Biancazzurri o Biancocelesti la Timeline ce lo dice

Da LazioWiki.

Timeline colori e simboli SS Lazio

"[...] e scoccare verso le strepeanti acque, frecciate biancazzurre, due ghiandaie".
Da Mediterraneo di Eugenio Montale, estrapoliamo questo momento così prezioso: l’entrata, nella letteratura italiana, del neologismo "biancazzurro".

I "composti giustappositivi bimembri di aggettivi coloristici" – come direbbe il pedante studioso – pare proprio siano, negli ultimi tempi, oggetto di controversia nel mondo degli affetti laziali. Biancazzurri o Biancocelesti, come li dobbiamo chiamare i nostri beneamati atleti? Di che colore devono essere le bandiere? L’Aquila ha sul timone un nastro bianco e celeste, una convessità gravida di vita ed emozioni, o invece reca un nastro bianco e azzurro, un gelido lapislazzuli persiano che svaria dal cilestro al turchino? Romano o medio-orientale, nelle pupille e sulle labbra, il nome comunque non tradisce e subitaneamente agisce: Lazio!

D’istinto, ci verrebbe di scegliere un colore oppure l’altro, e quindi seguire il consiglio di frate Guglielmo da Occam: Non sunt multiplicanda entia sine necessitate. Insomma, perché complicarsi la vita? I romanisti sono giallorossi, gli juventini sono bianconeri ("neribianchi stormi", scriverebbe Montale) e gli interisti e milanisti non dubitano d’essere nerazzurri e rossoneri. Ma noi laziali no: noi abitiamo in Danimarca: ci piace orzare per puro divertimento, mossi da una smania in tutto degna di Ulisse.

Una ulteriore risposta plausibile è che passiamo dal celeste all’azzurro e dall’azzurro al celeste perché intuiamo la ricchezza che annuncia il continuo cambiamento. Avvertiamo la forza psichica che emana da due sfumature di uno dei colori più belli in natura; e allora giù a leggere le teorie di Luscher e Kandinskij, che ci rivelano mille cose al riguardo. Più prosaicamente, e rivolgendoci a una disciplina che, pur non essendo una scienza esatta, in certi casi – e questo è il caso – è come la bussola amalfitana che fornisce i punti cardinali al navigante, è sufficiente armarsi di carta, gomma e matita per risolvere il piccolo enigma. La nostra mano, seguendo le direttive della mente, deve solo tracciare una "linea del Tempo".

In storiografia, nelle scienze naturali e anche in quelle forensi (pensate a investigatori da romanzo come Lincoln Rhyme, che hanno reso popolare il concetto), si utilizza la linea temporale per farsi le idee più chiare in merito a un’indagine. Non che questa nostra "Quest", sui colori "veri" della SS Lazio, unita al significato dei suoi simboli, abbia punti di contatto con l’identificazione di un serial killer, no: diciamo piuttosto che è più divertente. Un po’ come la "Linea" di Osvaldo Cavandoli che allietava i Caroselli degli anni Sessanta.

La Linea si muoveva e parlava, forse in lingua polacca perché davvero poco si capiva. La Timeline si muove uguale, scivola avanti e indietro nel Tempo, via via che la si aggiorna; la sua lingua è come una Stele di Rosetta, in quanto traduce in lampadine d’Archimede Pitagorico – tante belle lucette che si accendono in sequenza – una serie di Ka’ba nere e lucide che, altrimenti, ci stavano comprando il biglietto di sola andata per Copenhagen.

Costruiamo, ordunque (altro ricordo d’infanzia: Giocagiò, pastelli, scatole, colla e forbici...), la speciale Timeline sul tema: COLORI DELLA SOCIETA’ SPORTIVA LAZIO.

NATI BIANCHI

Lo "start" è la nascita della Società Podistica Lazio, il 9 gennaio del 1900. Il "final meeting" è oggi, ottobre del 2020. Diciamo subito che i punti di riferimento della nostra Timeline saranno i seguenti: gli statuti e i regolamenti societari, gli stemmi e le insegne ufficiali, le casacche utilizzate dalle squadre di football, le deliberazioni assembleari, taluni elementi iconografici e di emeroteca, le memorabilia. E procuratevi subito un prontuario di araldica, che senz’altro vi sarà utile.

La notizia della nascita della Podistica Lazio su Il Messaggero del 10 gennaio 1900
Pericle Pagliani
15 maggio 1904
Fortunato Ballerini
La Trattoria dell'Olmo
Romano Zangrilli
Bruto Seghettini
Il Messaggero del 7 gennaio 1912

Nel primo statuto, stilato il 13 gennaio 1900, non vi è traccia di colori sociali. Alcune nebulose immagini, che coprono i primissimi anni di attività, mostrano i podisti della "Lazio" con una casacca bianca dal collo alto e il taglio attillato, adatta a un lavoro invernale. Sul petto hanno ricamato il nome "Lazio" con un filo scuro. Questo era il modo comune alle società podistiche dell’epoca, esemplato dai club del nord, uno dei quali addirittura si chiamava "SP Lario".

Ma la SPL di Roma ebbe subito una sezione natatoria. Da una nota di emeroteca che data al 1939 e reca la firma del pioniere Vittorio Spositi, sappiamo che i laziali (Arturo Balestrieri), all’avvio dell’estate del 1900 portavano "mutandine a triangolo di tela azzurra". Non molto tempo dopo, alcuni podisti cominciarono a presentarsi alle gare con uno scudettino scuro sul petto. Come forma (a noi sembra uno scudo sagomato interzato in banda), l’emblema era simile a quello dei waterpolisti della Rari Nantes Roma. Società alla quale risultavano tesserati alcuni dei fondatori della SPL e che, come smalti, aveva il bianco e il celeste. E però, l’arme della RNR Waterpolo del 1901 era interzato in sbarra e bianco-azzurro! Vediamo già apparire, in questa annotazione, un fattore che non dobbiamo dimenticare, nel prosieguo dell’analisi: il celeste e l’azzurro erano intercambiabili, sulle vestimenta e sugli emblemi delle società fiumarole; un altro esempio l’abbiamo nel Club Canottieri Aniene, ufficialmente giallo-celeste ma anche giallo-azzurro; e perfino giallo-blu, a volte.

