmente dello scudetto la Lazio l'ha compiuto con un gol di Chinaglia: ossia con la concentrazione, i nervi a posto, lo slancio, il tiro preciso del suo atleta più rappresentativo. La Lazio è divenuta campione d'Italia per la prima volta nella sua storia iniziatasi nel lontanissimo 1900 per l'iniziativa di quegli erranti cavalieri che sui prati di periferia di molte città furono i pionieri dello sport - la Lazio è divenuta campione d'Italia, si diceva, alle 17.15 di ieri pomeriggio, e più precisamente, al 15' del secondo tempo, allorché il pallone calciato da Chinaglia, dal dischetto del calcio di rigore, terminava in rete, rasoterra, alla destra di Trentini. Il calcio di rigore, che ha costretto il Foggia alla sconfitta e permesso ai biancazzurri di liberarsi definitivamente dell'immagine inseguitrice della Juve, è stato decretato dall'arbitro Panzino per un fallo di mano di Scorsa che, quasi sulla linea di fondo, affrontando Garlaschelli che stava eseguendo dalla destra il traversone, ha di scatto levato le braccia e deviato così il pallone. Può darsi che, da parte del difensore foggiano, sia stato un gesto istintivo: per evitare, però, che la sfera pervenisse a Chinaglia o altri appostati davanti a Trentini. Sicuramente, non è stato - vogliamo dire il gesto istintivo di chi, per esempio, cerchi di ripararsi il viso da una pallonata. Era pertanto, nel senso della volontarietà, o della intenzionalità di gioco, un fallo da rigore.

Nel momento in cui lo scudetto della Lazio giunge a interrompere - come furono già capaci nel dopoguerra la Fiorentina, il Bologna e il Cagliari - l'egemonia degli squadroni milanesi e torinesi e il ciclo ultimo della Juve che deteneva il titolo da due stagioni; nel momento in cui gli sportivi della nostra città possono esultare per un'impresa che una volta soltanto, trentadue anni fa era riuscita alla Roma, si dev'essere chiari nella valutazione del calcio di rigore che ha consentito ai biancazzurri di piegare la resistenza d'un Foggia battagliero bene organizzato, che di fronte ai nuovi campioni d'Italia si è battuto per la salvezza senza complessi d'inferiorità, né un gesto di debolezza. Il rigore c'era. Panzino sempre severo, che non esitava due minuti dopo il gol a espellere Garlaschelli, reo d'aver colpito in viso Cimenti dopo uno scontro di gioco, nulla ha regalato alla Lazio. Il che ancora per la precisione, avveniva al 12' del secondo tempo. Perché allora la protesta anzi la rivolta dei giocatori foggiani che, prima di consentire a Chinaglia di realizzare la massima punizione, hanno per tre minuti circondato il direttore di gara, gridandogli chissà che cosa e pigliandolo pure a spinte e dando proprio l'impressione d'essere sul punto di picchiarlo? A fatica e tenendo levato il cartellino delle ammonizioni, Panzino è uscito fuori dall'immeritato assedio.

Perché tanta baraonda? Specie dai gesti di Pirazzini si capiva la pretesa che l'arbitro si recasse a consultare il guardalinee. Il che, se fosse unicamente da giudicare la volontarietà o meno d'un fallo di mano, non potrebbe che sorprendere. Ma i foggiani, evidentemente devono aver ritenuto o cercavano di sostenere che fosse irregolare la posizione di Garlaschelli. Anche in questo caso avevano torto, perché l'azione è scaturita appena oltre la linea di metà campo da un intervento di testa di Petrelli che ha anticipato lo stesso Pirazzini e messo in moto, sulla destra, Garlaschelli. Sul pallone, però, in fase di recupero, si avventava Pavone che per precipitazione e colpendolo comunque male, l'ha precisamente dirottato sui piedi dell'ala destra biancazzurra. Da escludere, dunque, anche l'idea del fuorigioco. Regolarissimo il rigore e, regolarissima la vittoria della Lazio. Contro le congetture, le possibili malignità dell'ambiente del calcio o dei molti personaggi che, all'ombra degli squadroni settentrionali, sono da anni abituati a vedere e prevedere per tempo - perfino nella Coppa dei Campioni - la designazione di qualsiasi arbitro, questo della Lazio, questo storico scudetto conquistato per la prima volta, è uno scudetto pulito. Applausi e onore ai protagonisti. Ma è stato anche sofferto, questo scudetto, come forse nessuna squadra l'aveva mai sofferto. Tutto difficile, fino all'ultimo. Che cosa sarebbe accaduto, se non vi fosse stato il fallo di mano di Scorsa?

