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'''Tobia Assumma''' |
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Allenatore, nato a Reggio Calabria l'8 luglio 1979. Dal 2022 nel Settore giovanile biancoceleste: al suo primo anno guida l'Under 14. Cresciuto calcisticamente nella Reggina, Assumma gioca diverse stagioni fra i dilettanti e a Calcio a 5, disciplina nella quale raggiunge anche la Serie A. La sua carriera da tecnico inizia nel 2013 come responsabile dell'Under 17 dell'Hinterreggio e vice allenatore della prima squadra (Serie D). Due anni dopo arriva la chiamata della Reggina: in amaranto - a parte una breve parentesi alla Armando Segato Juventus, con la cui squadra Under 17 vince campionato e coppa regionale nel 2018 - ottiene egregi risultati sia con l'Under 17 (nel 2019 vince il proprio girone guidando i suoi ragazzi sino ai quarti di finale Nazionali) che con la Berretti, guadagnandosi la stima degli addetti ai lavori anche per aver formato più di un atleta in grado di fare il salto tra i professionisti, in Serie B come in Lega Pro. |
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Versione delle 22:18, 24 lug 2022
Elena Micheli



Atleta di Pentathlon Moderno della S.S. Lazio. Nata a Roma il 29 aprile 1999. Entra a far parte nel 2005 della Sezione Pentathlon della S.S. Lazio. Questi i suoi piazzamenti: 12° posto individuale nelle qualificazioni europee delle Olimpiadi giovanili nel 2013; 4° posto individuale nei Campionati europei Youth B nel 2014; Campionessa europea Youth B staffetta femminile nel 2014; 17° posto individuale nei Campionati del Mondo Youth A nel 2014; 11° posto individuale nei Campionati europei Youth A del 2014; 33° posto individuale nei Campionati europei Junior del 2015; 9° posto individuale nei Campionati europei Youth A del 2015; 13° posto individuale nei Campionati del mondo Youth A del 2015; 4° posto nella staffetta femminile nei Campionati del mondo Youth A del 2015; 3° posto nella staffetta femminile nei Campionati europei Youth B del 2015; 2° posto nella staffetta mista nei campionati europei Youth B nel 2015; Campionessa europea individuale Youth B nel 2015. In seguito passa al Gruppo Sportivo dei Carabinieri ("Per me - queste le parole di Elena raccolte nel 2020 dal sito ufficiale della Polisportiva biancoceleste - la Lazio è stata come una grande famiglia"). Nel 2018 conquista la medaglia d'oro ai Campionati mondiali universitari. Nel 2019 a Budapest è vice campionessa mondiale. Nel 2021 è l'unica pentatleta ad avere il pass assicurato per partecipare alle Olimpiadi di Tokio, dove arriva forte del grande Mondiale disputato due anni prima e di un buon quinto posto nell'edizione successiva tenutasi a giugno presso Il Cairo - in Giappone tuttavia le cose non andranno bene: entrata poco in sintonia con il cavallo messole a disposizione solo poche ore della gara (come da regolamento), l'atleta romana fallisce la prova di equitazione, compromettendo la classifica olimpica generale (chiuderà al 33. posto). Nello stesso anno è campionessa italiana assoluta. In occasione della stagione sportiva successiva (2022), Elena partecipa al tour della Coppa del Mondo (manifestazione itinerante, costituita da due tappe più una finale) riuscendo nell'impresa di vincere a Il Cairo il suo primo titolo nella manifestazione; quasi bissato a Budapest pochi mesi dopo nella successiva tappa della Coppa, dove ottiene un prestigioso secondo posto; amara sarà invece la Finale di "Coppa del Mondo" di Ankara, conclusa da Elena all'ottavo posto. Terza nella classifica generale della "Union Internationale de Pentathlon Moderne (UIPM)", Micheli si presenta al Mondiale di Alessandria d'Egitto (manifestazione in cui il titolo di "Campione" viene assegnato dopo pochi giorni di gare) con la reputazione di essere una delle favorite per la vittoria finale. La tappa della Coppa del Mondo a Il Cairo è stata la prima a venire disputata secondo il nuovo regolamento della UIPM, che ha ridotto la durata massima della gara di Pentathlon moderno a 90 minuti, per rendere maggiormente fruibile il "prodotto" da parte dei tele-spettatori; a partire dal 2024 invece - al netto dell'incertezza del CIO se confermare o meno il Pentathlon ai Giochi olimpici - la UIPM ha intenzione di sostituire la prova di equitazione con un altro sport: per semplificare ulteriormente lo show televisivo, oltre che ricusare il dolore fisico inferto a volte dagli atleti ai propri cavalli, durante la competizione, a causa della difficoltà di cavalcare un animale conosciuto solo poche ore prima della prova. Elena Micheli è stata una delle più forti pentatlete mondiali a livello giovanile ed è ora una certezza a livello assoluto. Il suo volto - durante festeggiamenti per i 120 anni della Lazio - è apparso sul maxi-schermo dello Stadio Olimpico, in occasione della gara dei biancocelesti contro il Napoli, a fianco a quelli di tanti altri atleti di successo nel corso della centenaria storia del sodalizio capitolino. Anche suo fratello Roberto Micheli è un pentatleta della S.S. Lazio e della Nazionale. Ambedue sono stati studenti modello del Liceo Classico Statale "Giulio Cesare" di Roma.