La nostra linea temporale scivola in avanti, per sostare a due date davvero fondamentali, entrambe concernenti l’anno 1904: la domenica del 15 maggio 1904 la squadra di football disputa, sui prati di Piazza d'Armi, la prima partita ufficiale con i "cugini" della SS Virtus. Siccome i rivali hanno da poco inaugurato una camiciola a scacchi bianchi e neri, coi bottoncini e all’ultima moda proprio, il capitano del team, Sante Ancherani, d’accordo con i compagni decide di farla in casa, una camicia uguale. Come materiale, la madre e una sorella di Santino indicano la flanella, che può essere confezionata sia con la lana che col cotone, è leggera, calda e resistente, e all’epoca la si usava per le lenzuola, le bende e i pannolini. Tra le varie tonalità, i calciatori optano per il celeste col bianco. Nasce una bella divisa, a scacchi bianchi e celesti. Ancherani, in seguito, avrebbe ricordato come l’abbinamento avesse subito incontrato il gradimento generale, in quanto giudicato "delicato e signorile". L’economicità del materiale, la qualità estetica, quindi, e anche una buona dose di casualità, furono alla base. La muta di maglie venne fatta lì per lì, cucendo le donne per tutta la notte tra il sabato e la domenica. Fino a quel momento, gli atleti laziali non avevano avuto bisogno di colori per distinguersi: bastava il nome cucito. Ora no: il gioco di squadra impone la differenziazione, e così arrivano i colori sociali. All’inizio, nessuno ci aveva pensato perché la Lazio era nata da un gruppo di ragazzi su un battello a capanna ancorato sul Fiume, con lo scopo dichiarato di marciare, correre e nuotare.

Seconda data cardinale nella genesi ed evoluzione degli smalti della Lazio: l’8 agosto 1904. Nel corso di un’assemblea straordinaria, tenuta nella sede-appartamento di via Pompeo Magno, il nuovo presidente eletto, il cavalier Fortunato Ballerini, dà l’incarico di creare un vessillo sociale. La bandiera viene inaugurata la domenica del 23 ottobre ad un banchetto alla Trattoria dell'Olmo, fuori Porta del Popolo. Dalla cronaca de Il Messaggero, non si evince nulla sul "drappo" a battesimo: né i colori né la loro disposizione. Ma una testimonianza di Ballerini, rintracciabile alla pagina 144 del volume La Federazione Ginnastica Italiana e le sue origini (Roma, 1939), è dirimente al riguardo: "La sua bandiera a strisce bianco-celesti è donata dal Vice Presidente del tempo Paolino Pastori e ne è madrina la socia Anna Tobia in Massa, che la confeziona con le sue mani". Tutto lascia pensare che la bandiera in questione fosse a rigoni verticali, e la tinta adoperata la medesima dei footballers. Un celeste che dobbiamo credere acceso, giacché quella era la tonalità dei tessuti in flanella in vendita nei negozi. Volete un paragone? Il fiocco di seta che si pone davanti alla porta quando nasce un maschietto...

Da questo momento, solo da questa data, cominciano i riferimenti sui giornali agli atleti della Lazio, impegnati in molteplici discipline, come ai "bianco-celesti": la "Società bianco-celeste". Romano Zangrilli, vincitore di un campionato di marcia nel giugno 1905, si fa fotografare con una canotta a larghe fasce biancocelesti.

Scorre la linea del Tempo. E qui abbiamo un primo documento originale, di quelli che il consocio Marco Impiglia ha scoperto all’Archivio Storico Capitolino. Nel marzo del 1906, in una lettera su carta intestata indirizzata da Ballerini al conte di San Martino e Valperga, compare per la prima volta l’emblema dell’aquila; un motivo araldico probabilmente già acquisito da alcuni mesi, stando a una rara foto scovata da LW in cui si vede Bruto Seghettini esibirlo sul berretto, sotto la forma di un distintivo metallico, durante una giornata sportiva a Villa Borghese la domenica del primo ottobre 1905. E stiamo parlando di quello stesso stemma, graficamente raffinato, che ipotizziamo sia stato creato nella bottega d’arte di uno dei "nove", Galileo Massa – scultore e fonditore purtroppo non aduso a firmare le proprie opere – e che recentemente è stato assunto come ufficiale dalla SS Lazio. Il rapace – figura araldica naturale femminile – ha una posa "alpina", plastica, assai lontana da richiami romano-imperiali, e reca nel becco un cartiglio di un bell’azzurro netto, quasi foncé. L’aquila guarda correttamente a destra.

Lo scudo, invece, è svizzero e presenta sette strisce verticali di cui tre in palo più chiare, nel monocromatismo obbligatorio per il modello e il tipo. Tutto fa pensare che quelle strisce azzurrine più tenui suggeriscano il celeste abbinato al bianco. Ma c’è di più: nello stesso periodo la SPL bandisce una manifestazione polisportiva a Villa Borghese, dove ha la sua nuova sede alla Casina dell'Uccelliera. Per l’occasione, oltre a gare atletiche è prevista a Piazza di Siena una sfida con il "Football Club di Roma" (il Roman: i futuri "giallorossi romanisti"). La partita poi non si gioca, e tuttavia, il fogliettino rosa, stampato dalla Lazio per pubblicizzare l’evento, reca in alto a sinistra il nuovo arme. Si vede benissimo lo stacco di tonalità esistente tra il cartiglio e lo scudo: due colori diversi: l’azzurro e il celeste! Le tre strisce centrali sono più fini rispetto alle quattro che le contornano. Nella simbologia, questa sottile ma importante distinzione significa che esse sono dei "pilastri" e rispondono al trinomio dell’Arte Reale che regge il Tempio massonico: Saggezza, Forza, Bellezza. Chi si intende di aspilogia, non può nutrire dubbi in proposito.