Senza il rigore, sarebbero ugualmente riusciti Chinaglia e compagni a porre fini ieri al duello con la Juve? Nell'interrogativo, l'arduo ostacolo che il Foggia ha costituito e, soprattutto, gli impacci, le trepidazioni, forse anche il logorìo d'una Lazio che funzionava e giocava come sa. Soltanto in una occasione, nel primo tempo (23') allorché D'Amico, incrociatosi con Re Cecconi ed eseguito lo scambio, ha potuto convergere al centro della sinistra ed era lesto a sparare in corsa, la squadra pugliese è parsa superata. A portiere battuto però, provvedeva il palo alla sinistra di Trentini a respingere la fucilata rasoterra di D'Amico. Per il resto - fatta eccezione per alcune punizioni-bomba di Chinaglia, dalle quali specie al 7' Trentini si salvava con molta fatica ed evidente strazio delle mani - la squadra di Maestrelli era protagonista d'un confuso assedio, in spazio sempre più ristretto che agevolava la resistenza foggiana. Che non fosse la Lazio delle occasioni migliori quella che a passo di carica seppe in pochi minuti travolgere e sbarazzarsi di Bologna, Vicenza e Juve, lo si è visto subito. Era il Foggia, all'inizio del gioco a prevenire i biancazzurri, sferrare il suo assalto e minacciare da vicino Pulici con Pavone e Rognoni. Un grosso rischio, anzi, la porta biancazzurra correva all'8', quando alla disperata Re Cecconi è giunto a precedere Valente che a un passo da Pulici s'accingeva a sfruttare il servizio dalla destra di Pavone.

Nelle grandi imprese, proprio quando non resta che l'ultimo passo e tutto sembra facile, inevitabili il turbamento e lo smarrimento. Come non comprendere oltre il dramma degli avversari costretti a tentar di rompere le uova nel paniere ai biancazzurri e al loro ex allenatore Maestrelli nel momento del trionfo, il dramma della stessa Lazio che, protesa da due anni all'inseguimento dello scudetto (e nello scorso campionato se lo vide soffiare proprio nell'ultima giornata), ha all'improvviso paura di perderlo anche quando ce l'ha in tasca? Non si dimentichi che per questo scudetto finalmente giunto finalmente romano, la Lazio era in fuga dalla nona giornata, ossia da cinque mesi. Non poteva che arrivare, sul traguardo, col fiato grosso e il cuore in tumulto. Questa, in primo luogo, la spiegazione del suo gioco di ieri, che non era il gioco che l'ha portata al primo posto del calcio italiano. Poi va tenuto conto della fermezza, delle marcature spietate del Foggia che, istruito con intelligenza da Toneatto, riusciva a soffocare la Lazio, colpendola nella cabina di regia. E' vecchia storia: chi ferma Frustalupi e non lascia respiro a D'Amico, pone più di un bastone tra gli ingranaggi della macchina biancazzurra. Di ciò è stato capace il Foggia. Fabbiani, l'ex interista, era alle costole di Frustalupi; non lo mollava un momento, risultando tale mastino da far spazientire il regista biancazzurro, che non visto dall'arbitro, stizzosamente gli allungava più d'una pedata. Né, come in altre circostanze, poteva rimediare D'Amico che, sotto la guardia di Cimenti, poteva di rado esibirsi nei guizzi, nei colpi di destrezza e nel movimento che sapete. Non basta.