Roberto Micheli
Pentatleta della Pentathlon Moderno della S.S. Lazio. Nato a Roma il 16 maggio 1997. Ha cominciato a praticare il Pentathlon nel 2005. Ha partecipato ai Campionati europei Youth B nel 2013. E' giunto al 28° posto individuale nei Campionati europei Youth A del 2014. Nel 2015 ha partecipato ai Campionati europei Youth A e ai Campionati del mondo Youth A. Sempre nel 2015 è giunto al 2° posto individuale nei Campionati italiani Youth A. Nel 2018 a Budapest ha rappresentato l'Italia nei Campionati mondiali universitari, conquistando l'argento nel Team Event, gara in cui ciascun atleta della squadra porta a termine una disciplina, gareggiando nel laser run. Nello stesso anno: Roberto ha conquistato assieme alla sorella Elena una medaglia di bronzo nella staffetta mista, agli Europei Junior di Prat de Llobregat; Micheli è stato invece medaglia di bronzo nella classifica maschile a squadre, in occasione dei Mondiali Junior di Kladno. Il 2021 è l'anno del primo grande trionfo nella categoria "senior": con il compagno di squadra Giuseppe Mattia Parisi, Roberto si è aggiudicato infatti il primo posto nella staffetta maschile degli Europei di Nizhny Novgorod. Dopo l'esperienza con la S.S. Lazio, Micheli è passato al Gruppo sportivo della Polizia di Stato, le "Fiamme Oro". Figura stabilmente nella squadra nazionale italiana e ha raggiunto risultati brillanti in tutte le competizioni cui ha partecipato. E' stato studente (2016) dell'ultimo anno del Liceo Classico Statale "Giulio Cesare" di Roma. Anche sua sorella Elena Micheli è stata un'atleta di Pentathlon della S.S. Lazio per poi passare al Gruppo Sportivo dei Carabinieri.
Stefano Sanderra

Allenatore, nato a Roma il 21 giugno 1967. Assume la carica di allenatore della squadra Primavera nell'estate 2022. Arriva alla Lazio dopo una lunga carriera di allenatore, iniziata nel 1994 con il Ferentino. Ha guidato in seguito L'Aquila, l'Isernia, il Potenza, il Frosinone, il Tivoli, il Cosenza, il Messina Primavera, il Gela, il Barletta, il Cassino, il Latina (qui si è guadagnato il soprannome di "Mister Leggenda" - dopo una promozione in Serie C1 nel 2011 e un'insperata salvezza ottenuta l'anno successivo - per aver centrato nel 2013 promozione in Serie B e vittoria della Coppa Italia di Lega Pro) la Salernitana, il Catanzaro, la Viterbese Castrense, la Sambenedettese, il Racing Fondi e i maltesi dell'Hibernians. Nella terza stagione con l'Hibernians, vince il Campionato di Malta, debuttando anche nelle competizioni internazionali di cui disputa, a più riprese e con con relativo successo, i turni preliminari. Laureato in Scienze Motorie, Sanderra ha sviluppato negli anni una grande passione per la propria formazione culturale: fedele al motto che un allenatore non possa sapere solo di calcio, il tecnico romano ha così approfondito gli studi di psicologia e filosofia, ritenendoli indispensabili per progredire nella propria professione.
"Credo che i miei colleghi, specie quelli che allenano club importanti, debbano migliorare sia nella comunicazione che negli interessi extra rettangolo verde (...) Sono sempre stato curioso - ha spiegato qualche anno fa Sanderra al portale "Il Bello dello Sport" - in riferimento al pensiero dei pilastri della cultura dell’Antica Grecia come Socrate, Platone e Aristotele (...) Ti confesso che ho compreso troppo tardi di aver sbagliato scelta per quanto concerne la scuola superiore da frequentare: ho studiato presso il liceo scientifico, ma ho scoperto di avere maggiore inclinazione verso le discipline umanistiche (...) A certi livelli - continua Sanderra - l’aspetto gestionale è di fondamentale importanza, così come l’empatia che si riesce a creare. l’impatto che un tecnico ha sul rendimento dei propri ragazzi è tanto maggiore quanto più si scende di livello. Personalmente opterei per la presenza di più psicologi nelle squadre di calcio: garantirebbero maggiori performances degli atleti".
Nel 2016, su questi temi e la propria esperienza professionale, Sanderra ha pubblicato un libro, dal titolo "La vera anima dell'allenatore".
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Tobia Assumma
Allenatore, nato a Reggio Calabria l'8 luglio 1979. Dal 2022 nel Settore giovanile biancoceleste: al suo primo anno guida l'Under 14. Cresciuto calcisticamente nella Reggina, Assumma gioca diverse stagioni fra i dilettanti e a Calcio a 5, disciplina nella quale raggiunge anche la Serie A. La sua carriera da tecnico inizia nel 2013 come responsabile dell'Under 17 dell'Hinterreggio e vice allenatore della prima squadra (Serie D). Due anni dopo arriva la chiamata della Reggina: in amaranto - a parte una breve parentesi alla Armando Segato Juventus, con la cui squadra Under 17 vince campionato e coppa regionale nel 2018 - ottiene egregi risultati sia con l'Under 17 (nel 2019 vince il proprio girone guidando i suoi ragazzi sino ai quarti di finale Nazionali) che con la Berretti, guadagnandosi la stima degli addetti ai lavori anche per aver formato più di un atleta in grado di fare il salto tra i professionisti, in Serie B come in Lega Pro.
Silvio Piola - Gianni Brera
Il grande giornalista sportivo Gianni Brera così ha descritto, nel 1965, Silvio Piola: "L'opposto di Meazza è Piola - scrive Brera ne "I campioni vi insegnano il calcio" - che nel 1935 ne ha preso il posto di centravanti in Nazionale. Il Balilla (uno dei soprannomi di Meazza, ndr) era di reazioni fulminee e non aveva eguali nei movimenti minimi. Piola, di alta statura, quasi gigantesca per un calciatore italiano, non poteva tanto eccellere nei movimenti minimi quanto nelle progressioni veloci. Era il tipico centravanti di sfondamento. Non temeva avversari ed entrava di slancio, sia per battere con i due piedi, sia per imporsi in acrobatiche battute aeree. Nel gioco di testa non era un fenomeno, ma era efficace. (...) Silvio Piola è stato ottimo acrobata - prosegue Brera nel suo racconto - non grandissimo. Fu il primo in Europa ad esercitare le rovesciate: egli tuttavia non è mai stato in grado di colpire al volo effettuando il completo salto mortale all'indietro, come improvvisò Meazza in un memorabile Internazionale FC-Juventus, e come in seguito fece sovente Leonidas, brasiliano, con "o gol em bycicleta". Una celebre rovesciata di Piola - conclude il giornalista lombardo - viene ricordata ancora oggi come un colpo di mano… decisivo: fu quando, fingendo una rovesciata acrobatica, deviò in rete la pala con un fulmineo pugno. La prodezza valse un pari con l'Inghilterra (1938)".