Tra l’altro, secondo le regole vigenti in araldica, la bandiera trasferisce in orizzontale ciò che sullo stemma è in verticale, per cui è lecito avanzare l’ipotesi che le "strisce bianco-celesti" citate da Ballerini fossero, in realtà, disposte in orizzontale. Un esempio classico ce l’abbiamo nella bandiera americana. Detto vessillo riprende lo scudo composto da sette strisce verticali, con le tre centrali bianche in palo, a copiare pari pari lo stendardo di Ugo di Toscana. La cosa venne suggerita a George Washington da Filippo Mazzei, toscano di Poggio a Caiano che faceva il mediatore d’armi in Virginia. (Davvero incredibile questo collegamento segreto tra la Toscana, gli USA e la Lazio; e allora viva la "americana" Olimpia!)

Ma non è finita qui. Stavamo dimenticando l’informazione cardinale che lo stemma del 1905 ci dona; un motivo che, con l’adozione da parte della SS Lazio Generale, pare valido tuttora. Il fatto che le strisce siano sette richiama la simbologia massonica del 7: secondo Pitagora, il sette, essendo l’unico valore numerico senza "madre" e, allo stesso tempo, "vergine" (non partorisce e non divide altri numeri compresi tra l’uno e il dieci), ha il significato di una ammonizione: l’unico valore per l’Uomo è la sua Coscienza, che ci rende tutti eguali e di pari dignità. Ecco, dunque, confermata indirettamente la leggenda, rintracciabile alla pagina 10 del volume Storia della Lazio, che vede Luigi Bigiarelli rinunciare ad assumere la prima presidenza della Società con le famose parole: "È stata un’idea di tutti, questa Lazio, non cominciamo a distinguerci tra noi".

Giunti a questo punto, è esiziale porsi la questione: quando vennero approvati, in assemblea, i colori sociali? E in quale, dei vari statuti pubblicati nel periodo anteguerra, entrò per la prima volta l’articolo riguardante? In questo campo, stante la mancanza di documentazione probante, possiamo solo avanzare ipotesi. Nel suo discorso di commiato alla presidenza, declamato nella sede di via Veneto il 22 febbraio 1922 – e che LazioWiki ha nella sua forma completa così come riportata sul bollettino "Lazio" numero 6 del 1922Fortunato Ballerini enumera, oltre al primo statuto successivo a quello di fondazione, risalente al 24 marzo 1901, tre altri statuti, datati 1° giugno 1904, 3 gennaio 1909 e 19 luglio 1917. Detti statuti ebbero la funzione di riassumere l’iter ordinativo che veniva continuamente mutando, ogni volta che a un’assemblea si approvavano modifiche. Come esempio, portiamo l’assemblea ordinaria del 14 gennaio 1906. Da una nota di emeroteca, sappiamo che quel giorno Luigi Bigiarelli fu fatto "socio benemerito" e si votarono "modificazioni allo statuto". Forse proprio in quella circostanza entrarono i colori sociali; per uno scherzo del fato, giusto nel giorno in cui al Fondatore si riconosceva un merito. È quasi certo che nel 1913 venne prodotta una ulteriore, corposa revisione, al fine di rendere conto dello sviluppo della Istruzione Premilitare. Ma noi non crediamo che, a quella data, la SPL fosse ancora senza colori ufficiali, cioè menzionati nello statuto. E vedremo tra poco perché.

In un libretto cartonato che ci plana tra le mani, stampato nel 2005 e storditamente impaginato alla rovescia, La maglia del cuore, si passano in rassegna le divise usate dalle squadre di calcio. Si afferma recisamente che la prima casacca biancoceleste è stata indossata nella "primavera del 1902". Indicazione che è un omaggio a Storia della Lazio. (Impiglia, nel suo Pionieri del calcio romano uscito nel gennaio del 2003, aveva già corretto la data al 1904, ma il revisionismo non era ancora stato digerito). Nel défilé, un po’ alla buona, e che comunque ha il pregio di non uscire dal Romance, si accenna alla prima maglia celeste a tinta unita del 1912: un’altra delle piccole scoperte del revisionista Impiglia. Una tenuta più uniforme nella fattura di quella del 1904, sicuramente acquistata in un negozio specializzato e indossata il 7 gennaio 1912 al Campo Due Pini, in casa del Roman. Nella circostanza, scrisse Alberto Caniggia, uno dei footballers di seconda generazione che si diedero al giornalismo, sul periodico L'Italia Sportiva: "La squadra della Lazio ha oggi inaugurato il nuovo costume sociale, serio, elegantissimo, abbandonando le vecchie casacche a quadri biancocelesti con una maglia celeste carico e cambiando i calzoncini neri con quelli di colore bianco". La maglia venne dai cronisti definita "turchina", e per un certo periodo i laziali furono chiamati "i blues", ma poi prevalse la dizione "biancazzurri".

Cosa ci suggerisce tutto questo? Due cose: 1) l’attuale divisa da gioco ufficiale della SS Lazio nasce il 7 gennaio 1912. Quella domenica, i nostri ragazzi giocarono contro la futura "Roma" e vinsero uno a zero; volarono botte, tra l’altro. Li capitanava Mario Levi, di lì a poco volontario nella Grande Guerra come Bersagliere Ciclista; 2) quel "celeste carico", che con tutta probabilità già era stato inserito nello statuto, subito è confuso dai cronisti con l’azzurro, e "biancazzurri" diventano i laziali nelle cronache coeve. Da questo momento, i termini "biancazzurri" e "biancocelesti" assumeranno, agli occhi della gente, un carattere di intercambiabilità. Piacerà più il primo termine che il secondo, però... un po’ come a Montale.