Anche Re Cecconi, Nanni e Martini, rispettivamente sottoposti alla sorveglianza assidua di Valente, Colla (il più spigoloso) e Rognoni, stentavano a respirare. Di qui, a dispetto anche delle iniziative di Wilson, una pressione confusa, senza aperture e scatti in profondità, che permetteva soprattutto a Pirazzini (spesso elegante, negli interventi da libero) di brillare nella propria area, dove attendeva al varco i biancazzurri. In queste circostanze, nell'intero primo tempo, appena due volte veniva servito Chinaglia che invano cercava di scrollarsi di dosso Bruschini. C'è voluto, insomma, il rigore. Ad accentuare i disagi all'inizio della ripresa - poco prima di una punizione a due tempi in area foggiana, ordinata dall'arbitro per ostruzione di Colla ai danni di Nanni, e non sfruttata da Chinaglia - veniva pure l'infortunio di Martini che, investito, rudemente, travolto da Rognoni (ammonito per questo), rovinava pesantemente a terra, riportando una frattura alla clavicola destra. Veniva sostituito da Polentes. La situazione peggiorava per colpa di Garlaschelli che, come s'è premesso, s'è fatto cacciar via da Panzino, poco dopo il gol. Come non temere che, già balbettante e resa nervosa dal contegno spigoloso degli avversari, la Lazio - ridotta in dieci - finisse per cacciarsi in un grosso guaio?

Sono stati, per i biancazzurri, per Lenzini, per i tifosi riuniti per lo scudetto, i minuti interminabili della sofferenza. Tutti in piedi, il fiato sospeso. Toneatto, per giunta, potendo tentare l'assalto in massa, rafforzava l'attacco (21'), mandando in campo Golin e facendo uscire Bruschini. Golin, vedendosela con Polentes, permetteva a Rognoni di rimanere libero, mentre Scorsa, in sostituzione di Bruschini, si dedicava a Chinaglia. A questo punto, numericamente inferiorie era tuttavia capace la Lazio di un sforzo che poco o nulla concedeva agli avversari. Una squadra che difendeva con le unghie il titolo di campione d'Italia. Chinaglia era dappertutto: in difesa e all'attacco. Attraversava il campo (28') e saltava ogni ostacolo e per poco non centrava di nuovo il bersaglio: angolato, ma fiacco, il tiro veniva annullato dal tuffo di Trentini. Come Chinaglia, gli altri, Wilson, Petrelli, Oddi, Polentes, tutti leoni a difesa dello scudetto. Il Foggia poteva rendersi pericoloso solamente con Rognoni (30') e Pirazzini (35'). Lo scudetto è giunto così. Ed è stato sofferto come si soffre per tutte le cose che si conquistano con le proprie mani, i propri mezzi, il proprio valore, e per la prima volta: in una vita che è incominciata nel 1900. Ed è proprio uno scudetto bello e pulito. La Lazio che, finalmente può cucirselo sul petto e rimirarselo allo specchio, se lo tenga da conto.


l'Unità titola: "I biancazzurri ripetono a distanza di 32 anni il successo della Roma. Lazio-scudetto per la prima volta. Con una giornata di anticipo i laziali si aggiudicano il campionato. Chinaglia non fallisce il rigore del trionfo. Gagliardi ma sfortunati gli atleti del Foggia sconfitti per 1-0. La sofferenza dei padroni di casa. Il rammarico degli "ex" Maestrelli e Re Cecconi".