ROMAGNOLI ALESSIO



Foto Getty Images

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"La prima partita di Serie A che ho visto è stata una partita della Lazio (...) Mi sono innamorato di quella squadra fatta di grandi campioni (...) Per me, il capitano della Lazio era sempre Alessandro Nesta e avevo il suo poster in camera (...) Sono un tifoso laziale: non l'ho mai nascosto". Riportando queste parole - in un video postato sui propri canali social - la società biancoceleste presenta Romagnoli ai suoi sostenitori, nel giorno dell'ufficializzazione del trasferimento del ragazzo di Anzio alla squadra capitolina. Un momento che il popolo biancoceleste attendeva da settimane, vissute in fibrillazione, tra i consueti alti e bassi di un'estenuante trattativa condotta in prima persona dal presidente Lotito e dal suo sodale, il direttore sportivo Igli Tare.
Mentre tira primi calci alla San Giacomo Nettuno - prima come centrocampista, poi da difensore perché ama sradicare il pallone dai piedi degli avversari, a furia di tackle scivolati alla maniera dell'idolo Nesta - uno scherzo del destino si presenta davanti al giovane Romagnoli. Nel 2005, il ragazzo viene notato infatti da Bruno Conti (storico responsabile del settore giovanile della AS Roma) e invitato a presentarsi a Trigoria per un provino. Sebbene sia uno sfegatato tifoso laziale - con i suoi familiari il piccolo Alessio frequenta assiduamente anche lo Stadio Olimpico - l'occasione è grande e il cuore del tifoso deve obbedire alla testa che, ragionevolmente, consiglia lui e la sua famiglia di accettare la proposta del dirigente romanista. Quello sarà, infatti, il primo passo di Romagnoli nella realizzazione di uno dei suoi sogni sportivi: giocare in Serie A; per un altro - quello di farlo per la Lazio - tuttavia ci sarebbe stato ancora da attendere.
Nel dicembre del 2012, in occasione di Roma AS-Milan AC, grazie alla stima del d.s. giallorosso Walter Sabatini e alla fiducia del tecnico Zdenek Zeman Romagnoli fa così il suo esordio in Serie A - mentre già nel marzo successivo, contro il Genoa, sigla la prima rete nel massimo campionato. La stagione successiva (allenatore Rudi Garcia) Romagnoli ottiene la fiducia del mister francese solo e sempre nel girone di ritorno, seppur da quel momento in poi cominci a vedere il campo con maggiore continuità. Per valorizzarne il talento - concedendogli, dunque, la possibilità di giocare e all'occorrenza di sbagliare in una piazza meno esigente - la AS Roma decide allora di mandare Romagnoli in prestito, con la Sampdoria che alla fine si aggiudica la corsa per il tesseramento temporaneo del giovane difensore, nell'estate del 2014.
La fede biancoceleste di Romagnoli però è forte e non vacilla, a dispetto del ruolo di professionista, che imporrebbe di metter da parte le ragioni del tifo a favore di quelle calcolatrici della carriera. Ecco, allora, che il ragazzo viene ripagato dal destino - questa volta benevolo - per la sua perseveranza: l'allenatore della Samp è infatti l'ex giocatore e tuttora tifoso laziale Sinisa Mihajlovic, che con Alessandro Nesta (l'idolo d'infanzia di Alessio) ha formato la storica coppia di difensori Campioni d'Italia nel 2000. Sinisa sarà fondamentale per la carriera di Romagnoli: perché ne affinerà le doti di regista difensivo mancino; ma soprattutto perché sarà proprio l'allenatore serbo, la stagione successiva, a volere fortemente il giovane difensore al Milan AC. Dove Romagnoli coronerà un altro suo sogno: quello di giocare, con la maglia numero 13 che fu di Alessandro Nesta, nel club dove il difensore campione del mondo nel 2006 aveva vinto tutto, arricchendo la sua già ricca bacheca da laziale.
La stagione 2014/15, arrivato in Liguria alla Sampdoria, per Romagnoli è già quella della consacrazione: il difensore disputa 30 partite da marcatore centrale, segnando anche due reti e fornendo altrettanti assist. E' un inamovibile della squadra blucerchiata che conclude al settimo posto il campionato. Scaduto il prestito, Alessio torna dunque Roma, ma sarà solo di passaggio. I giallorossi infatti (a fronte del fortissimo interesse del Milan AC per il ragazzo, su indicazione del neo-allenatore Sinisa Mihajlovic) decidono di cedere il cartellino del giovane difensore: un affare da circa 25 milioni, siglato nell'estate del 2015. In sette anni a Milano Romagnoli giocherà 247 partite, divenendo già nel 2018 il capitano della formazione rossonera: per cinque stagioni è un pilastro del gruppo, apprezzato tecnicamente come umanamente dentro e fuori dal campo. L'inizio della sua avventura di squadra al Milan, tuttavia, non è dei migliori: dai ripetuti cambi di proprietà - ben tre in sette anni! - sino alla girandola degli allenatori, passando per i risultati ottenuti sul campo, che vedono il Milan AC attestarsi grosso modo attorno al sesto posto in classifica. Troppo poco per una società che, a fronte di grandi investimenti nel club, deve assolutamente rientrare delle spese partecipando almeno alla Coppa dei Campioni - Champions League.