CELESTI CARICHI

Fossimo tipi normali, che so romanisti, torinisti o del Bussoacoppe, la vicenda del mistero dei colori della Società potrebbe dirsi risolta. Siamo nati belli bianchi senza quarti di nobiltà (se non morale), quindi senza blasone e fanfare (smalti ed emblema, un motto sociale), e poi ci siamo scelti un’aquila dei vicini Appennini come insegna abbinata a tre virtù cardinali, un antico passo latino a sostenerci nell’unità di azione e abbiamo vestito biancoceleste mentre tutti ci chiamavano "azzurri". Ad libitum.

Paolo Boselli
La medaglia celebrativa del 25° anniversario

Tutto chiaro? E – attenzione! – quel che finora si è detto ha un alto grado di oggettività. E’ scritto senza voli di fantasia, così come scriveva sui suoi registri il piccolo burocrate della Russia zarista nel racconto Il Cappotto di Gogol; o, se preferite la letteratura inglese, l’ha redatto lo scrivano Bartleby. L’analisi presente rinuncia a schemi astratti e aprioristici. Non cerca un modello, non vuole condurre all’altare un’idea iniziale, non intende creare un mito di fondazione: è la mera esposizione dei dati oggettivi disposti sulla Linea del Tempo. Ognuno di voi può interpretarli in maniera differente. L’esegesi è libera.

L’omino di Osvaldo (bello quel Verona, ricordate?) si ferma, col classico punto interrogativo e la manina portata al mento, al 1923. L’eroteme trasmuta in un punto esclamativo ed esplode il classico "Eureka! Eureka!" Quale lampadina si è accesa nel nido di Archimede Pitagorico? Sfogliamo cautamente un giornale, tutto a pezzi, che abbiamo solo noi monaci laziowikiani: il bollettino "Lazio" del 30 marzo 1923, un numero appartenuto a uno dei presidenti della sezione escursionismo. Oltre al bilancio patrimoniale, il giornale espone alle migliaia di soci il Regolamento revisionato; si tratta, in effetti, di una bozza che poi, in sede di assemblea generale, il 9 di aprile all’ex Convento dei Cappuccini, subirà ulteriori, lievi cambiamenti. Stampato dalla Cooperativa Tipografica "Egeria" in via San Giacomo, dalle parti del Mausoleo di Augusto, lo Statuto e Regolamento Generale del 1923 consta di 36 pagine ed è firmato in calce dal presidente Giorgio Bompiani e dal segretario generale Enrico Genna; esso riforma lo Statuto e Regolamento del 3 gennaio 1909. Nella parte statutaria, all’Art. 15, sta scritto: "I colori sociali sono il bianco e celeste. Il motto: Concordia parvae res crescunt". Nella parte regolamentaria, firmata in calce pure dal Presidente Onorario Paolo Boselli, l’Art. 66 recita: "I costumi sociali obbligatori in tutte le gare sono quelli indicati nella seguente tabella: Podismo. - Maglia celeste carico, con bottoniera sulla spalla sinistra, calzoncini bianchi. Nuoto. - Mutandine celeste carico. Calcio. - Maglia celeste carico allacciata al petto, calzoncini bianchi. Water Polo. - Costume celeste carico con bottoniera sulla spalla sinistra. Tennis. - Camicia e pantaloni bianchi con sciarpa celeste. Tamburello. - Idem. In genere, il bianco-celeste in tutte le gare sportive dovrà ritenersi come il distintivo della "Lazio"". Un manufatto originale, la medaglia celebrativa del ‘25, attesta la qualità del celeste in un nastrino che è rimasto "carico" a distanza di 100 anni!

Quale preziosa indicazione ci fornisce questo documento che la SS Lazio conserva in formato digitale? Semplice: in quanto revisione dello Statuto e Regolamento Generale 1909 (scelto tra gli altri statuti per via che era precedente all’ingresso degli articoli sull’organizzazione dell’Istruzione Premilitare), l’informazione che trasmette è che, al gennaio del 1909, la SPL avesse con buona probabilità ufficializzato i colori bianco e celeste.

Smalti che hanno un’ascendenza "calcistica" e non "podistica"; né, tanto meno, "olimpica". Fosse stato olimpico il motivo, perché non dirlo espressamente nelle carte statutarie? E con un’arme parlante di quel tipo, poi... Si potrebbe obbiettare sull’azzurro degli slip di Balestrieri. Perché proprio azzurri? A parer nostro, un caso dovuto al fatto che l’azzurro e il celeste erano colori usuali per i fiumaroli nuotatori nel Tevere; oppure collegabile a una "Podistica" uscita fuori tutta bella azzurra. Non abbiamo dubbi, invece, sull’assenza di suggestioni decoubertiniane per la scelta del celeste. Lo Statuto e Regolamento Generale del 1923 appare dettagliato, ma in esso non è ravvisabile alcun approdo all’olimpismo. Eppure, les Jeux Olympiques, in quel punto preciso della Timeline, erano un evento al quale i giornali ampiamente si interessavano, e non un qualcosa di sconosciuto ai più come nel 1900. In effetti, di Lazio nata biancoceleste perché "olimpica" non si parlerà mai, nei ricordi orali e scritti dei pionieri, nei documenti societari ufficiali, o sui giornali e sulle riviste, magari anche di marca laziale, fino al 1969. Settanta anni di silenzio perfetto su un particolare che, oggi, viene considerato fondamentale nella genesi della SS Lazio. Non vi pare bizzarro? Illogico? (Romantico?)