L'articolo così prosegue: La Lazio si è aggiudicata, con una giornata di anticipo il titolo di campione d'Italia, il primo dei suoi 74 anni di storia, riportandolo a Roma dopo che i giallorossi lo fecero loro nel 1942. E la certezza matematica le è venuta proprio dal suo giocatore più rappresentativo, Giorgio Chinaglia che ha messo in ginocchio, su rigore, un Foggia gagliardo e pimpante, spinto dalla disperata necessità di raggranellare qualche punto malamente impegolato com'è nella lotta per la salvezza. Il gol di Giorgione per i laziali, per Maestrelli e per gli oltre 80 mila tifosi biancoazzurri affollati sugli spalti è stata come una liberazione, dopo che per 60' i foggiani avevano resistito agli assalti, spesso disordinati, della truppa biancoazzurra e in un paio di occasioni erano andati assai vicini al gol. Così si può ben dire mai una vittoria della Lazio è stata più sofferta di quella di oggi, anche perché mai per i ragazzi in biancoazzurro era stato tanto importante vincere una partita, visto che in questi 90' si giocavano lo scudetto. A questo si aggiunge il rammarico di Maestrelli e Re Cecconi per il colpo forse decisivo dato alla loro ex squadra. Dopo un campionato, condotto in testa dalla nona giornata, era ovvio che fin dalla vigilia, per i biancoazzurri l'impegno si presentasse stressante sotto il profilo psicologico, finendo per influire sul gioco. E così è stato. Per tutto il primo tempo gli attacchi dei laziali si sono susseguiti a ritmo frenetico, ma mancavano della necessaria lucidità. Salvo due puntate iniziali del Foggia con Pavone (il tiro è bloccato a terra da Pulici) e di Villa (Pulici para il tiro di testa del centravanti), e rari contropiedi, si è giocato sempre nella metà campo dei pugliesi, ma col difetto di un intasamento nella zona nevralgica. Trentini, in questo frangente, è stato impegnato soltanto su tiri piazzati da parte di Chinaglia (bello il suo salvataggio a due pugni su una "bomba" del centravanti), anche se al 25' si è visto graziare dal palo sinistro, su tiro improvviso del "baby" D'Amico, che rientrava dopo essere stato costretto a saltare gli incontri con Genoa e Torino a causa di un infortunio.

Ma poco prima era stata la Lazio a tremare su una irruzione di Pirazzini che Re Cecconi sventava in angolo. Insomma questo Foggia era irriducibile, non limitandosi soltanto a difendersi, ma rendendosi pericoloso anche in contropiede. Ma per tutti i primi 45', salvo il palo di D'Amico, grossi pericoli la porta di Trentini non ne aveva corsi. Chinaglia veniva controllato a dovere dall'ottimo Bruschini, Garlaschelli duellava di brutto con Scorsa, difensore deciso e che non faceva complimenti (i due si erano dati una "zuccata" alla mezz'ora e la peggio era toccata a Scorsa che abbandonava il campo per 2' ripresentandosi incerottato). D'Amico era preso sotto cura da Cimenti e non riusciva a giostrare come è suo solito. Re Cecconi soffriva con Valente. Dopo soltanto 8' dall'inizio della ripresa, la Lazio si vedeva privata del suo uomo più dinamico: Rognoni interrompeva una discesa sulla fascia laterale sinistra del laziale, scalciandolo di brutto, Martini cadeva e si produceva la sospetta frattura della clavicola destra. A sostituirlo veniva chiamato Polentes. Il nervosismo, per questa perdita, acuiva ancora di più la tensione nei biancazzurri, ma al 15' l'ennesimo duello Garlaschelli-Scorsa fruttava la grande occasione per la Lazio. L'ala si portava sulla fascia destra del campo mentre Scorsa la fronteggiava entro l'area di rigore, e faceva partire un cross; il difensore alzava istintivamente le braccia fermando il pallone con le mani e Panzino non aveva esitazioni nell'indicare il dischetto del rigore, nonostante le vibrate proteste dei foggiani. Incaricato del tiro era Chinaglia che non perdonava Trentini. Ora la Lazio sembrava distendersi con più ordine e la manovra si faceva ariosa, senza gli intasamenti in area registrati nel primo tempo. Ma la 19' la Lazio restava in dieci uomini: nuova discesa di Garlaschelli che viene messo a terra da una ginocchiata di Cimenti, l'ala ha il torto di reagire platealmente e l'arbitro gli indica la via degli spogliatoi. La ritrovata calma va ora a farsi benedire e Toneatto manda in campo il fresco Golin al posto dello stopper Bruschini (sarà Scorsa a prendersi cura di Chinaglia).

Il Foggia cerca così di riacciuffare il risultato e stringe d'assedio la porta laziale. Batte quattro punizioni consecutive che però non gli fruttano un bel niente, ma il compito della retroguardia biancazzurra si sta facendo difficile. Persino Chinaglia, D'Amico e Nanni retrocedono per dar man forte ai loro compagni: stanno cercando di difendere il gol con le unghie e con i denti, facendo affidamento sulle loro ultime energie nervose. Al 30' Rognoni sfiora con un bel tiro il palo destro, ma Pulici è sempre pronto a cavarsela quando viene chiamato in causa. Al 40' D'Amico alza di poco sulla traversa un tiro al volo su cross di Re Cecconi. Ormai siamo agli sgoccioli e i tifosi premono, anzi una cinquantina entrano in campo equivocando sul gesto di Panzino che aveva alzato il braccio per far battere una punizione, ma disciplinatamente fanno poi continuare il gioco.