La svolta per i rossoneri (del tutto inaspettata) arriva così nell'ottobre del 2019, quando sulla panchina rossonera si siede Stefano Pioli in sostituzione di Marco Giampaolo, esonerato dopo poche giornate. Un altro ex laziale, dunque, nel destino di Romagnoli. Confermato capitano e leader del gruppo, con l'allenatore emiliano tuttavia Alessio vede messa in discussione la propria titolarità: qualche infortunio muscolare di troppo e l'ascesa dell'ex giocatore del Chelsea Fikayo Tomori - più adatto al gioco di Pioli, fatto di un pressing asfissiante e ultra offensivo - finiscono per relegare Romagnoli più in panchina che in campo. Tendenza che (dopo la stagione 2020/21, conclusa con un sorprendente secondo posto) sarà confermata pure nell'annata successiva: ancora alle prese con qualche noia fisica di troppo - compresa una fastidiosa pubalgia - Romagnoli diventa di fatto un'alternativa a Simon Kjaer, Pierre Kalulu e Tomori; Alessio si toglie comunque la soddisfazione di esordire in Coppa dei Campioni - Champions League da capitano, giocando dal primo minuto quasi tutte le gare del girone. Soddisfazione ancora più grande, tuttavia, otterrà a fine stagione: alzando al cielo e con la fascia al braccio la coppa dello Scudetto - il diciannovesimo per i rossoneri - giunto alla fine di un duello appassionante contro i rivali cittadini dell'Internazionale FC, guidati da un altro grande ex laziale come Simone Inzaghi.
"Mi piacerebbe poter chiudere la mia carriera con la maglia della Lazio". Alessio è stato di parola non appena ne ha avuto l'occasione. Romagnoli arriva dunque alla Lazio a parametro zero - dopo aver deciso di non accettare le offerte di rinnovo del Milan AC - firmando un contratto di cinque anni, che se rispettato gli permetterà di vestire la maglia biancoceleste almeno sino a 32 anni. Il numero di maglia scelto? Il numero 13, naturalmente: in omaggio al suo idolo d'infanzia Alessandro Nesta.
Romagnoli - nel giro della Nazionale fra il 2016 e il 2021, con 12 presenze ma nessuna partecipazione ad un torneo internazionale maggiore - è un difensore di buona stazza (1,85 cm per 75 kg di peso) molto bravo nei duelli aerei, elegante nell'anticipo così come nella visione di gioco grazie ad un piede sinistro vellutato; meno abile nella marcatura a uomo, nel pressing e nel coprire molto a campo alle spalle, Alessio tuttavia compensa queste lacune grazie ad un buon senso della posizione.
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LOTITO - 2016-2022: LA "FAMIGLIA LAZIO"








Personaggio perennemente sospeso fra la tragedia ("I miei accusatori diventeranno gli accusati!") e la commedia ("Io non vendo sogni, ma solide realtà: come dice quello...") con il tempo Lotito tuttavia dimostra di aver chiaro in mente un modello di organizzazione economica e sportiva ben preciso. In linea con la sua personalità di uomo di casa ("Per la Lazio io sono come un padre di famiglia") e di chiesa ("Sono un cristiano credente, ho una visione escatologica della vita") il patron - un po' per il susseguirsi degli eventi, un po' per premeditazione - procede così sempre più spedito nell'intento di fare della "azienda" Lazio una vera e propria "Famiglia".
L'anno di svolta, in questo senso, è il 2016. Esonerato in primavera Stefano Pioli (gli è fatale una rovinosa sconfitta in un derby, affrontato tuttavia con una rosa ridotta all'osso) Lotito e il suo fidato direttore sportivo, Igli Tare, decidono di affidare la panchina della Lazio a Simone Inzaghi sino al termine della stagione. L'ormai ex allenatore della Primavera - che una volta terminata una discreta carriera agonistica, nel 2010, era diventato tecnico nel settore giovanile biancoceleste - ha un rapporto speciale sia con Lotito ("Simo', per me è ora che smetti di giocare. Vuoi fare l'allenatore? Te lo faccio fa") che con Tare ("Con Igli siamo come fratelli...", amava ripetere spesso Simone Inzaghi , parlando del suo ex compagno di squadra): il mister piacentino accetta dunque l'incarico, con la speranza di venire confermato pure per l'annata successiva. E cosi sarà - seppur, alla maniera di Lotito. Conclusa la stagione egregiamente - ma fallendo una disperata rincorsa alle coppe europee - il presidente contatta quindi numerosi allenatori (tra cui Prandelli: "Lotito mi aveva dato la mano, ma poi non si è fatto più sentire") sino a scegliere Marcelo Bielsa, con il quale la storia tuttavia finirà male prima di cominciare, fra accuse reciproche e minacce di carte bollate ("Bielsa si fa chiamare Loco? Io so' più pazzo de lui. L'ho cacciato io, questo signore. Me pareva una persona di valore: sì, ma era il valore dei soldi, quello che contava per lui..."). A quel punto, Lotito e Tare richiamano Simone Inzaghi - nel frattempo destinato alla Salernitana - e lo mettono definitivamente in sella alla Lazio. In cinque stagioni ("La Lazio è una grande Famiglia: Inzaghi e Tare sono come figli, per me" - alla famiglia appartengono pure i giocatori, la maggior parte dei quali trattenuti a suon di rinnovi che fanno lievitare il monte-ingaggi grazie alla costante vetrina europea) la Lazio, sfiorando pure una semifinale di Europa League nel 2018, vincerà tre trofei qualificandosi sempre per le coppe, tra cui una volta in Coppa dei Campioni - Champions League (2019-2020: i biancocelesti furono a lungo in corsa anche per lo Scudetto, a dieci giornate dalla fine, sino all'interruzione del campionato per Covid).
Dopo l'addio rocambolesco d'Inzaghi destinazione Internazionale FC ("Sono rimasto deluso sul piano personale"), Lotito cerca di dare continuità alla gestione sportiva "familiare" della sua Lazio ("Noi siamo un modello in Europa" sottolinea il presidente, rispondendo stizzito a chi giudica la sua azienda non al passo con i tempi). Nell'estate del 2021 viene ingaggiato, così, un uomo alla mano e schietto come Maurizio Sarri, a cui dopo pochi mesi - nonostante le difficoltà riscontrate sul campo - viene proposto pure di prolungare il contratto per altre tre stagioni, in modo da programmare meglio il futuro: l'allenatore toscano ("Qui ho trovato una famiglia: ciò di cui avevo bisogno per lavorare come piace a me") accetta e sigla un nuovo contratto nell'estate successiva, nonostante le voci circa un suo pessimo rapporto col d.s. Tare. Lotito - abile mediatore - tuttavia punta a non dividere la sua "famiglia", anzi: la allarga; affidando così un ruolo dirigenziale per il settore giovanile anche ad Angelo Mariano Fabiani, suo vecchio sodale a Salerno sino al 2021, anno della promozione in Serie A della Salernitana, che Lotito sarà costretto a vendere, come da norme federali.