E CI CHIAMAVANO "AZZURRI"

Gli anni Venti registrano esiziali cambiamenti. La Podistica muta il titolo in "Società Sportiva" nel giugno del 1926. Entrano nuove discipline come il rugby e diventa fortissima nel nuoto e nella pallanuoto. Le maglie dei calciatori continuano ad adeguarsi alla moda di uno sport sostenuto dal campanilismo e oramai assai popolare, presentando una turnazione rapida (gli impegni sono tanti, per cui si logorano rapidamente) e raffinandosi nella struttura: esse sono quasi sempre celesti. Il Capodanno del 1920 è festeggiato con un veglione nella sede di Via Veneto. Una foto ritrae le signore socie della Podistica con i figlioletti in completa tenuta da baby-calciatori: pochi dubbi che quel colore così chiaro sia il celeste e non l’azzurro. Ma sul settimanale genovese Il Calcio del 15 luglio 1923 c’è una cronaca completa della finale di andata per il titolo nazionale col Genoa FC. Ebbene, l’anonimo cronista locale definisce gli ospiti "azzurri laziali". Evidentemente, a contrasto col verde del campo e col rosso-blu dei grifoni incarogniti, i nostri campioni non dovevano apparire tanto celesti. Anche negli anni anteguerra, a partire ovviamente dal 1912, i giornalisti del nord, a vedere i laziali della Capitale alle prese con le loro squadre, li avevano sempre definiti azzurri.

Il "Guerin Sportivo" del 23 giugno 1926 riporta la notizia inerente il cambio di nome da "Società Podistica Lazio" a "Società Sportiva Lazio"

Sta di fatto che la definizione "biancazzurri" prende il sopravvento nelle cronache del decennio successivo. Mentre la SS Lazio abbandona il glorioso stemma con l’aquila – alternato nei documenti ufficiali con un altro, tondeggiante, creato nel 1914 – e adotta un emblema esteticamente meno valido, e però più consono alla "sobrietà" dell’Era Fascista: uno scudo svizzero a sette strisce in palo bianche e celesti, che nel 1928 vede l’innesto di un imponente fascio romano al centro, con una banda (che scende da destra in alto a sinistra in basso) recante il titolo sociale. Occhio alla disposizione delle strisce, perché esse sono state scientemente invertite: spariti i tre pilastri Saggezza-Forza-Bellezza, ora il "pilastro centrale" è il Fascio, cioè la Forza! Abbiamo, quindi, quattro strisce bianche e tre celesti, queste ultime belle piene e non sottili. In ultima analisi: il pilastro che regge l’emblema è il fascio romano.

La "Brasilazio"

Ma – e qui è il bello! – su taluni giornali satirici, ad esempio Il Brivido Sportivo, che si diverte a riprendere la zoologia araldica inventata dal giornalista Carlin Bergoglio, la Lazio di Piola è rappresentata da un sorta di Minotauro: un calciatore con la testa di aquila.

Sovvertito almeno ufficialmente il simbolismo, la nuova SS Lazio, che ha in Benito Mussolini il primo socio, non cambia la tradizione quasi ventennale della divisa. Le maglie presentano un celeste a tinta unita, più o meno carico a seconda dell’alea ("Questo celeste c’avevano, a Dotto’…"); e anche una tenuta a righe verticali, nel 1931, per la famosa "Brasilazio". T-shirt usata poco e che resta la versione più fedele alla bandiera 1904 e allo stemma 1905: non sarebbe una cattiva idea se la Lazio Calcio la riproponesse per la stagione 2024-25. Del 1936 è un’altra casacca a righe, ma questa volta sottili e azzurre.

Al volgere dell’Era Fascista, la Lazio gioca in maglia celeste, dunque. Difficile chiamarla azzurra. Eppure, nelle cronache si descrivono le gesta del "biancazzurro Silvio Piola". "Gli azzurri della Lazio". Ma perché?! Un attimo e ve lo spieghiamo: il giustappositivo bimembro "biancazzurri" suona meglio, una volta stampato, e piace molto di più alla gente che va allo stadio. Provateci voi a gridare in pubblico "Forza biancazzurri! e Daje biancocelesti!", e sentite la differenza. La doppia zeta e la doppia erre sono così trasteverine...

Nei giorni in cui costruimmo un impero di karkadè, il nuovo modello di stemma rettangolare – assai vicino al tipo che in araldica si definisce "a bandiera" – che compare nelle tessere sociali e sulla carta intestata della SS Lazio, è tanto semplice quanto azzurro, sempre a sette strisce di cui tre azzurre e col fascio inserito; il distintivo da bavero propone, correttamente, il celeste. Perché l’azzurro qui e il celeste là? Una teoria possibile è che la difficoltà oggettiva di trasferire sulla carta intestata, porosa com’è, il colore celeste abbia portato i tipografi a preferire una tonalità azzurra, più facile nella stampa.

Un volantino del 1940 per il III Torneo Interno squadre ragazzi, proveniente dalla collezione della Famiglia Ancherani, evidenzia l’intercambiabilità: il foglio è diviso a trinciato, metà bianco e metà celeste carico, e in alto a destra campeggia l’emblema ufficiale biancazzurro a nuova partizione: le sette strisce rimangono in palo ma non più a tutto campo, e il titolo SS Lazio sta su una pezza in capo così come il fascio, inscritto in un bisante nel canton sinistro. Questo dettaglio in araldica è importante, perché dà potestà all’elemento principe della pezza onorevole – che in questo frangente è il fascio – allogato nel terzo superiore dello scudo.

Lo stesso anno, XVIII E.F., la medaglia commemorativa del quarantennale vede l’ingresso di una rozza aquila ad ali spiegate. In sostanza, un’aquila fascista imperiale, proterva e metallica, non in carne e piume come quella del 1905, molto più aggraziata lei e che bada cautamente agli affari suoi. Il celeste smaltato dà una vivace nota al fregio, con la futura "Olimpia" – ancora innominata bontà sua – che cavalca bellamente il duro fascio. Dall’aquila primo-novecentesca degli Appennini, appollaiata tranquilla sul picco, all’aquila-razzo-di-guerra, che veleggia ardita nell’aria come il Barone di Münchhausen, il passo è stato conseguente e, fortunatamente, non definitivo.