Sempre da l'Unità le dichiarazioni post-gara:

Si "confessa" l'allenatore dei neo campioni d'Italia. "Ho sempre creduto a questo scudetto" dice Maestrelli dopo l'ultima fatica.

Gioiosa invasione di campo a fine partita e invasione anche negli spogliatoi dove è difficile avvicinare i protagonisti di questo splendido campionato. Quando, finalmente, riusciamo ad entrare nel locale destinato alla Lazio un urlo dei dirigenti e dei giocatori biancazzurri ci rimanda nei corridoi. Di sfuggita intravediamo Maestrelli e il dott. Ziaco che stanno vestendo l'infortunato Martini (sospetta frattura della clavicola) mentre nel volgere di pochi minuti arriva la barella che trasporterà il giocatore biancazzurro all'ospedale di San Giacomo. Martini è pallidissimo e soffre terribilmente; l'infortunio al bravo giocatore getta un po' d'acqua sull'entusiasmo di molti presenti. Niente champagne. "Avremo tutto il tempo per i festeggiamenti" - dice emozionato il presidente Lenzini, e aggiunge: "Lasciatemi riprendere dall'emozione". Finalmente arriva Maestrelli. Questa volta non ha avuto bisogno di ricorrere al medico e riesce a trattenere l'emozione parlando pacatamente: "Sono tanti anni che aspettavo questo momento. Finora vi ho sempre detto che "andavamo alla giornata". Ora posso confessarvi che ho creduto a questo scudetto sin dalle prime giornate del campionato perché sapevo che la squadra che ha lottato fino all'ultima giornata nello scorso campionato era una realtà e non, come pensavano gli scettici, un fuoco di paglia. E sapevo anche che i ragazzi avrebbero dato l'anima per "vendicarsi" degli scettici".

Maestrelli parla poi delle novità della Lazio 1973-'74 e in particolare dell'innesto di D'Amico che, dice, "ha dato un grande contributo all'attacco". Sulla partita con il Foggia, il "trainer" biancazzurro ammette che è stata tiratissima avendo la squadra pugliese giocato ben coperta in difesa lasciando pochi spazi liberi. Il tecnico ha concluso parlando del futuro. "Ora bisognerà non vivere sugli allori, dovremo potenziare la squadra e non tanto perché ho la speranza di partecipare alla Coppa dei Campioni ma perché sono convinto che questa Lazio può continuare a dare soddisfazioni per alcuni anni ancora". Tra i giocatori biancazzurri i più felici sono Chinaglia e il portiere Pulici. Quest'ultimo ha avuto anche la gioia della nascita di un figlio maschio, Gabriele, avvenuta questa mattina. Il goleador biancazzurro dice di pensare già ai prossimi campionati mondiali. Per lui lo scudetto "era già vinto da alcune settimane". Oddi rivela, a nome di tutti, di "soffrire da un paio di mesi il... pensiero di diventare campione d'Italia. Non riuscivamo a dormire più serenamente - spiega - tanto era lo stress".

Wilson si limita a commentare la partita: "E' stata più lunga di tutte le altre ma alla fine siamo riusciti a farla nostra". Re Cecconi non riesce a capire perché i suoi ex compagni del Foggia si sono tanto arrabbiati per il rigore che secondo lui "era più che evidente". Garlaschelli, espulso per un fallaccio di reazione, tenta di giustificarsi mostrando i numerosi colpi ricevuti sulle caviglie. Frustalupi ammette di non avere mai raggiunto nella sua vita di calciatore tanta felicità e dichiara di essere deciso a "concludere la carriera in biancazzurro, ma fra... alcuni anni". Gli altri si limitano ad esprimere la loro gioia. In casa del Foggia Toneatto si rifiuta di fare commenti sulla partita. "Festeggiamo lo scudetto della Lazio - dice - ma non chiedetemi nulla sulla partita". Parlano, invece, gli altri dirigenti pugliesi che imprecano al rigore e fanno la cronistoria delle ultimi vicissitudini della squadra dovute, secondo loro, a troppe "sviste arbitrali". Ma per il Foggia non è tutto finito: così gli incoraggiamenti si moltiplicano e anche gli auguri sinceri di riuscire a rimanere in A.