In questo periodo, Lotito ristruttura pure il centro sportivo di Formello ("Prima di me, c'erano solo le panche di legno - ora abbiamo pure il parrucchiere per i calciatori, a cui non manca niente" ripete solenne, organizzando delle vere e proprie visite guidate della struttura per i suoi migliori ospiti, come il presidente della FIFA Gianni Infantino). Per una stagione - quella del ritorno in Coppa dei Campioni - Champions League - la Lazio affitta un aereo privato ("Era vecchio? Risparmiavamo con la compagnia che avevamo scelto. Ma quello che conta è il motore: non la carlinga, che basta non sia bucata") dotandolo di livrea biancoceleste, per i viaggi legati alle partite: si è trattato della prima squadra italiana a disporre di un "proprio" aeroplano, fenomeno invece non inconsueto in Europa. E' del 2022 invece l'accordo della società romana con uno sponsor tecnico di livello internazionale come Mizuno (fra i più lunghi e remunerativi della Serie A); così come quello con Binance, gigante nord-americano delle criptovalute, anch'esso molto fruttuoso sul piano economico.
Nonostante i buoni risultati ottenuti, il rapporto del presidente con i tifosi laziali rimane sempre problematico. Prigioniero del suo personaggio burbero, grossolano e soprattutto "tirchio" ("Lotito caccia li sordi!" è il ritornello più in voga allo stadio, quando le cose vanno male), Lotito non riesce a fare apprezzare il proprio comunque egregio lavoro sia gestionale che imprenditoriale, in grado di garantire alla Lazio una duratura stabilità economica e sportiva - per alcuni, piuttosto, da intendersi esclusivamente come "mediocrità": specie a fronte dei ricchi investimenti tecnici e infrastrutturali delle proprietà straniere sempre più numerose in Serie A - Lotito garantisce alla Lazio dunque una stabilità, per certi versi, inedita nella secolare storia del sodalizio biancoceleste. Ad ogni modo, esternazioni rivolte ai tifosi del tipo "Li ho abituati troppo bene" contribuiscono a tenere sempre alto il livello dello scontro; ma a Lotito - uomo di esuberante personalità - ciò interessa relativamente, se è convinto di essere nel giusto. Convinzione che naturalmente solo di rado lo abbandona: nel bene - e nel male.
"Con Lotito, risultato garantito!" ama ripetere il presidente. Pur se nei limiti delle cifre investite sul calciomercato - al di là degli scarsi apporti finanziari della proprietà, la Lazio vende poco, investe mediamente meno della concorrenza diretta, rischia poco e niente: ma ottiene risultati significativi grazie a gruppi-squadra duraturi nel tempo - pur se nei limiti di tale strategia economica, Lotito può appuntarsi (con malcelato orgoglio) un'altra medaglia sul petto: quella di aver condotto nel maggio del 2021 la Salernitana in Serie A, a dodici anni di distanza dalla sua rifondazione a seguito del fallimento. Tuttavia la gioia per il traguardo raggiunto dura poco: ciò non tanto per la solita, permanente contestazione della maggioranza del tifo organizzato - "Lotito vattènne!" echeggia all'Arechi come "Lotito te ne devi annà!" si alza dalla Curva dell'Olimpico - la soddisfazione di Lotito viene adombrata soprattutto dalle rinnovate norme della F.I.G.C. che vietano, ad uno stesso imprenditore, di possedere due club professionistici (a maggior ragione se nella medesima serie). Il presidente laziale così è costretto a cedere le sue quote societarie, con quelle del socio-cognato Mezzaroma, ad un "blind trust" - la cui laboriosa gestazione conclusasi solo a luglio a ridosso della partenza della nuova stagione acuisce lo scontro personale del patron biancoceleste con il presidente della F.I.G.C., Gabriele Gravina. Successivamente (a pochi minuti dalla scadenza dei termini: pena l'esclusione dalla Serie A) la Salernitana viene venduta ad un noto imprenditore campano, anche se ad un prezzo inferiore alle attese - questa volta il patron laziale è vincitore solo a metà, vista l'impossibilità di rifiutare offerte al ribasso se non al costo di cancellare la società campana dal calcio professionistico, per lungo tempo.
Uomo lottatore e governatore - nel senso che gli piace comandare e per questo lotta, da animale politico di razza quale è - la vicenda della Salernitana rappresenta solo l'ultima di una lunga serie di battaglie pubbliche e private portate avanti in punta di diritto, da Lotito; che sarà pure laureato in Pedagogia e appassionato latinista, ma meriterebbe anche una laurea honoris causa in giurisprudenza per la innata capacità di navigare, con sicurezza da consumato bucaniere, nel mare solo apparentemente calmo dei codici e dei codicilli. Uscito solo parzialmente vincitore dalla disfida sulle multi-proprietà, il presidente laziale continua dunque a "pugnare" sui campi di battaglia a lui più congeniali: quello della Lega e quello della F.I.G.C., ove detiene da anni uno degli scranni di consigliere federale.