BIANCAZZURRI DI NOME E DI FATTO

L’aquila, già. Un simbolo forte: la figura araldica per eccellenza. Talmente ingombrante, che il fascismo l’aveva impallinata per sostituirla col fascio, e al diavolo l’odiosa simbologia dei "pilastri". Ma, caduto il regime, nell’Italia repubblicana e parlamentare, almeno l’aquila si ripresenta. Essa è dorata, guarda correttamente alla sua destra e sormonta uno scudo francese antico a sette strisce bianco-celesti eguali in larghezza, con le tre centrali bianche. Nella panoplia c’è il titolo "SS Lazio", posto in capo e in rosso.

Remo Zenobi
Ettore Varini
Costantino Tessarolo

Il 12 febbraio 1949, un’assemblea generale, tenuta a via Frattina sotto la presidenza del neo-eletto Remo Zenobi, mette finalmente mano allo statuto, non più toccato dall’assemblea del 18 luglio 1926: quella avvenuta all’indomani della trasformazione in "SS". Il nuovo statuto, una volta discusso e votato a maggioranza, viene stampato e ospita sul frontespizio uno stemma leggermente diverso dal precedente: le strisce sono bianco-azzurre, l’aquila è rivoltata (testa diretta verso il fianco sinistro dello scudo) e spiegata (punte delle ali verso l’alto, in questo caso in posa abbassata). Come la prima post-bellica, anche quest’aquila del periodo repubblicano è una via di mezzo tra la Art Déco del 1905, la "spiegata-abbassata" del 1914 e la fascista mai resa ufficiale dei primi anni Quaranta. E non crediamo di andare lontani dalla verità nello scorgerci un’impressionante somiglianza con lo stemma della casa Moto Guzzi, per altro assai popolare in quegli anni. Posti uno accanto all’altro, i due animali araldici sono graficamente identici e la nostra "Olimpia" allunga il collo verso destra (secondo l’osservatore, ché il modus araldico inverte) solo un po’ di più. L’atto è quello di spiccare il volo, quindi niente aquile-razzo o pigramente appisolate sulla cima del Soratte. A rifletterci un attimo, quest’aquila volitiva della Prima Repubblica ci dice pure qualcos’altro, un motivo che quasi commuove: essa sta "ripartendo".

Ma la data del 12 febbraio 1949, notevole picco sulla piana della Timeline, balza all’occhio piuttosto per un'altra ragione. Su deliberazione assembleare e "per referendum", la SS Lazio zenobiana, di matrice democristiana, statuisce, all’articolo uno, i nuovi colori sociali. Essi sono "il bianco e l’azzurro". Nel 1926 erano stati il bianco e il celeste. Pure se, il 23 luglio 1927, il presidente e generale miliziano, Ettore Varini, illustrando in ordinaria i programmi della Lazio fascistizzata, aveva definito azzurro l’abito sociale. Cosa potrebbe spiegare la strambata notevole della Lazio di Zenobi? Il ritrovamento, nel riordino delle carte per preparare l’assemblea, di uno statuto in cui la Podistica risultava nata azzurra? Non sarebbe poi così incredibile, se pensiamo al caso dei cugini giallorossi, che nello stesso periodo si riunirono a via del Tritone e scoprirono, da statuto, di essere nati il 2 maggio del 1927!

Non si levarono voci contrarie sul viraggio alchemico dal partito celeste al partito azzurro, pare. La squadra di calcio continuò a vestire preferibilmente tinte celesti. I giornali, d’altronde, da molto tempo descrivevano le gesta dei "biancazzurri", mai dei "biancocelesti". Questa abitudine reiterata al suono – biancazzurri – probabilmente influì sulla scelta: quasi un caso esemplare di usucapione. Tuttavia, a livello iconografico e documentale, anche qui notiamo la dicotomia che percorre tutta la storia: una tessera originale del 1951, appartenuta al direttore della sezione di scherma, il Maestro Vito Resse, presenta sulla fronte lo stemmino "Moto Guzzi" azzurrino e, sul retro, una simpatica sbarra diagonale celeste carico.

A "Papà" Zenobi, dunque, a questo presidente dalla personalità dura e inesorabile, a quest’uomo di sangue umbro appartenente a una delle grandi Famiglie Laziali che hanno sostenuto la Società nei momenti di travaglio (e quella stagione 1948-49 fu difficile, sul piano societario e sotto il profilo dei risultati calcistici), dobbiamo un cambiamento statutario destinato a durare trentatré anni. Seguiranno, infatti, altre assemblee e modifiche: nel 1952, 1955, 1964 e 1965, e via su fino al volgere del 1982, quando si riapproderà, per volere di Renzo Nostini, al bianco e celeste. Ma, a livello di stemmi ufficiali, già con Costantino Tessarolo giunto alla doppia presidenza (SS Lazio e Sezione Calcio) nella stagione 1953-54, si era tornati allo scudo francese antico a strisce bianco-celesti, di cui le tre bianche centrali. L’aquila, pure, in questi anni Cinquanta e Sessanta, perde la sua carica scultorea e viene raffigurata secondo uno schema essenziale di linee e colori.

Particolarmente importante fu la decisione del Consiglio assembleare del 2 maggio 1964, che riconobbe la trasformazione della SS Lazio 1926 nella nuova Associazione delle Società Sportive "Lazio", vale a dire l’amministrazione autonoma delle singole sezioni assurte a club a sé stanti. E allora vediamo che, all’Articolo 1 – Costituzione, scopo e sede –, lo Statuto del ’64 recita testualmente: "l’Associazione ha i colori comuni a tutti i Sodalizi aderenti, che sono il bianco e l’azzurro". Ergo, l’attuale SS Lazio è nata biancazzurra il 2 maggio del 1964. Questo ci dicono i registri e gli atti ufficiali.