Il racconto della festa della tifoseria biancoceleste sempre tratto da L'Unità:

Grandiosa festa in città dopo la bagarre dell'"Olimpico". Roma dal centro alle sue borgate nell'onda dell'esultanza laziale. Tripudio di folla e chiasso di mortaretti. Presenti anche le bandiere giallorosse.

E' finita con una pioggia di coriandoli biancoazzurri che un elicottero buttava giù a non finire sorvolando l'Olimpico mentre un angolo di palloncini bianchi e azzurri appena liberati trascinava nel cielo sereno un gigantesco scudetto bianco rosso e verde con scritto: "Lazio, campione 1974". L'arbitro aveva appena fischiato la fine della partita e già centinaia, migliaia di tifosi avevano invaso il campo in una ressa indescrivibile: chi si abbracciava, chi sventolava bandiere biancoazzurre, chi dava la "caccia" ai giocatori della Lazio, inseguendoli dappertutto, per impadronirsi - come ormai vuole la tradizione - delle magliette dei propri beniamini neo campioni d'Italia. Prima che riuscissero a mettersi in "salvo" negli spogliatoi, diversi calciatori laziali erano praticamente seminudi, letteralmente spogliati. E chi non è riuscito a prendersi un brandello di maglietta o qualche altra cosa come ricordo, si è consolato portandosi a casa la bandierina di segnalinee e dei corner. Erano più di ottantamila i tifosi che gremivano le gradinate dell'Olimpico per la festa della Lazio, per salutare la squadra del cuore campione d'Italia e la vittoria dello scudetto che, dal 1942, non faceva più tappa a Roma. Per un'ironia del caso, proprio un anno fa, di questi tempi, l'Olimpico era stato teatro della festa della Juve, vincitrice dello scudetto. Questa volta, dopo dodici mesi, è stata la Lazio a festeggiare la sua vittoria all'Olimpico, nello stesso stadio dove, in pratica, la Juventus ha visto tramontare le speranze di vincere il campionato 1973-1974, sconfitta l'altra domenica dalla Roma, la "cugina" della squadra biancoazzurra. Fino all'ultimo momento, gli ottantamila hanno trattenuto il fiato. Una partita "tirata" fino all'ultimo minuto, che non ha risparmiato emozioni agli "aficionados" della Lazio, con un Foggia deciso, ostinato a non cedere.

Poi, quando al secondo tempo Chinaglia ha segnato su rigore, insaccando il pallone nella rete della squadra avversaria, lo stadio è sembrato venir giù, mentre sulle gradinate era drappi bianchi e celesti. La "scenografia", del resto, era quella delle grandi occasioni: alle curve nord e sud erano stati issati a semicerchio centinaia e centinaia di palloni colorati in bianco e azzurro, fissati a terra con corde lunghe un centinaio di metri; qua e là, affiorati nel "mare" di bandiere, grandi tabelloni con le fotografie dei calciatori laziali, i protagonisti dell'entusiasmante campionato della Lazio. A un minuto dalla fine, quando l'arbitro ha fischiato per una punizione, i tifosi che già scalpitavano hanno equivocato, hanno creduto che l'incontro fosse terminato e hanno invaso il campo, vocianti ed esultanti. L'equivoco è stato chiarito subito, la gente si è affrettata a liberare il terreno di gioco. Un minuto ancora di suspence e poi la partita è finita davvero, uno a zero, lo scudetto assicurato, la Lazio campione. E allora l'entusiasmo e la gioia dei tifosi sono esplosi. Mentre la folla invadeva il campo, sulle gradinate scoppiavano ininterrottamente i mortaretti, i tric-trac, i petardi: qua e là numerosi candelotti fumogeni sprigionavano enormi fumate biancoazzurre. In alto l'elicottero sorvolava a cerchi stretti lo stadio, "irrorandolo" di coriandoli dipinti con i colori della Lazio. In un attimo si sono formati cortei di auto strombazzanti, "pavesate" di bandiere e di cartelli inneggianti alla squadra laziale: a bordo giovani addobbati nelle fogge più strampalate, intere famiglie, ragazzini e anziani. Lunghe colonne di automobili hanno puntato verso il centro, mentre si formavano code chilometriche e il traffico restava praticamente paralizzato per lunghe ore, sul Lungotevere, sulla Flaminia, a piazza del Popolo. Ormai era già notte, ma i caroselli d'auto proseguivano dappertutto, in via Nazionale, al Corso, a piazza di Spagna, via Condotti e via del Babuino, all'Esedra; in periferia, a San Lorenzo, a Centocelle, a Torpignattara. Piazza del Popolo è rimasta bloccata fino a tarda notte, una marea di automobili, camioncini zeppi di gente e irti di bandiere e cartelloni.