In Via Rossellini, il "partito" di Claudio Lotito riveste allora sempre un peso determinante nelle logiche spartitorie dei diritti tv del massimo campionato. Lotito - con il presidente del Napoli Aurelio De Laurentiis - è stato infatti il più strenuo oppositore della creazione della cosiddetta "Media Company" (legata a doppio filo all'ingresso negli affari della Serie A di fondi d'investimento, pronti ad offrire ossigeno alle asfittiche casse dei club, per mezzo di ricche linee di credito) ovvero una società finalizzata alla produzione e distribuzione di beni e servizi funzionali alla trasmissione in Italia come all'estero delle partite del torneo nostrano. Sul fronte avverso a Lotito e De Laurentiis - vincitori nella primavera del 2021 della contesa e promotori dell'accordo Lega-Dazn - la maggior parte delle big del campionato ma soprattutto Urbano Cairo, il presidente del Torino AC, divenuto nel corso degli anni il nemico giurato del presidente laziale. I giornali di Cairo (storico editore del periodico "Diva" e, fra le altre cose, anche de "La Gazzetta dello Sport" e de "Il Corriere della Sera") - sia questo un caso oppure no - non di rado organizzano così delle tragicomiche campagne di stampa contro Lotito e la Lazio ("Urbano ce l'ha con me, perché contro il sottoscritto perde sempre"); l'ultima - la più violenta - ha unito la lotta per la questione della "Media Company" al linciaggio mediatico per il presunto "caso tamponi", che ha coinvolto alcuni calciatori biancocelesti colpevoli - secondo l'accusa della Procura federale - di aver giocato da "positivi" alcune partite del campionato 2020-2021.
L'inchiesta, tuttavia, si sgonfia nel corso dei vari gradi di giudizio: lo stesso Lotito, condannato definitivamente a ottobre 2021 a soli due mesi di squalifica per omessa vigilanza, vedrà ridursi infine gli addebiti a suo carico al punto da mantenere la carica di consigliere federale, a rischio revoca - uno scenario che sarebbe stato del resto gradito al presidente della F.I.G.C. Gravina, che nel partito trasversale di Lotito trova uno dei più strenui oppositori della propria politica sportiva (trasversale perché lo schieramento lotitiano va dalla Lega alla F.I.G.C., ove il patron era assunto a ruolo di fatto apicale durante la presidenza Tavecchio). Nel contempo Lotito ("E' stato un periodo impegnativo, ma come vedete, io vinco sempre!") incassa nel marzo del 2022 l'elezione a presidente della Lega di A di Lorenzo Casini (che sostituisce il dimissionario Paolo Dal Pino, annegato nel naufragio della "Media Company") oltre alla revisione, nell'estate del medesimo anno, dei parametri per l'iscrizione al campionato legati all'indice di liquidità (indicatore circa la solvibilità finanziaria di un'azienda nel breve termine che - in assenza di sostanziose ricapitalizzazioni da parte degli azionisti di maggioranza - ha fatto penare molte squadre di Serie A fra cui la Lazio, specie in sede di regolamentazione del calciomercato).
In precedenza, Lotito era uscito pressoché indenne da altre prove del fuoco giudiziarie: accusa di estorsione (2015) nei confronti di alcuni colleghi presidenti, nell'ambito di elezioni di cariche federali; accusa di aver ostacolato il lavoro di revisione contabile della Covisoc (2016), forte del suo ruolo forte in F.I.G.C. e di vicinanza alla potente azienda di marketing sportivo Infront; accusa di evasione fiscale (2016) per il tesseramento di alcuni calciatori, incluso Mauro Zarate (2020), con il cui vecchio agente i rapporti sono sempre burrascosi; sino alla tragicomica accusa di falso e truffa (2019) in merito alla cancellazione di alcune multe stradali. Nel 2019, inoltre, emergono intercettazioni in cui Lotito parla del più (soprattutto) e del meno con il magistrato Luca Palamara ("Ma guardate che è tutto pompato, eh! Una barzelletta. L'ho incrociato giusto qualche volta. La verità è che me vonno sempre mette in mezzo"). E' del 2017 invece il litigio con la "Comunità ebraica" romana, a seguito di una intercettazione ("Non l'ho mai detto") in cui il il patron definirebbe una sceneggiata l'omaggio della Lazio nella Comunità stessa, a seguito della comparsa in città di adesivi anti-semiti contro i tifosi giallorossi (sebbene - bisogna ricordarlo: perché la stupidità non ha colori - in passato gli stessi adesivi, per mezzo di un semplice cambio cromatico, fossero stati utilizzati anche dagli ultras romanisti per sbeffeggiare (?) i colleghi laziali).
"Lotito ha diecimila pregi e due difetti - così lo descrive Angelo Peruzzi, ex portiere della Lazio e a lungo Team manager della squadra con Inzaghi allenatore - personalmente lo trovo supponente e si crede Unto dal Signore". Tuttavia, ecco che proprio le innumerevoli prove superate dal patron sono magari lì a dimostrarne l'elezione e la salvezza - per chi ci crede, naturalmente - mentre i tre voti ricevuti nel corso degli scrutini in occasione della rinnovata nomina di Sergio Mattarella a Presidente della Repubblica, per Lotito non rappresentano forse un semplice vezzo, bensì la base da cui partire per cominciare a trattare.
Nella notte tra il 23 e il 24 maggio si è consumato il rocambolesco addio di Simone (II) Inzaghi alla Lazio dopo cinque stagioni e mezzo di successo: il tecnico piacentino - finito nel mirino dell'Internazionale FC - ha lasciato così Roma, nonostante l'accordo per il rinnovo di contratto sembrasse davvero cosa fatta. Smarriti per la perdita di un punto di riferimento divenuto sempre più importante nel corso degli anni, pochi tifosi laziali potevano immaginare che, solo pochi giorni dopo, Maurizio Sarri ne avrebbe raccolto il testimone, divenendo il nuovo allenatore biancoceleste al termine di una trattativa serrata ed estenuante, come costume del Presidente Lotito. L'allenatore napoletano (ma toscano d'adozione e d'accento) - noto per il suo stile di gioco brillante, spettacolare e campione d'Italia con la Juventus nel 2020 - viene annunciato il 9 giugno: "Aprite le porte alla bellezza!", recita uno degli slogan adottati dalla società per l'occasione. In un campionato che ha visto, finalmente, riaprire pure i cancelli degli stadi (grazie al miglioramento del quadro sanitario legato alla pandemia da Covid-19), i biancocelesti hanno regalato prestazioni degne della fama del "Comandante"; ma pure qualche momento di "assoluta bruttezza": perchè il calcio di Sarri è sì bello, ma di non facile apprendimento... Ad ogni modo: il quinto posto finale (che vale la sesta qualificazione europea di fila, di cui tre consecutive sopra i cugini giallorossi) e il record assoluto di reti con la Lazio eguagliato e superato dal capitano Ciro Immobile (scavalcato Silvio Piola) rendono soddisfacente un'annata non priva di sofferenze.