La Timeline serve a fare chiarezza concettuale e, soprattutto, ha l’ufficio di spingerci a porre le domande giuste. In questo caso: perché l’azzurro, nel fondante Sessantaquattro? Solo per non divergere dalla tradizione degli statuti post-regime? Ma lo stemma ufficiale non era di nuovo bianco-celeste? Vero! E la squadra di calcio non giocava con le casacche celesti? Eh no, affatto! Dalla stagione della discesa in Serie B, nel 1961-62, la SS Lazio Sezione Calcio, e poi la SS Lazio Calcio, avevano dimenticato la fedeltà al celeste con cui s’era vinto il primo trofeo nazionale della storia: la Coppa Italia del 1958. I calciatori avevano iniziato ad usare, sempre più spesso in campionato e nelle competizioni, vari set di maglie azzurre, turchesi (azzurro-verde) o blu; inequivocabilmente blu. Sfogliando una collezione di Album Panini, per esempio l’annata 1966-67, la descrizione della divisa, posta sopra uno stemmino adesivo di un bell’azzurro, informa: "Colori sociali: maglia azzurra con bordi bianchi, calzoncini bianchi, calzettoni bianchi con risvolto bianco-azzurro". Il capitano della squadra quell’anno era Pierluigi Pagni, oggi socio decano del centenario Circolo Canottieri Lazio.

La Coppa Italia 1958
Pierluigi Pagni
La Lazio 1973/74

Chi di voi appartiene alla generazione dei "boomers" (i nati negli anni 1955-65) sa bene che l’imprinting, per loro, è arrivato su una Lazio biancazzurra. I negozi di articoli sportivi mostravano in vetrina sette maglie: Nazionale, Inter, Milan, Juventus, Roma, Lazio e Napoli. La tonalità della maglia azzurra girocollo bianco della Lazio differiva di poco da quella della Nazionale o anche del Napoli; in effetti, non c’era in vendita una Lazio celeste! La bandiera che sventolava sui tre pennoni dello Stadio Olimpico, sopra la Tribuna Tevere – qualcuno dei lettori certo se la ricorderà –, era metà bianca e metà azzurra (partito di destra azzurro e partito di sinistra bianco). La "Lazietta" dello Stadio Flaminio, dove era di casa anche perché vi aveva sede la Polisportiva, in altalena sofferta tra la A e la B per tutto il decennio, esibiva maglie a volte celesti e altre di un azzurro elettrico, quasi marino, cioè Navy; oppure Denim e Blu Reale, nelle sfumature sia chiaro che scuro; e via anche i pantaloncini bianchi, che negli anni del Boom economico, e fino al 1970-71, lasciavano sovente il posto a tenute interamente blu-azzurre. Gli "anni yé-yé" contrapposti alla "serietà" di una Lazio in scuro. E con le prime "English shirt" firmate da ditte britanniche, tipo la Umbro.

Sembrerà strano, ma, sulla Timeline, il celeste torna a regnare incontrastato in epoca di "Austerity": la crisi del petrolio. Nel 1972, il celeste con lo scollo a V è netto. La squadra vincitrice dello scudetto 1973-74 è addirittura cilestrina; e l’anno successivo Giorgione Chinaglia porta agli amici dalla natia Inghilterra un paio di scatoloni pieni di maglie di tonalità cerulea. Una casacca jersey a maniche lunghe di un tessuto di qualità superiore, rispetto alle maglie degli altri club professionistici italiani. Uno di noi Laziowikiani l’ha avuta tra le mani, quella bellissima maglia, e può testimoniare al riguardo. Essa rispecchiava lo standard sportivo britannico: rammentate le stupefacenti tenute dell’Inghilterra di Kevin Keegan?

Ma, non dimentichiamolo, la SS Lazio in tutte le sue diramazioni, ancora negli anni Settanta era sempre, ufficialmente, bianca e azzurra. Nel 1974, però, essa presenta un rivoluzionario stemma sociale, che sconfessa lo statuto in vigore: la grafica è modernissima, lo scudo, sempre di foggia francese antica, ha una bordatura celeste e le strisce sono biancocelesti, singolarmente abbinate in tre "colonne" che spiccano sul campo bianco. La versione "marchio" – in pratica il logo – non ha tracce di celeste: è tutto bianco e azzurro! Il problema è dato dal fatto che l’emblema confonde l’osservatore sul numero esatto delle strisce: sono sei? Così pare. E perché sei? Sicuramente solo un caso. Ma nella simbologia, uno dei significati del numero sei è il raggiungimento di un determinato obbiettivo.

Nel 1979, in omaggio alle strategie di merchandising, la SS Lazio S.p.A. per la prima volta nella sua storia diverge, nella scelta dell’emblema, dalla polisportiva. Infatti, la Lazio Calcio affida a Piero Gratton (designer milanese scomparso lo scorso aprile, a lui si deve il "lupetto" romanista del ‘78) la creazione di un logo di forte impatto e assai innovativo. Così che l’Aquila Reale abbandona il modello "Moto Guzzi", dimentica i suoi rigidi codici araldici, volge le iridi divine a mancina e un minimo si destruttura. La creazione di Gratton porta con sé un Blu Reale abbastanza consono. Il rapace si posa sulle maglie della Pouchain, dando vita a un logo lineare come il monogramma "SPL", bianco su fondo blu, usato sulle maglie dei primi anni Venti, ai tempi del mitico Fulvio Bernardini.