Su una jeep si era sistemata una vera e propria banda musicale, grancassa, tamburi, trombe e chitarre; da numerosi altoparlanti piazzati sui tettini delle auto uscivano a tutto volume le note delle varie canzoncine e "inni" della tifoseria laziale; le statue del Pincio si sono ricoperte in un momento di drappi biancoazzurri e in tutta questa autentica "kermesse" un giovanotto non trovato meglio che spogliarsi e buttarsi in una fontana. Tra la folla non mancavano nemmeno le bandiere giallorosse, perché anche i "cugini" della Roma, perlomeno alcuni, non hanno voluto mancare alla festa con un pizzico d'orgoglio per aver spianato la strada alla Lazio con la vittoria dell'altra domenica sulla Juve.


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Nota[modifica | modifica sorgente]

Anche al penultimo appuntamento stagionale (almeno per i giocatori e le società di serie A) il giudice sportivo, avv. Barbè, non è stato certo di mano leggera infliggendo una giornata di squalifica al campo della Sampdoria, tre milioni e mezzo di multa alla Lazio, e squalificando ben tre giocatori di quelli che domenica sarebbero stati impegnati in partite decisive per la salvezza. Si tratta dei foggiani Rognoni e Bruschini e del torinese Lombardo. Alla Sampdoria è stata riconosciuta dal giudice la responsabilità oggettiva per gli atti di intemperanza dei tifosi (sputi, lancio di sassi e terriccio verso i guardalinee) nel corso della partita con il Vicenza. Così la Sampdoria, che per questo campionato ha chiuso con le partite in casa, sarà costretta a giocare In campo neutro la prima partita casalinga della prossima Coppa Italia. Inoltre sempre per la gara Sampdoria-Vicenza sono stati squalificati per una giornata il blucerchiato Nicolini e il vicentino Volpato. La Lazio è stata invece punita per indebita entrata sul terreno di gioco di sostenitori locali al 44' del secondo tempo quando un fischio dell'arbitro aveva fatto presupporre la fine della partita.

Tre milioni è dunque costata alla Lazio neo-campione la gioia dei propri tifosi e un altro mezzo milione il lancio di bengala e mortaretti durante la gara con il Foggia. Inoltre il laziale Garlaschelli è stato squalificato per due giornate. Il Foggia, che domenica ospiterà il Milan in una partita disperata, dovrà fare a meno di ben due titolari: Rognoni recidivo in comportamento scorretto nei confronti di un avversario e Bruschini, recidivo in proteste. Entrambi dovranno stare fermi per un turno. Nell'altra partita che interessa la salvezza, Torino-Verona, sarà la squadra granata a dover rinunciare al proprio terzino Lombardo, anche lui recidivo in gioco scorretto. Lombardo è stato squalificato per una giornata così come il fiorentino Galdiolo. Alla deplorazione per condotta non regolamentare è arrivato lo juventino Anastasi, mentre con l'ammonizione per comportamento scorretto è stato punito il granata Fossati. Numerosi anche gli squalificati nella serie cadetta. Dovranno restare fermi per due giornate il novarese Enzo (frase irriguardosa nei confronti di un guardalinee), il varesino Mayer e il palermitano Viganò.

Fonte: La Stampa





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