La missione difficile - per l'allenatore, amante di un 4-3-3 dinamico e aggressivo, e il direttore sportivo Igli Tare - è stata dunque quella di trasformare una squadra abituata da anni ad esprimersi in una determinata maniera (3-5-2 d'attacco, ma con poco pressing) in una creatura completamente diversa. Ciò ha richiesto la disponibilità di molti giocatori a cambiare radicalmente il proprio modo di giocare e pensare calcio: le difficoltà non sono mancate. Se in termini di acquisti - il cui numero e le cui tempistiche sono state fortemente condizionati dalle pastoie burocratico-finanziarie previste dal rispetto del famigerato "indice di liquidità" - giocatori come l'ex romanista Pedro, il figliol prodigo Felipe Anderson (Pereira Gomes Felipe Anderson) e Mattia Zaccagni hanno saputo dare un contributo decisivo alla causa biancoceleste; alcuni dei calciatori già presenti in rosa hanno faticato invece a esprimersi al meglio (su tutti Luis Alberto (Romero Alconchel Luis Alberto) - poco incline alla furia atletica richiesta da Sarri - e Francesco Acerbi, ottimo marcatore ma in difficoltà se chiamato a guidare una linea difensiva da tenere alta).
Un inizio fragoroso; poi cinque mesi sull'altalena; infine una parte conclusiva di stagione in crescendo che lascia ben sperare per il futuro: la stagione della Lazio ha vissuto di fasi alterne. La prima parte di campionato, così, ha visto la squadra biancoceleste raccogliere all'Olimpico successi prestigiosi contro la Roma AS (3-2: memorabile il gol del raddoppio firmato dall'ex giallorosso Pedro, sotto la Curva Sud) e l'Internazionale FC dell'ex Simone (II) Inzaghi (3-1); ma rimediare pure memorabili batoste, come quelle di Bologna (3-0), Verona (4-1) e Napoli (4-0). Nel girone di ritorno, la squadra di Sarri ha migliorato i propri numeri difensivi - confermandosi uno dei migliori attacchi del campionato - fatto che ha permesso alla Lazio di essere più costante, a fronte tuttavia di nessuna vittoria ottenuta nelle partite contro le cosiddette "grandi" (sanguinosa, a questo proposito, la sconfitta per 3-0 nel derby di ritorno). Il quinto posto conclusivo, allora, vale il secondo miglior attacco della Serie A (77 reti - ma undicesima difesa del torneo con 58 gol subiti) ed è frutto di 10 vittorie, 6 pareggi e 3 sconfitte nelle gare disputate all'Olimpico (contro 8 successi, 4 pari e 7 sconfitte raccolti lontano dalla Capitale).
Per quanto riguarda i singoli, stagione memorabile per Ciro Immobile: l'attaccante di Torre Annunziata (sempre più simbolo e leggenda vivente della Lazio Calcio) ha conquistato la sua quarta classifica cannonieri (27 gol, media monstre di 0,90 a partita) - è la terza con i biancocelesti, di cui ormai rappresenta il miglior marcatore assoluto - lanciandosi così all'inseguimento del record di vittorie dello scettro di "Bomber" della Serie A; a cinque classifiche vinte, infatti, c'è un grande attaccante del passato, lo svedese Gunnar Nordhal. Meritevoli di menzione, sono pure il "Sergente" Milinković Savić Sergej (11 gol e 10 assist da mezzala), il brasiliano Felipe Anderson (Pereira Gomes Felipe Anderson) (38 gare disputate: un po' discontinuo tecnicamente, ma - questa la novità rispetto al passato - sempre ordinato, costante nell'applicazione e nel pressing) e un insospettabile come Gabarròn Gil Patricio: il polivalente difensore spagnolo (stimato da Sarri per le sue qualità tecniche, che compensano le lacune di natura tattica e fisica) detiene infatti la migliore percentuale di passaggi riusciti del campionato, risultando dunque un fattore nella distribuzione e circolazione del pallone a partire dalla difesa, come da dettami del "Comandante".
Le altre squadre. Al termine di un duello ricco di colpi di scena lo Scudetto resta a Milano - dopo il successo interista della passata stagione - vinto dal Milan AC guidato dall'ex allenatore laziale Stefano Pioli. Interpreti di un calcio molto atletico, che poggia su di un esasperato pressing ultra offensivo, i rossoneri hanno avuto la meglio (86 punti a 84) proprio dei rivali cittadini dell'Internazionale FC di Simone (II) Inzaghi: decisivo è risultato essere il derby di ritorno della 24. giornata vinto dai milanisti, in rimonta, per 2-1. Terzo in classifica, e a lungo candidato nella lotta Scudetto, il Napoli di Luciano Spalletti; che con la Juventus completa il quadro delle quattro squadre italiane qualificate in Coppa dei Campioni - Champions League. Vanno in Europa League, invece, la Lazio e la Roma AS; la Fiorentina (settima classificata) si è assicurata infine un posto in Conference League. Sono retrocesse in Serie B: il Genoa, il Venezia SSC e il Cagliari.
La Coppa Italia. Modesto, il cammino della Lazio nella coppa nazionale. Dopo aver superato a fatica l'Udinese (solamente ai tempi supplementari: 1-0) negli ottavi di finale, i biancocelesti hanno subito una sonora batosta a San Siro, sul campo dei futuri campioni d'Italia del Milan AC: secco 4-0 senza storia ed eliminazione meritata. Vincitrice del torneo - in finale contro la Juventus - è stata l'Internazionale FC.