Ci sarebbe, poi, un ulteriore discorso: l’identificazione del simbolo nelle bandiere e negli oggetti in vendita, di cui è "spia" l’utilizzo negli album di figurine. E allora vediamo che, negli anni del Boom, la Lazio Calcio è simboleggiata da un campo azzurro o Blu Navy, traversato da una fascia bianca oppure da una banda. Nel decennio successivo, invece, torna lo scudo francese antico, con le sette strisce di cui le tre in palo celesti. Prepotente è il rientro dell’aquila dorata: la cara immagine svalutata prima e, a volte, perfino sostituita dalla "ciociara".

MA NO, GUARDATE LA STORIA: SIAMO BIANCOCELESTI!

E il balletto continua. Il 9 dicembre del 1982, nella sede di via Col di Lana, giusto a fianco del Bar Vanni dove, ogni tanto, noi monaci LW (nome acrostico-palindromico per il nostro ordine: significa "Viva la Lazio") ci riuniamo, un’assemblea decide che il bianco e il celeste debbano essere considerati i colori ufficiali della Società. Che ricambia il titolo in "SS Lazio", abbandonando il chilometrico "Associazione delle...". Quella stagione registra il passaggio della presidenza generale della Polisportiva da Nostini a Ruggiero Sandulli; e vede i nostri atleti entrare in campo con le mitiche "maglie bandiera" della ditta Ennerre (una curiosità: la sigla sta per "Nicola Raccuglia" e furono delle suore abruzzesi le prime a filarle) marcate Seleco, metà bianche e metà celesti, volante sul petto l’aquila-marchio realizzata da Cesare Benincasa su incarico del grande presidente, di Famiglia lazialissima, Gian Chiarion Casoni. Il logo ha una duplice versione, grazie a un poligono complesso a sei lati con panoplia bianco-blu-celeste; detto per inciso, la forma dell’esagono non è di quelle che consentono l’inscrizione al suo interno di una stella massonica. Inoltre, da ora in avanti il magico tris bianco-blu-celeste (il bianco e il blu abbinati sono molto usati nei marchi della finanza, esprimendo sicurezza e solidità, il celeste ha un suo "trasporto" spirituale) acquista una sua costante visibilità sui loghi e sulle maglie laziali.

Renzo Nostini
Gian Chiarion Casoni
Il logo dal 1993

Avete mai ballato il valzer? Arriva un momento che vi tocca fare la doppia giravolta completa, stando bene attenti che la vostra compagna (o compagno) non vada giù per le terre. Nel 1987, assieme alla prima maglia acetata (orribile visu) e per mano del presidente Gian Marco Calleri, lo stemma post-bellico riappare. La rivisitazione in chiave grafica, per dar vita al marchio brevettato, lo pone parecchio più in basso, come qualità estetica, rispetto agli emblemi araldici, pregni di messaggi sottesi, del 1945 e 1949. Ma l’aspetto basilare è che le righe del nuovo scudo, ora di tipo sannitico, si mantengono celesti e non azzurre, in accordo con lo statuto modificato. Cinque strisce di cui le due in palo bianche, obliando la tradizione risalente al primo Novecento: quella che ci ricordava la nascita di una Lazio composta da "tutti uguali". Non muta l’aquila, che è sempre la solita spiegata, rivoltata abbassata che volge il capo alla destra dell’osservatore.

Il restyling prosegue senza tregua e ha un upgrade nel 1993, con la super-Lazio di Sergio Cragnotti: l’aquila d’argento posa baldamente su uno scudo francese antico con la campitura celeste e una striscia in palo bianca: sono solo tre le strisce. Notiamo, soprattutto, che negli anni dei trionfi cragnottiani la SS Lazio S.p.A. si premura di adottare il pantone 297C come colore componente il logo coperto da copyright. (Della serie: ora non si può più sbagliare...). La Polisportiva segue prontamente la sua prediletta figlia nel pantone, ma fa di più: registra il vecchio emblema della prima "Podistica" e, nel 2015, lo affianca allo stemma del 1974: un logo "pas de deux" che riesuma l’aquila balleriniana e i suoi valori; tra i quali, senza dubbio, anche quelli "olimpici". Nel 2019 è stato registrato un ulteriore marchio: un bollino bianco, celeste e blu con dentro un Colosseo stilizzato, l’aquila dorata, il titolo e la data di fondazione della Società. Oggi, ogni società/sezione aderente ha il suo logo particolare, e diverse tra loro, ad esempio la SS Lazio Nuoto, mantengono lo scudo classico del dopoguerra, il più "repubblicano": il francese antico a sette strisce di cui le tre in palo bianche; l’aquila, così come le bordature, è tradizionalmente color oro e guarda a mancina.

Per concludere, è giusto sottolineare che una sorta di crociata, volta a favore del recupero del "biancoceleste" non solo sui loghi e sui marchi, sugli emblemi e sulle maglie, ma anche nelle cronache e nel tifo, è stata portata avanti nelle ultime due o tre decadi. Vero è che lo statuto in vigore, approvato dalla Società Sportiva Lazio il 12 luglio del 2012, parla chiaro. Esso recita, all’Art. 2: "I colori dell’Associazione e dei Sodalizi costituenti sono il bianco ed il celeste, propri della bandiera greca, scelti per esaltare lo spirito olimpico dell’Associazione".

Ecco, magari noi di LazioWiki avremmo qualcosina da obiettare sulla seconda parte della proposizione. Ma l’antica Costantinopoli dell’imperatore Giustiniano non c’è più, per cui non è il caso di impiantare qui un concilio per metterci d’accordo sul presunto "olimpismo laziale". Il monito per i più giovani, comunque, resta validissimo. Sempre che noi si vada indietro allo spirito olimpico in auge cento anni or sono ai tempi di Ballerini presidente; o anche solo cinquant’anni fa, quando Olindo Bitetti e Mario Pennacchia offersero la loro bella narrazione, tanto cara ai tifosi della Lazio nello scorrere della Timeline.