L'Europa League. Seconda solo al Villarreal per numero di partecipazioni alla seconda competizione continentale per club (78 gare disputate ad oggi, contro le 88 degli spagnoli, dalla stagione 2009/2010) la Lazio tuttavia non è mai riuscita a realizzare una campagna internazionale in grado di portarla almeno fra le prime quattro del torneo. Dopo una discreta fase a gironi - chiusa però al secondo posto alle spalle del Galatasaray, davanti a Marsiglia e Lokomotiv Mosca - la squadra di Maurizio Sarri non è riuscita ad andare oltre i sedicesimi di finale, disputati contro il Porto. Sconfitti all'andata per 2-1, i biancocelesti hanno sfiorato la rimonta nella gara dell'Olimpico (2-2), cedendo il passo ai lusitani con onore e più di qualche rimpianto. Capocannoniere della Lazio nel torneo - neanche a dirlo... - Ciro Immobile, autore di 4 reti in 7 gare disputate. Il trofeo è stato vinto, a sorpresa, dall'Eintracht Francoforte: vittoria ai rigori contro i Rangers di Glasgow.
Pagina di prova per Lorenzo
La Lazio sta cercando di chiudere l'affare Romagnoli: ore decisive.
Lotito e Tare sono pronti ad alzare l'offerta per sbloccare l'operazione - QUESTA È 'NA MEZZA FAKE NEWS, ME SA :-)
Forza Lazio!




La La Gazzetta Dello Sport titola: "Lazio davanti alla Roma AS. Con il Verona gol e show. I biancocelesti rimontano da 0-2, pari finale di Hongla. Sarri chiude quinto. Immobile sarà capocannoniere".
Continua la "rosea": Sei gol, emozioni e svarioni, ma anche impegno e bel gioco, che all’ultima di campionato non sono affatto scontati. E alla fine tutti contenti. La Lazio non vince, ma prende il punto che le serve per chiudere al quinto posto e, particolare non di poco conto a queste latitudini, davanti alla Roma AS per il terzo anno consecutivo. Il Verona manca il record di punti in Serie A (i compenso centra quello dei gol fatti), ma si congeda con un’altra prestazione di carattere e spessore tecnico. Un finale degno di una stagione andata oltre le previsioni per la squadra di Tudor.
Partenza choc. E pensare che la formazione iniziale dell’Hellas fa pensare a tutt’altro. Fuori, oltre allo squalificato Gunter e all’infortunato Barak, anche Casale, Tameze e Ilic (acciaccato dell’ultim’ora). Verona rimaneggiato, ma per nulla dimesso. Anzi, la sua partenza lascia di sasso la Lazio e i 55 mila tifosi accorsi all’Olimpico per festeggiarla. L’uno-due gialloblù del primo quarto d’ora porta le firme di Simeone (ancora un gol alla ex squadra del padre Diego) e di Lasagna, ma è l’intero Verona che gira alla perfezione. Pressing a tutto campo, sovrapposizioni e tagli letali. Per la Lazio, che deve fare a meno di due big come Immobile e Luis Alberto (Romero Alconchel Luis Alberto), la serata delle celebrazioni sembra trasformarsi in un incubo collettivo. A risollevarla e rimetterla in carreggiata, contro un Verona che non concede spazi, non possono che essere elementi in grado di inventare qualcosa dal nulla. Come Felipe Anderson (Pereira Gomes Felipe Anderson), per esempio. Ma anche come il redivivo Cabral. Sono loro a due (scambiandosi le parti, tra assist e finalizzazioni) a confezionare i due gol con cui nel secondo quarto d’ora di gioco la squadra di Sarri raddrizza la partita (per il capoverdiano è il primo gol “italiano”).
Scintilla Pedro. La Lazio è comunque contratta, vive di qualche strappo dei due giocolieri, ma non riesce a sviluppare le consuete trame di gioco volute da Sarri. Il Verona è un muro difficile da valicare, anche perché - quando serve - non disdegna neppure il ricorso al fallo tattico (saranno quattro gli ammoniti gialloblù all’intervallo, il quinto è il tecnico Tudor per proteste). Nella ripesa la Lazio però si accende. La mossa decisiva è l’ingresso di Pedro al posto di Zaccagni. Lo spagnolo dà la scossa che mancava. Si mette a giocare pure Milinković Savić Sergej (un po’ pigro nel primo tempo), si vedono tracce di sarrismo e occasioni da gol. Quella che porta in vantaggio i biancocelesti la costruisce ancora Felipe Anderson (Pereira Gomes Felipe Anderson) e la finalizza proprio Pedro. Potrebbe continuare a spingere la Lazio, lo fa solo per qualche altro minuto però. E poi pensa di poter amministrare. Una virtù che non è proprio nelle sue corde. E così la partita cambia ancora e vede il Verona tornare protagonista. Grazie anche ai cambi di Tudor che rivitalizza la squadra prima con Tameze, poi con Bessa e nel finale anche con Dawidowicz e Depaoli. Il pari, meritato, arriva grazie a Hongla (primo gol in A per lui) che sfrutta l’assist di Lazovic (il serbo aveva già servito a Simeone il pallone del primo gol).
Festa e saluti. Finisce con la Lazio che fa il giro di onore per ringraziare il pubblico. La qualificazione in Europa League non è un traguardo storico, ma è pur sempre un obiettivo importante che è stato centrato. Giusto festeggiarlo. E giusto salutare con tutti gli onori anche i tre giocatori che chiudono la loro avventura in biancoceleste: Leiva Pezzini Lucas, Ramos Marchi Luiz Felipe e Strakosha. Sarri è però preoccupato dalle tante partenze: «C’è il rischio di un nuovo anno zero». Sarebbe giusto anche festeggiare Immobile che, in borghese, scende in campo a fine gara. Con Vlahovic rimasto a secco, Ciro ha virtualmente vinto per la quarta volta la classifica marcatori di A. Ma per l’ufficialità bisognerà attendere le gare di oggi.